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I GUERRIERI DELL’IMPERATORE: L’ESERCITO DI TERRACOTTA DI XI’AN.

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lunedì, Aprile 29, 2024
Guerrieri della Fossa 1.

È assai arduo trovare espressioni adeguate per definire un complesso archeologico di dimensioni e caratteristiche multiformi eccezionali come quello di Xi’an. Infatti, le fosse contenenti un esercito in pieno assetto da combattimento e pronto all’attacco sono solo una piccola parte di una struttura funeraria che culmina nel grande mausoleo imperiale, la quale si erge come un’imponente collina artificiale alta più di cinquanta metri, e con angoli che le conferiscono una forma piramidale. Il sito è stato riconosciuto nel 1987 dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità. La sua casuale scoperta, avvenuta nel 1974 ad opera di un allora giovane contadino, Yang Zhifa, si rivelò il più straordinario e spettacolare rinvenimento archeologico degli ultimi cinquant’anni che, oltretutto, permise alla contea di Lintong di divenire, da povera contrada rurale, una delle più popolari destinazioni del turismo mondiale.

TABELLA DEI CONTENUTI:

LA FORTUNATA SCOPERTA

Il giovane Yang Zhifa, un contadino del villaggio (o Comune Popolare) di Xiyang, nella provincia di Shaanxi, nella Cina centrale, non immaginava di certo cosa stava per capitargli. Un giorno di marzo del 1974 Zhifa si apprestava a trivellare un pozzo per irrigare le sue colture sofferenti per la siccità nei pressi di una piccola area boschiva a sud del villaggio, che si trova a 35 km ad est dell’antica capitale imperiale di Xi’an (una della quattro capitali antiche della Cina, utilizzata da ben tredici dinastie, incluse la Zhou, la Qin, la Han e la Tang) e ad est del tumulo funerario che sarà poi identificato dagli archeologi con la sepoltura del primo imperatore. La mattina del 29 marzo, quando il pozzo raggiunse i 15 metri di profondità, Zhifa notò all’interno dello scavo la testa di una statua in terracotta e una punta di freccia di bronzo, la testa di una statua in terracotta e, poco più sotto, il corpo del primo dei diecimila guerrieri che, insieme a cinquecento cavalli e centotrenta carri gli archeologi scaveranno poi in quell’area. Tutto per proteggere il sonno eterno di un imperatore e a servirlo nell’aldilà. Ma chi era Qin Shi Huang?

QIN SHI HUANG, IL PRIMO IMPERATORE

Ritratto di fantasia di Qin Shi Huang.

All’inizio il suo nome era Ying Zheng e ascese nel 247 a.C. al trono del Regno di Qin all’età di soli tredici anni, motivo per cui gli fu affiancato un reggente. Qin era all’epoca un regno della Cina occidentale, uno dei sei in cui la Cina era divisa nel periodo detto degli Stati Combattenti che va dal 453 a.C. al 221 a.C. Nel 235 a.C. Zheng si liberò dalla custodia del reggente e, una volta assunto il controllo del Regno di Qin (il più forte dei sei regni cinesi), il nuovo re mosse le sue armate contro gli altri Stati (Zhao, Yan, Wei, Chu e Qi) che annesse uno dopo l’altro. Secondo le fonti, nelle guerre persero la vita 1.128.000 persone. Alla fine, Qin prevalse sui vicini grazie alla superiorità delle sue formidabili truppe di fanteria e dei balestrieri a cavallo. Riuscire a mettere insieme un numero così imponente di guerrieri fu possibile solo grazie all’accesso dei contadini alla proprietà della terra e ad una diffusione delle imposte basate sulla produzione.

Il nuovo titolo imperiale
Nel 221 a.C., governando ormai l’intero territorio cinese, e desiderando distinguere la sua posizione da quella di semplice re di Qin, Zheng coniò per sé il titolo di huangdi (“augusto sovrano”) unendo i caratteri che indicavano i Tre augusti e cinque imperatori, sovrani mitologici del Paese unito. Poiché il titolo di huangdi viene generalmente tradotto come “imperatore”, egli viene quindi conosciuto come il Primo Imperatore (in cinese Shi Huangdi).

