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LA VICENDA DI H.M.: IL LOBO TEMPORALE E LA MEMORIA.

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L’anno 1953 segna l’inizio di un capitolo significativo nella storia della neuroscienza, in particolare negli studi sulla memoria, con l’emergere di un paziente noto con l’acronimo H.M.

Quest’uomo, la cui identità completa era Henry Molaison, è diventato famoso per la sua incredibile storia, che ha fornito una chiave cruciale per comprendere la memoria e il funzionamento del cervello umano.

Henry Molaison nacque nel 1926 ed ebbe una vita apparentemente normale fino al 1953. A 27 anni, H.M. iniziò a soffrire di gravi attacchi epilettici, sorto probabilmente a seguito di una caduta dalla bicicletta, un disturbo che influenzò negativamente la sua qualità di vita. La frequenza e l’intensità degli attacchi erano così devastanti che la sua unica speranza sembrava essere un intervento chirurgico radicale.

Fu inviato pertanto dal dottor William Scoville, il quale localizzò nel lobo temporale mediale la causa dei suoi attacchi epilettici, proponendo l’ablazione chirurgica, che fu eseguita il 1º settembre 1953. Nel corso dell’intervento fu asportata parte di entrambi i lobi temporali, comprendente i tre quarti della formazione ippocampale, il giro paraippocampale e l’amigdala.

Secondo quanto riportato da Scoville, l’ippocampo del paziente risultava silente, probabilmente a causa di un’altra struttura cerebrale, la corteccia entorinale, che rappresenta una via d’accesso neuronale allo stesso ippocampo che appariva distrutta. Oggi sappiamo che l’ippocampo è una regione chiave per la formazione della memoria.

L’intervento ebbe successo: nel senso che non ci furono conseguenze tecniche postchirurgiche e ci fu una importante riduzione degli attacchi epilettici;  le reali conseguenze, che resero questo caso famoso ed importante nella storia della neurologia, riguardarono la funzione della memoria e furono completamente inaspettate.

Dopo l’operazione, infatti, H.M. sviluppò un tipo di amnesia anterograda, cioè l’incapacità di formare nuovi ricordi, insieme ad una lieve amnesia retrograda, che riguardava gli eventi dei due anni precedenti l’intervento. Più precisamente il danno riguardava la memoria semantica e non quella procedurale: egli era infatti in grado di apprendere nuove abilità motorie, ma non ricordava di averle apprese né quando né dove.

Gli esiti neurologici che colpirono il paziente suggerivano che la funzione mnemonica a breve termine e la codifica e il recupero di informazioni a lungo termine fossero localizzate e gestite da diverse aree del cervello.

Gli studi su H.M. continuarono per oltre cinquant’anni, fino alla sua morte nel 2008. Le ricerche condotte su di lui portarono a importanti scoperte sulla memoria dichiarativa, dimostrando che l’ippocampo svolge un ruolo cruciale nella trasformazione della memoria a breve termine in memoria a lungo termine. Questo caso ha aperto la strada a una comprensione più approfondita dei meccanismi cerebrali coinvolti nella formazione e nel recupero dei ricordi.

L’eredità di H.M. si riflette oggi in numerose ricerche e scoperte nel campo della neuroscienza. Il suo caso ha stimolato ulteriori studi sull’ippocampo e sulla memoria, contribuendo a sviluppare trattamenti più mirati per i disturbi della memoria; si tratta di una testimonianza straordinaria della complessità del cervello umano e dell’importanza di casi clinici unici nel progresso scientifico, come era stato nel secolo precedente con Phineas Gage.

Questa vicenda rimane un punto di riferimento fondamentale nella storia della neuroscienza. La sua esperienza ha illuminato aspetti cruciali della memoria e del cervello umano, dimostrando quanto possiamo apprendere da casi clinici straordinari. L’impatto di H.M. si estende ben oltre la sua vita, influenzando positivamente la ricerca scientifica e aprendo nuove prospettive nella comprensione della mente umana.

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