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L’ARCA DELL’ALLEANZA TRA STORIA E MISTERO.

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L’Arca dell’Alleanza in “Assassin’s Creed”.

Fai fare loro un’arca di legno di acacia: lunga due cubiti e mezzo, larga un cubito e mezzo e alta un cubito e mezzo. Ricoprilo con oro puro, sia all’interno che all’esterno, e fai una modanatura d’oro attorno ad esso”. Così il Libro dell’Esodo (25:10-11) descrive l’Arca nelle sue prime parti, raccontandoci come Yahweh ordina a Mosè di costruire tale manufatto mentre erano accampati nel deserto del Sinai, dopo aver abbandonato l’Egitto. È sicuramente il più importante tra i tesori venerati dagli antichi Israeliti. Come abbiamo visto nella descrizione e facendo la conversione da cubiti a metri, l’Arca era di dimensioni tutto sommato modeste: 1,1 metri di lunghezza e 0,7 metri di larghezza e altezza. Il cofano invece era di 1,20 metri di lunghezza, realizzato in oro su cui stavano di guardia due Cherubini con le ali spiegate verso l’alto e che si guardavano l’uno con l’altro verso il coperchio. Non è stato un caso che si scegliesse la rappresentazione di questi esseri per il coperchio: angeli guardiani per eccellenza e secondi solo ai Serafini, erano posti, secondo la Bibbia, a guardia dell’Eden. Secondo Dionigi l’Areopagita (un filosofo e teologo siro, autore di scritti mistici affini al neoplatonismo), essi risiedono oltre il trono di Dio, nelle profondità del firmamento, ciò che li rende anche i guardiani della luce e delle stelle: come vediamo, la loro descrizione è assai lontana dalle raffigurazioni dei paffuti angioletti bambini rinascimentali. Nell’Arca erano riposte le Tavole della Legge ricevute tra tuoni e fulmini divini da Mosè sul Monte Sinai ed è per questo che essa divenne il segno visibile della presenza di Dio tra il popolo d’Israele.

Mosè e i Dieci Comandamenti.

Il trasporto dell’Arca

Vediamo quindi il prezioso contenitore che accompagna le peregrinazioni degli Ebrei nel deserto, portato a spalla tramite due stanghe di legno dorato infilate in quattro anelli d’oro fissati ai suoi lati, dai sacerdoti della tribù di Levi, detti Leviti, gli unici autorizzati a toccare e maneggiare il pericoloso artefatto. Perché pericoloso? Ci arriveremo. Durante il trasporto, l’Arca era coperta da un telo di pelle di takash (animale un po’ misterioso che la fantasia dei traduttori cristiani indica come tasso), coperto da un ulteriore telo di stoffa turchino, e quando il popolo si fermava nel deserto, essa veniva collocata all’interno di un santuario mobile noto come Tabernacolo. Al suo interno vi era un sipario che impediva alle persone di vedere l’Arca, mentre all’esterno vi si poneva un altare e degli incensieri che dovevano essere utilizzati solo da Aronne, fratello di Mosè, e dai suoi figli al mattino e al tramonto.

Modello del Tabernacolo trasportabile, ricostruito nel Parco Timna di Israele.

L’Arca in guerra

Al momento dell’ingresso degli Israeliti nella Terra Promessa, ovvero Canaan, inizia per essi una serie di conflitti con le popolazioni locali, di certo poco felici all’idea di sloggiare per far posto ai nuovi venuti. Ed ecco, quindi, che sotto la guida di Giosuè, succeduto a Mosè alla guida del Popolo Eletto, i guerrieri Israeliti in tutte le loro battaglie si fanno precedere dall’Arca come strumento intimidatorio nei confronti del nemico, nel momento in cui era stato riconosciuto nella sua energia un grandioso potere di distruzione. La sua più celebre impresa fu la decisiva sfilata davanti alle mura della città cananea di Gerico, poi crollate al suono delle trombe ebraiche. L’importanza che l’Arca aveva se presentata in battaglia era stata presto confermata da una sonora sconfitta che gli Ebrei patirono dagli Amaleciti, una volta che il prezioso cofano dorato non era stato portato sul luogo dello scontro. In un’occasione il manufatto fu anche catturato dai Filistei (i più agguerriti nemici degli Israeliti dal cui nome deriva quello di Palestina), che saccheggiarono anche il Tabernacolo. Ma furono costretti dopo sette mesi a restituirlo perché gli attribuirono la responsabilità della pestilenza da cui furono poi colpiti.

