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EUGENETICA (Ultima parte).

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Il quadro della diffusione e dell’applicazione delle teorie eugenetiche, ci ha condotto attraverso l’esame di contesti assolutamente significativi ed emblematici rispetto alla evoluzione scientifica ed applicativa delle teorie stesse.
I riflettori, per chi affronta la questione eugenetica, sono principalmente accesi sul periodo della sua teorizzazione e dei primi sviluppi applicativi, in un contesto temporale dalla metà dell’ottocento alla fine della seconda guerra mondiale, in cui le teorie di Charles Darwin conquistavano il palcoscenico delle scienze biologiche, e si riversavano nelle scienze umane con la pretesa di costituirne la chiave unica di lettura oggettiva, finalmente affrancata dalla morale e dall’etica tradizionale costruita sugli assiomi della teologia e dei principi giudaico-cristiani all’epoca riconosciuti come capisaldi di riferimento.
Ma il positivismo scientifico e la spinta politica e produttiva di una nuova “corsa all’oro”, fondata sull’espansione territoriale e coloniale, sull’affermazione delle etnie nazionali, che necessitavano di una poderosa spinta demografica per dotare gli Stati delle necessarie risorse umane, sulla ridefinizione degli obiettivi socio-culturali da seguire, individuati nell’integrità psicofisica, nell’efficienza produttiva e nell’impiego delle risorse in settori di sviluppo remunerativi, contribuirono a creare una mostruosità, un nuovo Leviatano che si è nutrito di una parte dell’umanità fragile in nome dei nuovi principi scientifici.
Il contesto degli Stati Uniti ci ha disvelato una società di nuova costruzione disposta a venire a patti con i principi costituzionali e con i diritti dell’individuo, una società disposta a lasciare indietro, ad emarginare ed a dimenticare coloro che venivano considerati “gli ultimi” della scala sociale, per attestarsi come Nazione leader e guida di una nuova umanità protesa verso nuovi primati e verso un nuovo equilibrio mondiale.
Il contesto Germanico ha raccolto questi principi scientifici e li ha potenziati in uno sforzo di rifondazione di una nuova umanità, basata sulla definizione di una razza ben determinata e sulla definizione degli standard di appartenenza ad essa. Tutti coloro che risultavano essere al di fuori di questo nuovo progetto di umanità costituivano non soltanto uno spreco di risorse dello Stato e della collettività, ma un ostacolo al progetto stesso; ragion per cui l’obiettivo primario era stato stabilito nell’eliminazione dell’umanità estranea alla razza, ovvero alla sua sottomissione al servizio della razza che avrebbe dovuto dominare il nuovo mondo.
Si è passati così, nel periodo di poche decine di anni, dalla ghettizzazione, dalla discriminazione e dalla emarginazione sociale, al genocidio, come massima espressione della letale combinazione tra eugenetica positiva ed eugenetica negativa.
In questo scenario, solo recentemente oggetto di approfondita rivisitazione, risulta ancora sfuggente a doverose indagini analitiche l’evoluzione e l’applicazione delle teorie eugenetiche in molti Stati del mondo. Soltanto recentemente sono state assunte iniziative per avviare indagini di accertamento e di approfondimento che offrono, in definitiva, un quadro molto controverso non soltanto relativamente alla questione dell’eugenetica, ma anche più in generale sul riconoscimento e sull’applicazione dei diritti umani nei vari Stati.
Vengono così alla nostra attenzione alcuni casi molto interessanti.

