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ERUZIONI VULCANICHE, CAMBIAMENTI CLIMATICI E PESTE GIUSTINIANEA: LA FINE DELL’ETA’ ANTICA E L’INIZIO DEL MEDIOEVO.

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martedì, Aprile 30, 2024

Può l’eruzione di un vulcano cambiare la storia del mondo? Che relazione esiste tra un evento naturale, un cambiamento climatico e una pandemia? Recenti studi hanno evidenziato che il 536 d.C. è stato l’anno peggiore per la storia dell’umanità: gli eventi catastrofici che hanno colpito l’Impero Romano d’Oriente (impropriamente chiamato Impero Bizantino) sono stati il motivo dell’effettivo passaggio dall’età antica al medioevo (comunemente ritenuto, invece, il 476 d.C. con la deposizione dell’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augustolo): la peste che durante il regno di Giustiniano I Il Grande colpì la parte orientale dell’Impero Romano e successivamente l’intero bacino mediterraneo, riducendo del 25% la popolazione, segnò la fine di un’epoca di splendore, portando al crollo della civiltà urbana, già fortemente indebolita da vicende belliche ed economiche. Il 536, dunque. L’anno peggiore. Ma come è possibile che tutto ciò sia stato innescato (tranne le guerre) da una o più eruzioni vulcaniche a migliaia di chilometri di distanza? È ciò che andremo a scoprire in questo nuovo articolo della Stele di Rosetta, in esclusiva per IQ.

TABELLA DEI CONTENUTI

UN SOLE PRIVO DI RAGGI

LE TEMPERATURE SI ABBASSANO

LA PESTE GIUSTINIANEA

LA PORTATA DELLA PANDEMIA

COSA PROVOCO’ LA MISTERIOSA FOSCHIA?

ALLA RICERCA DEL “COLPEVOLE”

LE CONSEGUENZE: L’INIZIO DEL MEDIOEVO

UN SOLE PRIVO DI RAGGI

A partire dal 536 d.C. il pianeta conobbe un lungo periodo di oscurità. Questo fenomeno atmosferico faceva sì che in alcune parti dell’Europa e dell’Asia il sole splendesse non più di 4-5 ore al giorno, perennemente coperto al punto che i resoconti del tempo descrivono la luce solare simile a quella lunare per intensità.

Il resoconto di Procopio di Cesarea…
Uno dei testimoni oculari dell’evento fu lo storico e generale bizantino Procopio di Cesarea (490-560). Consigliere del celebre generale Belisario, tornò con questi a Costantinopoli nel 540 quando scoppiò la terribile peste. Ciò che riportiamo qui di seguito è il suo inquietante resoconto.

Tutto quest’anno fu eziandio segnalato da un grandissimo prodigio, apparendo il sole privo di raggi a simiglianza della luna, e quasi il più dei giorni cercaronlo indarno (invano) gli umani sguardi; spoglio, pertanto, dell’ordinario chiaror suo risplendeva oscuro e fosco anzi che no: presagio, al tutto verificatosi, d’imminente guerra, di peste, fame, e d’ogni altro malore correva in quello stante, l’anno decimo dell’imperatore Giustiniano”.

Cassiodoro, da un manoscritto su vellum del XII secolo.

…e quello di Cassiodoro
Cassiodoro (485-580) fu un politico, letterato e storico romano che visse sotto il regno romano-barbarico degli Ostrogoti e successivamente sotto l’Impero Romano d’Oriente. Di lui rimangono molte opere importanti. Ciò che, però, a noi interessa al momento è il resoconto che ci ha lasciato riguardo al fenomeno atmosferico.