Dal Tempio di Salomone alla scomparsa

Ricostruzione ipotetica del Tempio di Salomone a Gerusalemme.

Dopo varie peregrinazioni, sedi provvisorie e centinaia di chilometri percorsi, l’Arca giunse infine a Gerusalemme dove, intorno al X secolo a.C. il re Salomone fece costruire ilPrimo Tempio con all’interno il Debir –ovvero il Sancta Sanctorum- dove essa fu riposta al riparo da ogni sguardo. Si dice che questo santuario interno, corrispondente al Tabernacolo del deserto, fosse ricoperto d’oro. La storia dell’Arca si dipana lungo tutto l’Antico Testamento e la si ritrova citata almeno fino al 586 a.C. In 2 Re 19:15 leggiamo del re Ezechia (dodicesimo sovrano della linea genealogica di Salomone) che va nel Tempio a prostrarsi e pregare al cospetto dell’Arca. Durante il regno successivo di Manasse e Amon, l’Arca fu conservata altrove, in un santuario levita. Dopo aver ristabilito il regno di Ezechia, il discendente Giosia di Giuda, a distanza di 360 anni dalla costruzione del Tempio da parte di Salomone, fece ritornare l’Arca nel posto che le competeva all’interno del grande santuario. Poi, con l’arrivo dei Babilonesi di Nabucodonosor II nel 587 a.C. che aprirono una breccia nelle mura di Gerusalemme e invasero la città distruggendone il Tempio, l’Arca scompare dalla storia per entrare nella leggenda. Infatti, nel minuzioso elenco di tutti gli oggetti che furono portati a Babilonia non si fa menzione del prezioso contenitore. E quando il re persiano Ciro il Grande dopo aver conquistato Babilonia restituì gli arredi sacri, con essi l’Arca non c’era.

Bassorilievo raffigurante Ciro il Grande, proveniente dalla sua residenza a Pasargadae.

Le ipotesi sulla scomparsa dell’Arca

Possibile che un così potente e famoso simbolo divino sia sparito in questo modo? Cosa potrebbe essere successo? Per secoli fiorì ogni tipo di ipotesi. Nel Secondo Libro dei Maccabei, ad esempio, si narra che l’Arca fu nascosta sul monte Nebo dal gran sacerdote Hilkiah insieme al figlio, il profeta Geremia, dopo la distruzione del Tempio di Salomone, rimanendo celata “finché Dio non avrà riunito la totalità del suo popolo e si sarà mostrato propizio”. Un’altra ipotesi potrebbe essere che l’Arca possa essere stata rubata durante il saccheggio del Tempio avvenuto tra il 797 e il 767 a.C. ad opera di Ioas, re di Israele (regno che nacque nel 933 a.C. dopo la morte di Salomone con capitale Samaria, separato dal regno di Giuda, con capitale Gerusalemme), che la portò a Samaria. Poiché la città venne distrutta dagli Assiri, l’Arca potrebbe essere finita come bottino di guerra ovunque nel Medio Oriente. Esiste anche l’ipotesi Roma. Quando le truppe di Tito nel 70 d.C. distrussero il Secondo Tempio, costruito da Erode il Grande, l’immenso tesoro in esso custodito fu portato nella capitale dell’Impero (una parte di esso servì per finanziare la costruzione del Colosseo), compresa l’Arca che ancora oggi sarebbe custodita nientemeno che nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Ipotesi affascinante ma poco credibile perché Giuseppe Flavio– una nostra vecchia conoscenza- nell’elenco degli oggetti depredati, tramandato nella sua opera “De Bellum Iudaicum”, non fa assolutamente menzione del mistico contenitore. Nella tradizione Talmudica si ritiene che l’Arca si trovi ancora a Gerusalemme, in un luogo sotterraneo fatto costruire da Salomone stesso sotto il Debir, una sorta di “panic room” in previsione di un futuro attacco. Se così fosse, allora potrebbe essere giustificata la nota leggenda che vuole che i Templari, scavando per anni nel Monte del Tempio dove avevano il loro quartier generale, abbiano effettivamente ritrovato qualcosa che li abbia resi un Ordine ricco e potente. Se poi questo qualcosa fosse l’Arca o altro non ci è dato sapere. Nel Secondo Libro delle Cronache è scritto che durante il quinto anno di regno di Roboamo, nel 925 a.C. il faraone Sesonki I invase il regno di Giuda, conquistò Gerusalemme e saccheggiò il Tempio, “portando via ogni cosa” (12,2-10): poiché a quel tempo la capitale del Basso Egitto era Bubasti, vicino a Tanis, l’Arca potrebbe essere stata portata lì, e forse ancora sepolta fra le sue rovine. Ed è proprio questa ipotesi ad aver ispirato il famoso film di Spielberg.