Le colossali opere
Qin Shi Huang è universalmente conosciuto come colui che fece costruire la Grande Muraglia Cinese: dopo aver infatti riunificato la Cina, l’imperatore dovette rafforzare il proprio dominio. Tra le varie, la vittoria contro gli Xiongnu, una confederazione nomade di tribù dell’Asia centrale, non fu definitiva, e ciò fu una delle cause che lo spinsero a collegare le varie mura erette durante il Periodo degli Stati Combattenti in quello che divenne il primo nucleo della Grande Muraglia.

Le risorse fiscali, oltre al controllo ed alla mobilitazione dei contadini, furono decisivi anche per la costruzione del grande Palazzo Afang, del quale, curiosamente, non abbiamo molte notizie e nemmeno delle significative insistenze archeologiche, e dello spettacolare mausoleo, alla cui realizzazione presero parte oltre 700.000 prigionieri nel corso di 40 anni e del quale parleremo alla fine di questo articolo.

L’ossessione per l’immortalità
Secondo una nota tradizione, nella sua vecchiaia l’imperatore divenne ossessionato dall’idea di ottenere l’immortalità. A tal fine, nel 219 a.C., egli inviò spedizioni in tutto il territorio cinese alla ricerca dell’elisir dell’eterna giovinezza e si recò personalmente per tre volte nell’isola di Zhifu, sulla quale si diceva esistesse una montagna dell’immortalità. Come nota a margine segnaliamo che tale leggenda, unita alla suggestione dei guerrieri di terracotta, ha ispirato nel 2008 il film “La mummia. La tomba dell’imperatore Dragone”, con uno straordinario Jet Li che interpretava Qin Shi Huang.

La battaglia contro l’esercito di terracotta sulla Grande Muraglia Cinese. Dal film “La mummia – La tomba dell’Imperatore Dragone” (2008).

L’ironia del destino
Forse fu proprio la sua ossessione per l’immortalità, ironicamente, la causa della sua morte. Nel 210 a.C., durante uno dei suoi numerosi viaggi per ispezionare l’efficienza dell’amministrazione imperiale, Qin Shi Huang morì nel suo palazzo di Shaqiu. Si dice che i suoi medici avevano confezionato delle pillole e pozioni che avrebbero dovuto renderlo finalmente immortale: ma queste contenevano mercurio (un elemento che ricorrente in questa storia, e vedremo perché) ed ebbero l’effetto di debilitare il suo corpo fino a portarlo alla morte. Venne sepolto nel grande mausoleo sul monte Li.

L’ESERCITO DI TERRACOTTA

Una parte dell’esercito di terracotta, esposto durante la mostra del 2017 nella Basilica dello Spirito Santo, nel centro storico di Napoli. Foto di Raffaele D’Agostino.

Qin Shi Huang fece realizzare una replica in terracotta dell’armata che lo accompagnò durante l’ambiziosa impresa di unificare la Cina. L’unicità di quest’opera monumentale, oltre all’elevato numero di soggetti (8.000), sono le fattezze di ogni scultura, presumibilmente modellate sul reale esercito dell’imperatore. Le statue, infatti, presentano un’impressionante cura dei dettagli, tanto nei lineamenti quanto nelle armature, diverse in relazione alla posizione e al grado di ogni soldato. Ogni soggetto era corredato da vere armi, diverse a seconda del ruolo ricoperto (lancia, spada, arco con faretra contenente frecce in bronzo, balestre, ecc.), e da uno scudo, oggi in gran parte scomparse a causa delle razzie fatte dalle dinastie successive. Assieme ai singoli, sono presenti anche gruppi scultorei formati da carri in scala 1:2, in legno con dettagli in bronzo, trainati da cavalli in terracotta. La disposizione dei soldati, le loro pose, la diversità delle armature e la presenza dei carri, ci ha fornito, non solo le fattezze di un esercito di 2.000 anni fa, ma persino le strategie adottate dall’imperatore.

Non solo soldati
A partire dall’esercito, sono stati rinvenuti anche reperti quali uccelli acquatici in bronzo, acrobati, musicisti e anche i cimiteri di lavoratori e concubine. I ritrovamenti, ancora in corso, non cessano di stupire e il tutto è reso ancor più stupefacente dal fatto che quanto finora venuto alla luce è solo una piccola parte di ciò che è ancora sepolto.

Anatra selvatica in bronzo, simbolo e messaggero di coraggio.

