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Tra i padri di Eupalla-Carlo Mazzone, uno di noi.

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domenica, Aprile 28, 2024

E’ morto il sor Magara. Carlo Mazzone l’allenatore decano, quello cioè con più panchine in serie a (792, 797 calcolando i 5 spareggi) e nei vari campionati italiani in senso assoluto ( 1278 presenze). Ci ha lasciato lo scorso sabato nella sua amata Ascoli, sua città elettiva.

Le origini.

Nato il 19 marzo 1937, nel popolare e storico quartiere di Trastevere, Carlo Mazzone era romano e romanista.

La sua infanzia e giovinezza si accompagnano alle foto senza colori della Roma di Fulvio Bernardini, Amedeo Amadei, Sacerdoti e Ferraris IV e alle bombe, agli americani, la nascita della repubblica, Pacelli e la ricostruzione.

In quegli anni Carletto diventa un sanguigno giovanottone di un metro e novanta che come tanti sogna il pallone.

Calciatore delle giovanili giallorosse ma con la Roma gioca solo due partite.Lo mandano a farsi le ossa al Latina, poi lo vendono allo Spal e dopo al Siena. In C con l’Ascoli dà il meglio di sé. Con la squadra marchigiana, di cui diventa capitano, gioca fino al 1969 quando termine la carriera.

Non un grande campione ma un professionista onesto, un uomo di campo esperto e affidabile, in grado con carattere e intelligenza di guidare i compagni.

L’ allenatore.

Bravo a trarre insegnamento da ogni esperienza, “ sor Carletto” è stimato dal presidente Rozzi, altro personaggio di un calcio scomparso. Quando nel 1968, a stagione in corso, l’Ascoli resta senza mister e lui a diventarlo, pur essendo ancora un giocatore, e lo resta fino alla conclusione del campionato. Stessa cosa l’anno successivo quando subentra nella penultima giornata di “andata” e sfiora la promozione. Allena i marchigiani fino al 1975. In tre anni porta la squadra dalla C alla A, ottenendo la salvezza nella massima divisione.

Lo chiama la Fiorentina, con cui ottiene il terzo posto e poi il Catanzaro ( due stagioni, due salvezze) e nuovamente l’Ascoli ( cinque stagioni, quattro salvezze e un sesto posto). Torna ad allenare in B il Bologna e il Lecce che riporta in A e a cui regala due permanenze. Dopo una breve parentesi a Pescara, arriva al Cagliari che dopo 21 anni trascina in zona Uefa.

Giunto a 55 anni, specializzato in salvezze e promozioni, umile ma sempre dignitoso quando lo definiscono “ il Trapattoni dei poveri” replica è “Trapattoni ad essere il Mazzone dei ricchi”. La svolta potrebbe esserci con Sensi , nuovo presidente della Roma, che lo chiama a guidare la squadra della sua gioventù.

I tempi però non sono maturi. In tre stagioni ottiene piazzamenti decorosi ma non brillanti . La sua è la Roma, “romana e romanista”, dell’ultimo Giannini e del giovane Totti. “Er sor Magara” nonostante i risultati è amato per la genuinità. I tifosi ne percepiscono il carattere ruvido e generoso, volitivo e umanissimo e lo sentono da subito uno di loro.

Mazzone fiuta Totti quando è ancora “er pupone”. Lo protegge, impedendogli di montarsi la testa. Lo vuole come lui vero, serio,concreto.

La storia del mister prosegue per un altro decennio con una parentesi sfortunata al Napoli e poi ancora Cagliari, Bologna, Brescia e Livorno. Si ritira a 70 anni, circondato dall’ affetto dei figli e dei nipotini nella sua Ascoli, la città che più gli ha dato calcisticamente soddisfazioni.

Il tecnico e l’uomo.

Tecnicamente bravo e sottovalutato dalla grande stampa, probabilmente il temperamento fiero e un po’ burbero gli ha impedito di entrare nel circolo degli allenatori delle squadre di successo.

Diceva ” la tattica è il pane dei poveri, la tecnica dei ricchi” ma Guardiola, che ha vinto tutto , lo considera suo riferimento.

Molti esperti ne sottolineano, al di là del carattere esuberante, la freddezza tattica, il carisma naturale, il fiuto e condividono l’idea che il suo difensivismo sia dovuto più alla necessità imposta dal livello tecnico delle sue squadre, che alla sua naturale propensione di gioco.

Tutti i grandi che ha allenato, lo hanno amato. Baggio, Totti, Signori, Giannini, Guardiola, Pirlo nel vecchio allenatore esperto in “ salvezze” e “promozioni” delle piccole squadre di provincia, sentivano un padre e un maestro perché nel suo calcio “autentico e antico” ritrovavano tra fango, fischi, pioggia e sole la parte più vera del loro sport.

Nel pallone come nella vita la retorica e i titoli sgargianti sono poca cosa. Contano invece le pedate nel sedere, gli scatti di reni, la voglia di rialzarsi e combattere pur quando ci si è fatti male. Kipling con If lo diceva in altri termini, ma “Amedeo, ma ‘ndo ca**o vai?”, “ A Totti vatte a fa la doccia” del sor Magara insegnano la stessa cosa.

Nervi saldi fino al novantesimo e rigori, e tener duro “quando in te non resta altro se non lo volontà” perché fare goal è sempre possibile per poi magari urlarlo sotto la curva avversa come in Brescia Atlanta nel 2001.

Mazzone era così e persino in un’ epoca di un calcio quasi artefatto, restava il ragazzino che aveva imparato ad essere uomo dai campioni di Campo Testaccio.

Petto in fuori, palla a terra, tocco alto; nel gesto un saluto e onore a una storia che scorre e va. La sfera però resta sospesa perché il calcio, fuori dal tempo e dai campi, ha angeli strani tra cui allenatori giganti che corrono in tuta.

Ed ecco che in alto più in là, i sacerdoti di “Eupalla” consegnano a Mazzone coppa e scudetto.

Indiscrezioni dicono che per “decisione societaria” il mister sarà tra coloro che ispireranno e guideranno le anime bambine dei futuri campioni anche quando saranno grandi e di tutti coloro che sogneranno di esserlo tirando un calcio ad una palla anche quando resteranno piccoli.

Le gazzette celesti anticipano che nel cielo del pallone,dove le regole sono diverse, Mazzone siederà non nella seconda fila, quella di chi qui chiamiamo “vincenti” ,ma nella prima tra coloro cioè che sono stati “come padri”.

“ A Carlé , non poteva andà mejo”. Non lo sapevi ma con la tua vita “ te sei imparato pure a morì”.

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