Indiana Jones individua il “Pozzo delle Anime” sul modellino di Tanis. Dal film “I Predatori dell’Arca perduta”, 1981.

E ancora, nel 1300 in Etiopia venne redatto un libro di autore anonimo, intitolato Kebra Nagast (La Gloria dei Re). In questo periodo storico che vede le prime infiltrazioni europee in terra d’Africa, l’intento del libro era quello di testimoniare un’antica presenza, culturale e religiosa di stampo giudeo-cristiana nel cuore dell’antica Abissinia. In esso si sosteneva che la schiatta degli antichi sovrani locali discendeva in modo diretto da Menelik, il figlio segreto nato dall’unione fra Salomone e la regina di Saba. Ma non solo: era stato Menelik a portar via l’Arca dell’Alleanza da Gerusalemme per trasferirla nell’attuale Etiopia. Curiosamente, questa leggenda è ancor oggi vivissima, fortemente incoraggiata dalla Chiesa d’Etiopia e, in primis, dall’Agenzia per il Turismo di quello Stato. Si tramanda che l’Arca sia oggi ricoverata in un’apposita chiesa- risalente agli anni Sessanta del secolo scorso- il cui ingresso, manco a dirlo, è interdetto a tutti al punto che nessuno al mondo, neppure il Patriarca, avrebbe mai veduto l’Arca. Infatti, solo il monaco guardiano può accedere all’ambiente che custodisce la presunta Arca. Il monaco, nominato a vita dal suo predecessore, lo presidia costantemente senza potersene mai allontanare, nel rispetto dei detti biblici dei Kohanim, i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme votati al suo totale servizio. Ovvio che, se nessuno può vedere il manufatto, non si può appurarne l’autenticità, il che toglie molta credibilità a ciò che gli Etiopi affermano, adducendo motivazioni mistico-escatologiche che non fanno altro che alimentare una curiosità che ti porta in Etiopia a vedere…il nulla.

La “Cappella delle Tavole” ad Aksum, in Etiopia. L’edificio è separato dalla Chiesa di Nostra Signora Maria di Zion perché si dice che al suo arrivo, il calore divino dell’Arca dell’Alleanza avrebbe prodotto delle crepe nei muri.

A tutte queste ipotesi, potremmo anche aggiungerne altre tutto sommato più banali e prosaiche: considerato che il manufatto era realizzato in un materiale deperibile come il legno, esso potrebbe essere stato semplicemente distrutto da un incendio o magari collassato su sé stesso per il degrado del materiale. In ogni caso tale fatto sarebbe stato occultato dai sacerdoti che avrebbero fatto credere al popolo che il contenitore fosse ancora esistente, riuscendo nell’intento, facilitati dal fatto che nessuno poteva accedere nel Debir.

Un manufatto micidiale

Crediamo che sia giunto il momento di spiegare perché abbiamo definito tale manufatto pericoloso. Secondo i racconti biblici esso aveva un enorme potere distruttivo, al punto che solo i Leviti, la classe sacerdotale della Tribù di Levi (non a caso furono gli unici fra le Dodici Tribù israelite a non avere in assegnazione nessuna area della terra di Canaan), erano in grado di tenerne a bada le insidie. Erano i soli che sapevano come maneggiarlo, protetti da un pettorale con dodici pietre che simboleggiavano le Dodici Tribù.

Il pettorale levita.