Fino ad ora sono stati recuperati circa 2.000 guerrieri e si stima che possano essercene altri 6.000 sepolti. L’immagine di centinaia di guerrieri che i visitatori si trovano oggi davanti quando si affacciano sulla fossa è molto diversa da quella scoperta dagli archeologi: la maggior parte delle statue è stata rinvenuta spezzata in diversi frammenti. È stato quindi necessario un complesso intervento di ricostruzione e ripristino del loro aspetto originario e degli spazi in cui erano collocate. Gli archeologi hanno potuto determinare che i soldati erano posti in corridoi di diversi metri di profondità, separati da spessi muri e sormontati da una copertura sostenuta da travi di legno. Con il trascorrere del tempo, il deterioramento del legno provocò il crollo delle pareti, che caddero sulle statue distruggendole quasi completamente.

Lo stato in cui vennero e vengono tuttora ritrovate le statue.

Grazie alle annotazioni dettagliate degli archeologi che hanno effettuato scavi nel sito, oggi è possibile utilizzare i sistemi informativi geografici per realizzare delle mappe della distribuzione dei guerrieri e delle armi così come sono stati ritrovati. Tali mappe permettono di comprendere meglio la formazione di battaglia degli eserciti di Qin Shi Huang.

LE OTTO FOSSE

Il mausoleo di Qin Shi Huang era circondato da otto fosse funerarie. Le prime quattro, poste ad oriente della sepoltura imperiale, sono quelle contenenti i guerrieri. Le altre si trovavano a nord e a sud.

La fossa 1 è la più grande e suggestiva di tutto il sito. Contiene quello che viene considerato il corpo d’armata principale in pieno assetto di guerra: 6.000 guerrieri e due carri da battaglia, in bronzo dorato, laccato e dipinto. I soldati sono disposti in uno schieramento “a rettangolo”: nelle prime tre file troviamo gli arcieri, seguiti dalla fanteria leggera e dai carri da battaglia. La formazione si chiude con reggimenti di fanteria pesante, che occupano la zona della fossa opposta all’ingresso. Tutti i soldati e i cavalli sono rivolti verso est, ad eccezione di quelli posizionati nel corridoio perimetrale, che guardano verso l’esterno per difendere i compagni da eventuali attacchi laterali. I guerrieri erano armati di lancia, pugnale o alabarda. Un pozzo secondario conteneva fieno per i cavalli, resti di 6-700 cavalli dell’Armata Reale sacrificati e altri animali.

La Fossa 1.

La fossa 2, scavata nel 1976, contiene l’”Armata di Sinistra”: 1.400 soggetti, tra cavalieri in sella e fantaccini, divisi in corridoi. La prima unità contiene file di balestrieri corazzati, inginocchiati, circondati da arcieri stanti privi di armatura e da lancieri; la seconda unità vede schierati cavalieri e carri da guerra leggeri; la terza unità è costituita da fanti corazzati e carri pesanti; l’ultima unità è uno schieramento di carri leggeri e soldati a cavallo.

La Fossa 2.

La fossa 3 contiene 68 soldati di alto rango, distinguibili dal copricapo particolare e si ritiene possa trattarsi dell’Alto Comando.

La Fossa 3 con i soldati di alto rango.

La fossa 4, collocata al centro dello schieramento, e quindi destinato all’”Armata Centrale”, è vuota. Infatti, dopo la morte dell’imperatore, i lavori di costruzione delle statue terminarono bruscamente a causa delle rivolte che avrebbero portato alla fondazione della Dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.).

La fossa 5 contiene sculture in pietra calcarea.

La fossa 6 contiene diversi personaggi in terracotta e le ossa di una ventina di cavalli sacrificati.

La fossa 7 contiene statue di soggetti, presumibilmente barcaioli e pescatori, e sculture in bronzo a grandezza naturale di uccelli acquatici.

La fossa 8 contiene cavalli e soggetti umani che, in base agli abiti, sono stati identificati come funzionari civili e di corte.

NESSUNA STATUA È UGUALE ALL’ALTRA

Fisionomie, espressioni, acconciature, barba e baffi: nessuna statua somiglia ad un’altra.

La straordinaria particolarità delle statue dei guerrieri è, nonostante la produzione in serie, ognuna è diversa dall’altra, sia per le acconciature, sia per l’abbigliamento e sia per le caratteristiche del viso, tanto che finora non sono state trovate due statue identiche. Tutto questo grazie all’uso di pochi elementi ricombinati più e più volte. È chiaro che gli artigiani si impegnarono a fondo per personalizzare l’aspetto di ogni soldato. Una delle attuali linee di ricerca è incentrata sulla creazione di modelli digitali tridimensionali dei guerrieri a partire dai quali è possibile sovrapporre e confrontare la forma di più figure e persino quantificarne la somiglianza. Questi studi di morfometria geometrica sono ancora in fase sperimentale, ma i primi risultati ne dimostrano il grande potenziale per studiare i guerrieri senza nemmeno toccarli e capire fino a che punto la loro fisionomia è stata diversificata.