[…]” Il Sole, prima delle stelle, sembra aver perso la sua luce abituale, e appare di un colore bluastro. Ci meravigliamo di non vedere l’ombra del nostro corpo a mezzogiorno, e di sentire il possente vigore del calore solare sprecato in debolezza, e di cogliere fenomeni che accompagnano un’eclissi transitoria prolungarsi per un anno intero. Inoltre la Luna, anche quando è piena, è priva del proprio naturale splendore. […] Abbiamo avuto un inverno senza tempeste, una primavera senza mitezza e un’estate senza calore. Cosa possiamo sperare per il raccolto, se i mesi che avrebbero dovuto maturare il grano sono stati raffreddati dalla bora? Cosa produrrà l’abbondanza se la terra in estate non si scalderà? […] Queste due influenze, il gelo prolungato e la siccità inopportuna, appaiono in conflitto con tutte le cose che crescono. Le stagioni sono cambiate divenendo immutabili e ciò che le piogge intermittenti potevano causare, la siccità da sola non può certo produrre”. […]

LE TEMPERATURE SI ABBASSANO

Questa misteriosa foschia che avvolse il sole nei cieli d’Europa, Medio Oriente e di parte dell’Asia produsse una riduzione della luce e del calore del sole, provocando la precipitazione della temperatura dell’emisfero settentrionale del pianeta di 1,5-2,5°, dando inizio al decennio più freddo degli ultimi 2300 anni, chiamato piccola era glaciale tardoantica (PEGTA). L’anomalia climatica del 536 fu il primo fenomeno di un declino della temperatura globale che sarebbe durato un secolo.

Annali dell’Ulster, copia del Trinity College, Dublino.

Le conseguenze non tardarono a presentarsi: siccità e gelate che fecero crollare la produttività agricola, causando fame e carestie in tutto il mondo. Alcune fonti irlandesi, come gli Annali dell’Ulster e la Cronaca di Inisfallen, confermano quanto sostenuto dagli autori antichi, parlando di una carenza di pane, mentre gli Annali Cinesi menzionano la scomparsa di Canopo, la stella più brillante, oscurata dal misterioso pulviscolo, sottolineando anche la caduta di neve nella località di Shandong, che si trova alla stessa latitudine della Sicilia.

LA PESTE GIUSTINIANEA

Questa condizione di temperature ridotte, carenza di cibo, fame e malnutrizione, oltre alla carenza di vitamina D (prodotta esclusivamente in presenza di sole e che ha un ruolo nella regolazione della risposta immunitaria di tipo innato contro gli agenti microbici) provocò un abbassamento delle difese immunitarie delle popolazioni che, di fronte ad una serie di agenti patogeni si ammalarono più facilmente. Una suggestiva teoria afferma che il cambiamento climatico possa aver risvegliato un pericoloso agente patogeno trasportato poi a bordo delle navi. Tuttavia, non vi sono prove al riguardo. Fatto sta che nel 541 si scatenò nei territori dell’Impero Romano d’Oriente un’epidemia di peste bubbonica che colpì con particolare forza la capitale Costantinopoli.

Batteri dello Yersinia pestis visti al microscopio elettronico. Science Photo Library.

Lo Yersinia pestis
L’epidemia di peste bubbonica fu causata dallo stesso batterio, lo Yersinia pestis, che avrebbe colpito l’Europa nel XIV secolo (la peste nera) con simili effetti sociali e culturali. Uno studio del 2014 ha dimostrato che si trattava dello stesso agente patogeno, ma appartenente a un ceppo diverso e ora estinto. Lo Yersinia pestis è l’agente eziologico della peste: si tratta di una zoonosi, ossia di una malattia che può essere trasmessa dagli animali all’uomo – in questo caso i ratti – la cui trasmissione avviene attraverso le pulci che rigurgitano il contenuto batterico al pasto successivo.

Mappa della diffusione della peste giustinianea.

L’origine e la diffusione
Il batterio della peste potrebbe aver avuto origine in Etiopia o in Egitto e poi essersi diffuso verso nord fino a Costantinopoli, considerati anche i notevoli flussi di generi alimentari, soprattutto di grano, che provenivano dal nord-Africa. Tali generi alimentari viaggiavano sulle navi e con esse anche i ratti che poi diffusero i parassiti che attaccarono gli uomini.

Secondo Procopio, la prima ondata pandemica sarebbe partita dal porto egiziano di Pelusio, sulla foce orientale del Delta del Nilo nell’ottobre del 541 e interessò l’anno seguente e con rapidità la Valle del Nilo. Il morbo viaggiò su navi mercantili e con le carovane. Infuriò nelle città portuali e nei centri commerciali, dove la gente si accalcava in condizioni igieniche poco favorevoli e si diffuse favorito dall’abbondanza di ratti in città e nell’area portuale, a loro volta contagiati da ratti infetti giunti con le imbarcazioni. Ben presto il morbo raggiunse la Siria e la Palestina, estendendosi a nord fino ad Antiochia; in primavera, la peste colpì Costantinopoli e l’Illiria, mentre ad ovest furono coinvolte le province africane (Tunisia ed Algeria) e la Spagna.