Inoltre, l’Arca durante le soste nel deserto doveva essere mantenuta -debitamente occultata alla vista- a distanza di sicurezza dal popolo nella misura di 2000 cubiti, ossia oltre un chilometro! Nell’Antico Testamento vengono persino fatti i nomi di alcuni uomini che, disobbedendo, si erano avvicinati troppo all’Arca senza essere addestrati e, soprattutto, senza indossare gli abiti adatti. Fra i colpiti dalla folgore divina scaturita dal manufatto troviamo anche i figli di Aronne, Nadab e Abihu, e Uzza, fulminato all’istante per aver steso la mano sul contenitore solo per impedire che cadesse dal carro che lo trasportava per ordine del re Davide. Un’altra volta qualcosa aveva inavvertitamente scatenato l’energia dell’Arca che si era schiantata sulla moltitudine, uccidendo non poche persone (Numeri 11:1). Anche quando i Filistei, come abbiamo già detto, riuscirono ad impadronirsene, dovettero restituirla perché, non sapendo come usarla venivano uccisi uno dopo l’altro, manifestando sintomi simili a tumori, che loro chiamavano pestilenza.

Le ipotesi sulla natura dell’Arca

Insomma, chi tentava di usare l’Arca dell’Alleanza senza la necessaria competenza faceva una brutta fine. E ciò apre la strada a svariate ipotesi sulla sua reale natura, ipotesi che noi esponiamo per dovere di completezza e sulle quali, pur essendo innegabilmente affascinanti, non mettiamo la mano sul fuoco. Secondo il rabbino Moshe Levin, l’Arca era un condensatore elettrico, un potente macchinario capace di accumulare ed erogare energia in un bagliore così accecante da annientare all’istante migliaia di persone. Dobbiamo dire che in termini biblici il potere che scaturiva dall’Arca era detto “arco di luce” e si manifestava nel breve spazio che separava le ali convergenti della coppia di cherubini accoccolati sul coperchio del cofano, come sfere di luce ed energia. Per i fedeli si trattava del manifestarsi della compiaciuta presenza di Dio.

L’Arca dell’Alleanza con le ali convergenti dei Cherubini (ricostruzione).

Ed infatti la Bibbia parla sempre di “Dio della Luce”. Sappiamo che la parola “arca” (una scatola contenitrice) è linguisticamente molto vicina ad “arco”, una forma come l’arcobaleno, così come si manifesta nel cosiddetto arco elettrico. Ed è dalla sinergica combinazione di immagazzinamento e produzione di energia che le lampade ad arco presero a svilupparsi nel 1822. La lampada ad arco si fonda sul principio delle polarità opposte (passaggio dal polo positivo a quello negativo e viceversa), replicando, in pratica, l’effetto che si otteneva fra le punte delle ali dei cherubini contrapposti mentre la potenza della luce si manteneva al centro del sistema, al centro dell’arco. Non ci risulta, tuttavia, che le lampade ad arco abbiano fatto strage di sudditi inglesi, né che l’Arca fosse un’innocua torcia elettrica. Doveva esserci di più.

Ad ogni modo sembra innegabile che la costruzione dell’Arca, così come viene descritta in Esodo 37: 1-9, risponde in modo perfetto alle caratteristiche di un condensatore elettrico, un’apparecchiatura capace di immagazzinare energia dall’atmosfera e di svilupparla nell’ordine di migliaia di volt. Nel citato brano dell’Esodo leggiamo: “Poi Bezaleel-il costruttore incaricato-fece l’arca di legno di acacia e la rivestì di oro puro di dentro e di fuori”. Ecco infatti i due elementi essenziali, le due superfici in oro (eccellente conduttore elettrico) che racchiudono un isolatore non conduttore come il legno di acacia. Il testo biblico continua: “E fece anche due cherubini d’oro”, collocati alle due estremità del propiziatorio (la parte superiore del cofano). Questi svolgono la funzione dei due elettrodi, poli che, per attivarsi, devono soltanto essere collegati reciprocamente con la corrispettiva lastra dorata. Anche a potenziali relativamente bassi, un congegno come questo poteva caricarsi in modo piuttosto potente.