Il caso della Svezia
Ricollegandoci a quanto già esposto circa le teorie eugenetiche, nate in Inghilterra e diffuse in prima applicazione negli Stati Uniti, e successivamente approdate in esito agli approfondimenti scientifici ed accademici in Germania, la Svezia costituisce un altro crocevia di diffusione delle teorie eugenetiche in nord Europa.
Per spiegare tale diffusione, bisogna premettere che la Svezia aveva conquistato la propria autonomia
La situazione dell’economia svedese aveva dato corso ad un fenomeno migratorio di massa verso il nuovo mondo. Il Paese scandinavo, ancora impregnato della dottrina del luteranesimo che aveva in esso trovato il terreno ideale, divenendo la religione di stato per effetto della riforma protestante, aveva trovato una sponda ideale oltre oceano alle teorizzazioni dei movimenti popolari e delle chiese libere che si collegò al fenomeno etico-religioso dell’Anglo-American Revivalism di matrice protestante.
L’immigrazione proveniente dalla Svezia, nelle posizioni politiche e legislative espresse dagli Stati Uniti sul fenomeno migratorio, costituiva un fattore di positiva implementazione della popolazione; pertanto l’immigrazione proveniente dal nord Europa era accettata, peraltro rispondendo ad un fenomeno già conosciuto.
Alla metà del XVII secolo, infatti, la Svezia era considerata una delle grandi potenze europee, comprendendo il proprio regno la Finlandia, parte della Russia, l’Ingria, la Pomerania, la Lettonia e l’Estonia.
La Svezia tentò quindi di espandersi costituendo una colonia nel Nord America, costituendo la Compagnia di Nuova Svezia, che si insediò nella regione dell’odierno Delaware per la produzione agricola ed il commercio di pellicce.
L’immigrazione svedese era, quindi, già radicalizzata nel periodo di fine Ottocento, quando iniziarono a diffondersi negli Stati Uniti le teorie eugenetiche.
I movimenti popolari e religiosi che cercarono di fondere un risveglio della società sotto il profilo etico e sociale con la riscoperta della fede e della rettitudine morale, diedero vita ad un preciso indirizzo della società svedese finalizzato ad affrontare e risolvere la questione sociale.
Determinante per la questione eugenetica in Svezia fu l’azione della socialdemocrazia, SAP (Sveriges Socialdemokratiska Arbetareparti ovvero partito socialdemocratico dei lavoratori di Svezia) nata nel 1889, ed al governo del Paese dal 1932 al 1976.
Il SAP introdusse in Svezia una precisa ideologia, quella della folkhemsideologi, l’ideologia della folkhemmet (casa del popolo), ad indicare la politica sociale dello Stato basata sui principi di uguaglianza, cura, collaborazione e prontezza nell’assistenza.
Un nuovo modello di welfare che dirigeva l’azione dello Stato in chiave fortemente solidaristica.
L’aspirazione utopica era quella tendente ad una giustizia universale, ad un’uguaglianza di diritti ed opportunità, la rimozione delle barriere sociali.
L’idea iniziale del nazionalsocialismo svedese fu soggetta, rispetto alle iniziali teorizzazioni, ad una fase di riformulazione e di revisione.
L’introduzione della figura dell’ingegnere sociale e la teorizzazione del Funzionalismo indussero la società a puntare dritto verso l’obiettivo del benessere e dell’interesse collettivo; l’interesse collettivo espresso dallo Stato come interesse primario e prevalente sui diritti del singolo individuo.
L’idea eugenetica in Svezia prese corpo con la paura della degenerazione e del declino, concetti questi legati alla degenerazione fisica, alla degenerazione morale ed alla difettosità riproduttiva.
Su queste paure si stagliava la convinzione di una supremazia della razza nordica, una convinzione della superiorità delle virtù e delle caratteristiche fisiche ereditate dalle popolazioni vichinghe.
Herman Lundborg, medico e psichiatra, fu una figura chiave per l’introduzione dei concetti eugenetici nella società svedese.
Nella sua opera del 1922 Rasbiologi och Rashygien enunciò un vero e proprio decalogo eugenetico, dopo la creazione dell’Istituto Statale per la Biologia Razziale (SIR) che egli fu chiamato a dirigere.