Le sofferenze dei contagiati
La peste giustinianea (dal nome dell’imperatore Giustiniano sotto il cui governo si manifestò) prolifera nei linfonodi con conseguente necrosi. La manifestazione tipica di questa forma di peste è lo sviluppo di ingrossamenti infiammati delle ghiandole linfatiche, seguiti da febbre, mal di testa, brividi e debolezza. Poiché essa si manifestava in seguito alla puntura di pulci infette o per il contatto diretto tra materiale infetto e lesioni della pelle di una persona, essa non si trasmetteva da individuo a individuo.

Il monaco longobardo di lingua latina Paolo Diacono (720-799) così la descrive:

…piccole ghiandole delle dimensioni e forma delle nocche di dita nascevano all’inguine degli uomini o in altre parti più nascoste. L’apparizione di questi gangli era presto seguita da una febbre intollerabile e il malato moriva in tre giorni. Ma se il paziente superava il termine di tre giorni c’era speranza di vita”.

I malati presentavano instabilità mentale, stordimento, allucinazioni, dissenteria e dolori articolari. I medici non avevano idea di come la malattia si diffondesse e neanche di come curarla. I rimedi si riducevano a bagni caldi per cercare di far uscire dal corpo dei pazienti gli “umori cattivi”.

LA PORTATA DELLA PANDEMIA

La portata mortale della pandemia è molto ben descritta. Dai vari autori, come Procopio di Cesarea e Giovanni di Efeso, e dalle stime contemporanee, risulta una mortalità oscillante tra il 40% e il 60% della popolazione nell’arco dei quattro mesi in cui la peste imperversò a Costantinopoli, mentre guardando al Mediterraneo orientale, la riduzione della popolazione dovette essere intorno al 25%. Procopio di Cesarea riporta come, al suo culmine, la pandemia uccideva 10.000 persone al giorno nella sola Costantinopoli, una stima forse gonfiata dal generale stato di emergenza (alcuni storici moderni parlano comunque di 5.000 decessi giornalieri).

Non essendo possibile trovare luoghi dove seppellire i morti, i cadaveri dovettero essere spesso lasciati all’aperto, favorendo la diffusione del contagio. Si arrivò addirittura a lanciare i corpi in acqua dai moli. Giustiniano stesso si ammalò all’arrivo dell’estate, rischiando di morire. L’imperatore promulgò nuove leggi per snellire le procedure legate alle pratiche ereditarie, che raggiunsero un picco causato dagli innumerevoli decessi.

La vita pubblica si bloccò quasi ovunque, i commerci si fermarono e la gente non uscì di casa per paura del contagio. Le campagne furono abbandonate e i raccolti andarono perduti.

Costantinopoli ebbe trecentomila vittime, mentre in tutto l’Impero morirono tra i venticinque e i cinquanta milioni di persone.

COSA PROVOCO’ LA MISTERIOSA FOSCHIA?

Polveri vulcaniche scagliate ad alta quota.

Questo, in sintesi, fu il percorso iniziato con l’avvistamento della misteriosa foschia a cui avevamo accennato all’inizio di questo articolo. Ora è giunto il momento di esaminarne l’origine.

Tre eruzioni vulcaniche di grande portata avvennero nel 525-536, nel 539-540 e nel 547. Si presume che l’eruzione del 536 provenisse da un vulcano ad alta latitudine, probabilmente in Alaska o in Islanda, mentre l’eruzione del 539-40 potrebbe essere stata quella del vulcano Ilopango, nell’attuale San Salvador. Tuttavia, il 535 potrebbe essere stato l’anno di una delle catastrofiche eruzioni del vulcano indonesiano Krakatoa. Un altro sito vulcanico sospettato di esser coinvolto nel fenomeno è la caldera di Rabaul, nel Pacifico occidentale, esplosa intorno al 540.