Ammettiamo per un solo istante che una tale suggestiva ed affascinante ipotesi sia vera anche in parte. Le domande che scaturiscono sono molte. Ad esempio: come potevano gli Israeliti possedere una tale tecnologia? Come facevano a direzionare l’energia contro i nemici? E soprattutto: come mai non fu più utilizzata, dal momento che rendeva praticamente invincibili? Ci viene in mente che essa potesse essere tecnologia egizia, se pensiamo che il popolo del Nilo, secondo alcune ipotesi, padroneggiasse in qualche modo l’elettricità, ipotesi scaturite dalla scoperta di bassorilievi nel Tempio di Hathor a Dendera sulla riva occidentale del fiume. Secondo i sostenitori dell’archeologia misteriosa, i bassorilievi raffigurerebbero dei tubi di Crookes, apparecchi in grado di emettere radiazioni, alimentati da un cavo elettrico. È altrettanto vero che i bassorilievi vengono interpretati in maniera più prosaica e simbolica da parte dell’archeologia tradizionale, interpretazione che, senza ulteriori elementi, trovano l’autore in pieno accordo.

Le cosiddette lampade di Dendera sono dei bassorilievi con geroglifici scoperti dall’archeologo francese Auguste Mariette nel 1857 a circa 70 km da Tebe, nel Tempio di Hathor a Dendera, situato nell’omonima località dell’Egitto, sulla riva occidentale del Nilo. In realtà esse raffigurano Harsomtus, sotto forma di serpente, che emerge da un fiore di loto che di solito è attaccato alla prua di una chiatta.

Per quanto riguarda il direzionamento della micidiale energia, ciò rimane un mistero. Salta comunque all’occhio il particolare abbigliamento dei Leviti, che assomiglia ad una bardatura protettiva. Se questa tecnologia, sempre che si tratti di questo, non fu più utilizzata potrebbe essere stato a causa del depauperamento dei componenti che costituivano l’ipotetico dispositivo, oppure la sua effettiva distruzione. Se non fu più ricostruita fu forse perché potrebbe essere andato perduto il suo segreto, i suoi progetti, per così dire. È ovvio che al suo interno doveva esserci qualche altro componente necessario ad attivare il dispositivo, ma questo sarebbe stato a conoscenza solo dei Leviti. Ciò di cui siamo convinti, comunque, è che l’Arca non esistesse più al tempo della conquista babilonese, e che la sua presenza invisibile appartenesse già al mondo della leggenda.

L’Arca e il suo mito

Un mito che ha affascinato e stimolato per secoli la fantasia e i voli pindarici di molti. Le vicende storiche e i misteriosi poteri di questo leggendario manufatto hanno generato nella cultura popolare grande curiosità. Noi, inguaribili fan delle vicende di Indiana Jones, non possiamo non citare il film che di fatto ha reso popolare l’Arca nella cultura di massa: ne “I Predatori dell’Arca perduta”, infatti per la prima volta il mitico contenitore, viene scoperto proprio da Indiana Jones, che fa propria la succitata ipotesi della città egiziana di Tanis come luogo di sepoltura dell’Arca. E deve sottrarla alle mire dei nazisti che mirano ad usare i suoi poteri per annientare i propri nemici.

Una iconica immagine tratta dal film “I Predatori dell’Arca perduta”, 1981.

Per correttezza storica dobbiamo però precisare che, pur ossessionati dall’occulto e dalla ricerca di manufatti mitici (come la Lancia di Longino) da esibire per legittimare il Reich millenario, non risulta che i nazisti, e in particolare l’Ahnenerbe (fondata da Heinrich Himmler con lo scopo di ricercare le origini della razza ariana con campagne di scavo in tutto il mondo) abbiano mai intrapreso la ricerca dell’Arca. A questa divisione delle SS dedicheremo un prossimo articolo di approfondimento, che sarà possibile visualizzare cliccando qui.

Per concludere, segnaliamo che la raffigurazione dell’Arca compare proprio in cima all’emblema araldico della Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Essa viene ritenuta il grande custode del segreto massonico e risulta di particolare rilevanza nella Massoneria dell’Arco Reale, ossia il capitolo aggiuntivo che segue il conseguimento del terzo grado massonico.

Stemma della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, con in alto l’Arca dell’Alleanza.

L’arca dell’Alleanza, un simbolo potente che ha affascinato generazioni di persone, un simbolo tangibile del divino che unisce immanenza e trascendenza rimane per noi una delle immagini più suggestive, il cui destino è affidato alle pieghe della Storia.

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