Herman Lundborg fu direttore dell’Istituto di biologia razziale dal 1921 al 1935. Dietro di lui ci sono i ritratti del suo libro Svenska folktyper , dove le persone erano disposte secondo principi biologici razziali.
© Biblioteca dell’Università di Uppsala

Nel 1926 fu pubblicata la ricerca The Racial Character of the Swedish Nation lavoro di classificazione delle popolazioni nel campo antropologico.
Nel 1936 il SIR passò sotto la direzione di Gunnar Dahlberg che diresse gli studi dell’Istituto orientandoli dagli studi antropologici razziali agli studi clinici basati sui decorsi patologici delle malattie ereditarie.
All’inizio degli anni ‘30 la Svezia risultava essere il Paese con la più bassa natalità al mondo; la politica di incremento demografico divenne una priorità per il Paese.
In questo contesto si operò per una rivisitazione del ruolo della donna nella società svedese, con la concessione di sussidi, una maggiore emancipazione, una liberalizzazione dei costumi anche sessuali.
Nel 1915 era stata introdotta la nuova legislazione matrimoniale, che seppure non non comprendeva pratiche di sterilizzazione, conteneva principi eugenetici di impedimento al matrimonio: ritardi mentali, malattie mentali ed epilessia.
La legge sulla sterilizzazione SFS 171/1934 fu discussa ed approvata, entrando in vigore il primo gennaio 1935.
La legge era rivolta agli individui sofferenti di malattia mentale e/o di altri squilibri mentali, incapaci di assicurare cure ai loro figli, e suscettibili di trasmettere ereditariamente le malattie mentali.
La legge individuava la Commissione Nazionale Medica nella gestione, nella direzione e nella sterilizzazione dei malati mentali. Per intervenire era sufficiente il parere positivo di due medici.
Furono introdotti criteri di misurazione delle capacità mentali dell’individuo.
La successiva legge SFS 318/1938 introdusse la legislazione sull’aborto, con la quale la gravidanza poteva essere interrotta (art. 1) nei casi in cui: 1) quando la nascita del bambino nel caso di malattia, difetto fisico o labilità della donna, causerebbe grave pericolo per la sua vita e salute; …… 3) quando si può presupporre con fondatezza che la donna o il padre del nascituro per mezzo della legge ereditaria trasmetta ai discendenti la malattia mentale, il ritardo mentale o gravi malattie fisiche.
La legge fu abrogata soltanto nel 1974.
Nel 1941 fu approvata la seconda legge sulla sterilizzazione, la SFS 282/1941, che includeva nelle pratiche di sterilizzazione anche le persone ritenute incapaci di prendersi cura della prole a causa del proprio stile di vita definito “asociale”, nonché rivolta alle donne che a causa di malattia, difetto fisico e/o debolezza che si fosse sottoposta a sterilizzazione in caso di interruzione di gravidanza.
La legge 133/1944 introdusse la castrazione chimica a repressione degli istinti sessuali che avrebbero potuto avere come effetto la commissione di un reato, ovvero in caso di istinti sessuali che comportavano disturbi mentali.
L’attuazione dl programma eugenetico in Svezia è durata fino al 1975 con l’entrata in vigore della nuova legge di sterilizzazione 580/1975, ed in questo periodo si conclude l’esperienza eugenetica in Svezia.

Il caso del Giappone

Il 19 giugno 2023 è stato presentato nel parlamento giapponese un rapporto relativo ad uno studio, condotto per tre anni, di approfondimento sugli effetti dell’introduzione della legge sulla protezione dell’eugenetica.
In Giappone le teorie eugenetiche erano arrivate successivamente rispetto al panorama europeo.
La crisi economica ed alimentare vissuta dal Paese nel corso della guerra, aveva indotto il parlamento a promuovere nel 1940 una legge nazionale eugenetica che prevedeva la sterilizzazione volontaria per i soggetti disabili mentali e fisici, e per parenti entro il quarto grado portatori di una disabilità psichica o fisica.
Malgrado la successiva approvazione della Costituzione giapponese nel 1946, che proclamava nell’art. 13 il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità degli individui entro i limiti dell’interesse pubblico, una legge del 1948, la “legge di protezione eugenetica”, eliminava il requisito della volontarietà della scelta e sanciva, invece, la sterilizzazione forzata, codificando sia l’eugenetica negativa in 34 articoli di legge che prevedevano pratiche di sterilizzazione forzata, di aborto selettivo tramite consenso dei coniugi, sia l’eugenetica positiva indirizzata a favorire la procreazione di individui desiderabili con la programmazione delle unioni tra persone geneticamente sane che venivano promosse per mezzo delle “Agenzie per i matrimoni eugenetici” che la legge istituiva sull’intero territorio nazionale con diffusione capillare.
La legge è rimasta in vigore per 48 anni dal 1948 al 1996, data della sua abrogazione e trasformazione nell’attuale “Legge per la protezione della salute madre”.
In questi 48 anni il numero ufficiale di sterilizzazioni è stato stimato in circa 25.000, di cui 16.500 forzate e 8.500 con il “consenso” prestato dalle persone designate.
In realtà stime ufficiose innalzano i dati delle sterilizzazioni a circa 85.000.
L’approfondimento sulla questione è nato dopo che alcune delle vittime avevano agito per l’accertamento degli abusi subiti con una serie di cause intentate contro il governo.