Schema degli effetti di un’eruzione vulcanica sul clima.

Il sole schermato
Queste distruttive eruzioni solitamente scagliano nella stratosfera una nube di gas, ceneri e zolfo. I composti di quest’ultimo (in particolare l’acido solforico), formano un velo aerosol che riflette la luce del sole nello spazio e possono alterare il clima del pianeta, raffreddandolo. Gli studi scientifici hanno confermato un abbassamento della temperatura compreso tra 1,5 2,5°C in un’area molto estesa che comprende Europa e Asia e mettono in relazione gli eventi meteorologici con le carestie ricordate dalle fonti già citate.

ALLA RICERCA DEL “COLPEVOLE”

Attualmente, non si conoscono ancora quali siano stati esattamente i vulcani responsabili delle eruzioni. Solo di recente gli studiosi hanno trovato la prova che aveva innescato l’insolito evento – l’oscuramento solare del 536 – sulla base delle tracce di zolfo vulcanico deposto e rinvenuto nelle carote di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide, individuandone le origini in due grandi eruzioni avvenute nel 536 e nel 540.

Una “carota” di ghiaccio usata dagli scienziati per studiare i cambiamenti climatici.

Il ghiaccio e la sua memoria
I ghiacciai sono una sorgente preziosa di informazioni, un po’ come veri siti archeologici, dato che gli strati di ghiaccio si depositano gradualmente e in maniera permanente: per questo, andando in profondità, si possono trovare tracce chimiche risalenti ad epoche lontane. Andiamo quindi a vedere quali sono i due “indiziati” principali.

Il vulcano islandese
Dall’analisi del nucleo di un ghiacciaio svizzero (al confine tra Svizzera e Italia, presso Colle Gnifetti), gli scienziati hanno trovato particelle di ceneri e tefra (materiale piroclastico prodotto durante un’eruzione vulcanica) che provano un grande evento eruttivo. Tali tracce somigliano a quelle trovate nei laghi e nelle torbiere in Europa e in profondità nei ghiacci della Groenlandia e sono molto simili ad alcune particelle sulle rocce vulcaniche in Islanda. Tali dati, messi insieme, suggeriscono l’ipotesi di una eruzione in Islanda nel 536.

L’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull in Islanda.

La caldera di Ilopango, a El Salvador
Un altro indiziato è la caldera di Ilopango, che si trova a meno di 10 Km dalla capitale San Salvador, ed è una parte dell’arco vulcanico salvadoregno che comprende un totale di 21 vulcani attivi. La caldera (un’ampia depressione della superficie terrestre di forma circolare o ellittica) ha un diametro di 10 Km, originatasi 1,8 milioni di anni fa. Quando essa eruttò ci fu una violenta esplosione di enormi volumi di materiale piroclastico con formazione di gas e ceneri che raggiunse la stratosfera che furono trasportati per oltre 7.000 Km fino a latitudini polari. Il volume di magma espulso durante questa eruzione fu di circa 55 Km quadrati. Uno strato di cenere spesso almeno mezzo centimetro ricoprì aree vaste più di due milioni di Km quadrati dell’America centrale e si ritiene che il cielo in questa regione sia stato oscurato per almeno una settimana. Si è stimato che i flussi piroclastici ebbero un volume dieci volte maggiore di quello generato dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

Questa eruzione ebbe luogo durante il primo periodo Maya classico (300-600 d.C.), e causò la morte di ogni essere vivente entro un raggio di 50 Km e lo spopolamento in prossimità della caldera per decenni.

I frammenti di cenere appartenenti a questa catastrofica eruzione sono stati ritrovati a 7.000 Km, all’interno di una carota di ghiaccio estratta in Groenlandia. L’appartenenza di queste ceneri all’eruzione dell’Ilopango è stata dimostrata in base alla composizione chimica del vetro vulcanico, come un’impronta digitale che permette di correlare i depositi di ogni singola eruzione e il vulcano di provenienza.

Vista dal lato nord del lago calderico dell’Ilopango. Sullo sfondo si osserva il Vulcano San Vicente. Fotografia di Dario Pedrazzi.

