Se negli anni Novanta ci avessero detto che un giorno avremmo trovato in vendita yogurt capaci di “sostenere il sistema immunitario”, acque “contribuenti alla bellezza della pelle” o snack che “aiutano la salute intestinale”, avremmo forse sorriso scettici. Oggi invece sugli scaffali di qualsiasi supermercato le promesse nutrizionali campeggiano in etichetta come bandiere in un raduno.
Parliamo naturalmente di alimenti funzionali: una categoria sempre più rilevante nel mondo della nutrizione e anche, inutile negarlo, nel marketing alimentare. Ma cosa c’è di vero dietro questa etichetta? Fanno bene davvero? E soprattutto: come distinguere un prodotto utile da un’abile operazione commerciale? Come sempre, lasciamo parlare la scienza. E con qualche riflessione in più, perché in tema di salute vale sempre la pena essere consumatori attenti e informati.
Alimenti funzionali: cosa sono davvero?

Secondo la definizione accettata in ambito scientifico — e validata anche da EFSA (European Food Safety Authority) — un alimento funzionale è un prodotto che, oltre al valore nutrizionale di base, ha un effetto positivo su una o più funzioni fisiologiche, tale da migliorare lo stato di salute o ridurre il rischio di malattie
Tradotto: non è sufficiente che un cibo contenga vitamine o sali minerali per definirsi funzionale. Deve esistere un’evidenza scientifica che dimostri che l’aggiunta (o la concentrazione) di quella determinata sostanza eserciti un effetto misurabile sull’organismo.
Ecco perché, nonostante le mode e gli entusiasmi del mercato, in Europa solo poche categorie hanno ottenuto veri e propri claim salutistici approvati. In cima alla lista troviamo sempre loro: probiotici, prebiotici e omega-3, e più recentemente anche i beta-glucani e alcune fibre ad azione prebiotica.
Probiotici e prebiotici: alleati del microbiota
Molto è stato detto e scritto sui probiotici — quei microrganismi vivi che, se assunti in quantità adeguate, apportano benefici all’equilibrio del microbiota intestinale e alla salute più in generale. Ma attenzione: l’efficacia non dipende solo dal nome magico “probiotico” scritto sul barattolo. Conta quale ceppo viene utilizzato (ad esempio Lactobacillus rhamnosus GG o Bifidobacterium lactis), in che quantità, con che stabilità al passaggio gastrico.
Gli studi più solidi riguardano la prevenzione della diarrea associata ad antibiotici, il supporto in alcune condizioni di sindrome dell’intestino irritabile e un certo ruolo nel rinforzare la risposta immunitaria.
Accanto ai probiotici si collocano i prebiotici: fibre solubili selettive — come inulina e frutto-oligosaccaridi — che fungono da “cibo” per i batteri intestinali favorevoli. L’assunzione regolare di prebiotici è stata associata a miglioramenti nella composizione del microbiota e ad un aumento della produzione di SCFA (acidi grassi a corta catena), utili per la salute metabolica e immunitaria.
Omega-3: i grassi che fanno bene (davvero)
Se un nutriente può a buon diritto definirsi “funzionale”, sono certamente gli omega-3 a lunga catena, EPA e DHA. La loro efficacia sulla riduzione del rischio cardiovascolare è ben documentata da decenni. Più recente, ma sempre più solida, è l’evidenza che attribuisce loro un ruolo nel miglioramento della funzione cognitiva e nel contrasto a fenomeni di neuroinfiammazione.
L’EFSA ha autorizzato claim per il mantenimento di normali livelli di trigliceridi, per il supporto alla funzione cardiaca e per la salute visiva (nel caso del DHA).
Ma come sempre il diavolo è nei dettagli: gli effetti benefici si osservano con apporti adeguati (da 250 mg/die fino a 2-4 g/die in caso di ipertrigliceridemia), preferibilmente da fonti certificate. Tradotto: una fetta di salmone a settimana non basta, e i biscotti “con omega-3” in quantità omeopatiche ancor meno.