Osaka, la protesta degli avvocati di donne sterilizzate «a rigor di legge» di fronte alla prefettura – Ap/The Yomiuri Shimbun.

Diversi sono stati i casi documentati tra i quali anche quelli di due bambini di 9 anni.
In base alla nuova legge del 2019, per effetto della quale è stata disposta l’indagine ed è stato redatto il rapporto di 1400 pagine, ogni persona che abbia subito sterilizzazioni forzate può chiedere un risarcimento di 3,2 milioni di yen, equivalenti a circa Euro 20.000,00.
Per la richiesta risarcitoria c’è un termine di scadenza previsto entro aprile del 2024.
Occorre anche precisare che delle persone coinvolte che attualmente sono stimate in circa 25.000 il risarcimento è stato richiesto da poco più di un migliaio.

La stolen generation

Una ulteriore particolarità è quella costituita dal caso dell’Australia, la nazione di recente formazione, istituita colonia inglese alla fine del settecento, che assunse una propria identità dopo l’entrata in vigore della Costituzione approvata nel 1900 ed entrata in vigore nel 1901.
Nel nuovo continente la popolazione bianca che aveva costituito le colonie dovette affrontare la questione degli aborigeni, i nativi che occupavano il continente da migliaia di anni. Si ipotizza che i primi abitanti fossero pervenuti nel continente dall’Asia oltre 50.000 anni fa.
Dall’arrivo della popolazione bianca, principalmente di origine inglese, il Paese si fonda sul concetto di terra nullius. Secondo il diritto australiano, prima dell’arrivo dei britannici il Paese non apparteneva a nessuno.
In questo modo non è mai stato affrontato il tema della preesistenza e della presenza degli aborigeni dal punto di vista dei diritti reclamati sul territorio.
Piuttosto si è posto il problema aborigeno sotto il profilo della identità razziale e culturale del Paese.
Dal 1869 al 1969 fu adottata una politica di totale assimilazione, basata sul prelievo e sull’allontanamento dei bambini dalle famiglie di origine, strappati letteralmente dalle braccia dei genitori, e sul loro affidamento ad istituti creati affinché i bambini potessero essere educati ed istruiti secondo la cultura dei bianchi europei, evitando la mescolanza razziale con l’etnia degli aborigeni.

Il popolo aborigeno rappresentava un problema, costituendo un ostacolo alla evoluzione programmata dai bianchi australiani.
La compresenza nello stesso territorio della popolazione aborigena e della popolazione bianca delle colonie inglesi, causò ben presto il fenomeno delle nascite frutto di unioni miste. Questo fenomeno divenne ben presto incontrollabile e diffuso e concesse la scusa per creare degli istituti dove i bambini, discendenti da unioni miste, sarebbero stati destinati a costituire la manodopera e la manovalanza del mondo “civile bianco”.

I membri della tribù aborigena Kalkadoon, 1900 circa. (Ph. Vintage Queensland).