Le caratteristiche dell’eruzione hanno fatto pensare per molto tempo che l’Ilopango fosse il principale responsabile del decennio insolitamente freddo nell’Emisfero settentrionale del 540. Tuttavia, dalle analisi del ghiaccio polare e dalle misurazioni al radiocarbonio di un albero carbonizzato trovato nei depositi eruttivi, gli scienziati sono stati in grado di datare con precisione la massiccia eruzione, con una forchetta cronologica di un paio d’anni, nel 431 d.C. Ulteriori prove archeologiche (come le ceramiche), che suggeriscono una data vicina all’inizio del periodo classico, allineandosi ai risultati degli studi geologici, assolvono l’Ilopango dall’accusa di aver causato il cambiamento climatico, per cui viene depennato dalla lista dei sospettati.

LE CONSEGUENZE: L’INIZIO DEL MEDIOEVO

L’imperatore Giustiniano I con il paludamentum viola e il suo seguito. Mosaico del 547. S.Vitale, Ravenna.

Giustiniano I fu l’ultimo imperatore romano educato nel seno di una famiglia di lingua e cultura latine, ed è considerato uno dei più grandi sovrani dell’età tardoantica e altomedievale. Il suo governo coincise con un periodo d’oro per l’Impero Romano d’Oriente, dal punto di vista civile, economico e militare. La sua maggiore eredità è la raccolta normativa del 535, poi conosciuta come Corpus Iuris Civilis, una compilazione omogenea della legge romana che è tutt’oggi alla base del Diritto Civile, l’ordinamento giuridico più diffuso al mondo.

Egli fu l’ultimo imperatore a tentare di restaurare l’antico Impero Romano, impadronendosi di gran parte dei territori che facevano parte dell’Impero d’Occidente attraverso il suo più famoso generale, Belisario. Ma la peste cambiò le carte in tavola: essa, infatti, influenzò la guerra greco-gotica, il peggior conflitto che abbia mai funestato la penisola italiana (535-553) e diede agli Ostrogoti la possibilità di rafforzarsi durante la crisi degli avversari.

L’Impero Romano d’Oriente e le riconquiste di Giustiniano.

Fu così che la parte orientale dell’Impero Romano entrò nella crisi più profonda: politica, economica, civile e demografica. Giustiniano, inseguendo il sogno di riunificare l’Impero, strappando ai barbari invasori la più gloriosa parte occidentale, aveva impegnato l’apparato statale ed erariale nelle Guerre Gotiche in Italia e contro i Vandali in Africa.

Nell’area mediterranea, la riduzione dei commerci portò sia all’autarchia economica gli stati romano-barbarici sia alla carenza di liquidità. Questo portò alla nascita del feudalesimo, visto che il potere statale, non avendo denaro, cominciò a pagare con terre i suoi impiegati.

Nell’Impero d’Oriente il crollo demografico dovuto alle vittime della peste, con il conseguente calo di manodopera, fece esplodere l’inflazione. Questa, unita alla recessione economica portò all’impoverimento dei ceti popolari e della borghesia cittadina.

Mappa delle invasioni barbariche.

La conseguenza fu che l’Impero si trovò senza soldati e senza denaro per arruolare mercenari: per prima cosa furono interrotti tutti i progetti di Riconquista dell’Occidente, poi si incontrarono immense difficoltà per difendere i confini. Di questo ne approfittarono Longobardi, Slavi, Avari e Arabi, i quali ultimi avevano un vantaggio in quanto le loro abitudini, impostate sul nomadismo nelle zone desertiche, si integravano bene in un contesto geografico sfavorevole alla diffusione della pandemia. L’Impero non aveva più risorse, umane ed economiche, per ricacciarli indietro. Possiamo sostenere che nella diffusione dell’Islam, un ruolo fondamentale l’abbia avuta la distruzione portata dalla peste.

Il crollo della civiltà urbana segnò il definitivo passaggio dall’antichità al Medioevo.

Guerre, pandemia, cambiamento climatico, calo demografico, immigrazione incontrollata-invasioni barbariche, recessione economica, impoverimento del ceto medio, inadeguatezza del potere centrale: non suona familiare…?

Thomas Cole, “Il Corso dell’Impero – Desolazione, 1836.

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