Beta-glucani: i campioni della fibra solubile
Meno noti al grande pubblico, ma molto interessanti sul piano scientifico, sono i beta-glucani, polisaccaridi presenti in cereali come avena e orzo. Il loro meccanismo d’azione è ben descritto: formando un gel viscoso nel lume intestinale, rallentano l’assorbimento di zuccheri e grassi, contribuendo al controllo della glicemia post-prandiale e alla riduzione del colesterolo LDL.
L’EFSA autorizza infatti il claim per i beta-glucani da avena/orzo in relazione alla riduzione del colesterolo LDL, a patto che se ne assuma una quantità minima di 3 g/die. Ancora una volta, dunque, non basta che siano “presenti”: serve una dose efficace.
La galassia degli integratori: più marketing che scienza?
A fianco degli alimenti funzionali, prospera il mercato degli integratori, che spesso viene percepito come un prolungamento naturale di questa categoria. Ma se con gli alimenti funzionali i claim devono passare al vaglio di EFSA, per gli integratori la normativa è meno stringente, il che porta talvolta a messaggi ambigui o sopravvalutati.
Ad esempio, molti integratori di probiotici non specificano il ceppo né la quantità viva al momento dell’assunzione. Altri propongono dosaggi di omega-3 irrisori o forme di scarsa biodisponibilità. Non parliamo poi della pletora di “superfood in capsule” che promettono universi di benessere su basi scientifiche tutt’altro che solide.
La regola di base è sempre la stessa: verificare che il prodotto abbia:
- un razionale scientifico fondato;
- quantità efficaci;
- una buona stabilità.
- qualsiasi integratore DEVE essere consigliato da un professionista (non dai social)
E che non venga visto come un sostituto di un’alimentazione sana e completa.
Funzionali sì, ma non miracolosi

Il grande equivoco che spesso accompagna gli alimenti funzionali è la percezione che possano “compensare” abitudini alimentari scorrette. In altre parole: non sarà certo lo yogurt con bifidobatteri a riequilibrare una dieta ipercalorica e iperprocessata. Né un olio con omega-3 aggiunto potrà bilanciare da solo una carenza strutturale di pesce azzurro o vegetali.
I functional foods rappresentano uno strumento utile, ma devono inserirsi all’interno di un quadro alimentare equilibrato. Come ha ben sintetizzato l’Academy of Nutrition and Dietetics: “No food or supplement can substitute for a healthy diet”.
Scegliere con testa (e scienza)
Nel mondo sempre più vasto e a volte confuso degli alimenti funzionali, la parola d’ordine resta la stessa: consapevolezza. Leggere le etichette, informarsi, non cadere nei tranelli del marketing e dei social (tiktok sta davvero esagerando a consigliare prodotti miracolosi… e molte farmacie non fanno da meno). E, soprattutto, ricordarsi che la vera “funzione” più importante è quella svolta quotidianamente da una dieta varia, ricca di vegetali, pesce, cereali integrali e pochi cibi ultra-processati.
Solo così — e non affidandosi a mode del momento — l’alimentazione diventa realmente una leva di salute.
Fonti principali:
- EFSA, European Food Safety Authority, “Scientific substantiation of health claims related to beta-glucans, omega-3, probiotics and prebiotics”, EFSA Journal, 2020-2024
- FDA, 21 CFR Part 101. Food labeling: Health claims for soluble fiber, 2005betaglucani
- Braaten J.T. et al., “Oat beta-glucan reduces blood cholesterol”, Eur J Clin Nutr, 1994betaglucani
- Journal of Nutrition, “Effect of dietary fibers on glycemia and lipid metabolism”, 2023
- MDPI Nutrients, 2024, special issue on Omega-3 and gut microbiotabetaglucanicome mangiare bene 2024.
Dott. Febo Quercia – Biologo Nutrizionista
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