Questa forma di sopraffazione è stata valutata come il frutto di un preciso programma eugenetico finalizzato ad estirpare un’etnia dal territorio, ed ha, di fatto, privato la cultura aborigena del proprio futuro, annullando le future generazioni con questa diversa forma di genocidio.
L’ulteriore conseguenza è stata quella di condannare i bambini sottratti alle loro famiglie ad una insostenibile ed umiliante segregazione.
I ragazzi “riformati” secondo la cultura bianca, venivano infatti successivamente rilasciati nella società all’età di 18 anni, risultandone comunque totalmente estranei; la loro identità non apparteneva più alla cultura aborigena, ma neppure potevano essere riconosciuti come veri e propri australiani.
Soltanto nel maggio del 1995, dietro pressione dell’opinione pubblica, la Commissione per i diritti umani e le pari opportunità dispose la “National inquiry into the separation of Aboriginal and Torres Strait Islander Children from their families” per un’inchiesta sulla questione.
I dati emersi condussero al National Sorry Day proclamato nel 1998 e celebrato il 26 maggio, pur non rivestendo l’ufficialità di una celebrazione festiva.
La questione aborigena rimane ad oggi ancora irrisolta.
Basti pensare che il 14 ottobre 2023 è stato indetto un referendum per una modifica della Costituzione australiana che avrebbe consentito la creazione di un organismo Parlamentare di rappresentanza aborigena.
Tuttavia gli australiani con il 56,9% dei no, hanno negato questa possibilità, rinviando ancora una volta la possibilità di dare voce alla minoranza etnica del Paese.
Attualmente, un altro fenomeno eugenetico è registrato in espansione nel continente australiano: lo sviluppo e la diffusione delle cliniche che concedono la possibilità di programmare le caratteristiche genetiche del nascituro, scegliendone le caratteristiche come il colore degli occhi, il colore dei capelli, ed altre tipologie somatiche.
La questione ha sollevato un grande dibattito che è destinato ad accendersi ulteriormente con lo sviluppo delle tecniche di programmazione delle nascite.

Gli insegnamenti della storia

La questione eugenetica, pur avendo una recente nascita, ha avuto un impatto rilevantissimo e decisivo nell’ambito della storia umana.
L’adesione alle teorie scientifiche che ne hanno costituito l’ossatura e la diffusione applicativa delle stesse nella società umana, hanno impresso un’impronta indelebile nella recente storia, che ancora condiziona le scelte e gli orientamenti politici.
A fronte di un grande sforzo di civiltà, volto al riconoscimento ed alla proclamazione universale dei diritti umani, permane una irresistibile forza di attrattiva magnetica delle società moderne, orientata verso i principi di positivismo scientifico, di funzionalismo e di programmazione sociale, che puntano diretti verso il disconoscimento dei principi di uguaglianza ed inclusione, e mirano piuttosto a criteri di selezione, di ottimizzazione e di esclusione.
Se i proclami politici, etici e morali ci indicano la strada dei diritti universali, nella faccia oscura della Luna le direttive mediche, scientifiche, evoluzionistiche, ci indicano un percorso diametralmente opposto e divergente.
La storia ha universalmente mostrato dove conduce il percorso seguito dalla scienza, dalla selezione, dall’evoluzione: una strada senza ritorno che attraversa l’inferno del genocidio, della soppressione, dello sterminio.
Il costo di questa strada ci è stato mostrato in tutta la sua mostruosa crudeltà, ed ancora oggi costituisce un monumento che ammonisce le generazioni future.
L’uomo demiurgo, il dio di se stesso, l’arbitro assoluto, di fronte alla fragilità, all’imperfezione, ed in definitiva all’umanità, annienta se stesso come la più imperfetta delle creature naturali, come espressione di un antiuniverso rinascimentale.
Sarà necessaria un’accurata opera di discernimento etico e morale per affidarci alla scienza del futuro, maggiormente in questi tempi che evolvono verso l’intelligenza artificiale alla quale già si pensa, senza la necessaria ponderazione e senza un’adeguata valutazione, di affidare i processi di crescita dell’umanità.

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