Il rango e il ruolo

Le caratteristiche personalizzate dei guerrieri di terracotta hanno permesso agli studiosi di dividerli in base al ruolo e al rango ricoperti. L’acconciatura e il copricapo, ad esempio, rivelano se siamo di fronte ad un soldato di fanteria leggera o ad un cavaliere: la fanteria, infatti, porta i capelli raccolti in una crocchia, i cavalieri indossano una cuffia, mentre gli ufficiali si distinguono per il particolare copricapo allacciato sotto il mento. Le armature e le vesti rivelano il rango degli ufficiali: gli ufficiali indossano scarpe a punta quadrata e sollevata, nonché due vesti sotto un’armatura corazzata decorata con fiocchi che ne rivelano il rango.

Ufficiale alto rango.

La fanteria indossa vestiti coperti da un mantello corazzato che protegge il petto, le spalle e la schiena; i balestrieri vestono scarpe con punta quadrata, una tunica lunga e una corazza a placche per proteggere busto e spalle; gli arcieri non indossano un’armatura, ma una semplice tunica fermata in vita da una cintura; i cavalieri e i soldati sul carro indossano una corazza leggera per proteggere il busto e, sotto, una veste simile a quella dei balestrieri; gli aurighi indossano elmetti per proteggere il collo ed hanno braccia e mani coperte per controllare il giogo dei cavalli. La posizione del corpo aiuta a distinguere arcieri da balestrieri. Infatti, se in generale i guerrieri di terracotta mantengono una posizione statica, gli arcieri e balestrieri imbracciano le armi, pronti ad attaccare. Gli ufficiali di alto rango, inoltre, sono gli unici con le mani giunte.

Formazione d’attacco. In base alla posizione del corpo, sono riconoscibili in prima linea i balestrieri corazzati, mentre in seconda linea gli arcieri, che non indossano alcuna protezione.

COME FURONO COSTRUITI I GUERRIERI?

Si ritiene che ogni statua fosse realizzata sotto la supervisione di un caposquadra, dal momento che su ciascuna compare un solo nome, costituito da un sigillo o da un’iscrizione, cosa che non sarebbe avvenuta se ogni parte fosse stata realizzata da officine diverse. Lo studio dell’argilla delle statue indica la provenienza dalle vicinanze del mausoleo: è probabile, quindi, che i vari artigiani lavorassero nei pressi della tomba imperiale piuttosto che nelle proprie officine. Sembra comunque chiaro che le statue non fossero opera di un unico laboratorio, ma di diverse cellule produttive che lavoravano in parallelo con un certo grado di autonomia, ognuna delle quali supervisionata da un proprio maestro.

Le statue non nascevano quindi come un unico grande elemento, ma attraverso delle matrici che creavano i singoli pezzi che poi venivano assemblati in maniera differente gli uni dagli altri. Erano disponibili tre tipi di piedistalli, due tipi di piedi, tre tipi di scarpe, quattro tipi di stivali, due tipi di gambe, otto tipi di torso, due tipi di armatura, due tipi di mano (aperta o chiusa) e otto versioni di teste. Combinando questi elementi in modo sempre diverso, si ottenevano soggetti unici.

Le fasi di costruzione


Il piedistallo della statua era fatto di blocchi di argilla inseriti in una scatola di legno.
I piedi e le parti inferiori delle gambe venivano ricavate da un unico pezzo di argilla e, successivamente, inseriti nel piedistallo.
L’abito che ricopre il torso e la parte superiore delle gambe veniva inserito direttamente sulla base delle gambe.
Il torso e le braccia sono parti cilindriche fatte con spessi dischi di argilla arrotolati in tubi dagli artigiani, sulla cui superficie venivano aggiunti dei dettagli (quali le placche delle armature, i nodi dei gradi, ecc.) forse con l’aiuto di stampi in ceramica e utensili di bambù. Successivamente, le braccia venivano fuse al busto attraverso l’utilizzo di argilla umida.
La testa era divisa in due metà, la fronte e il retro, che venivano costruite separatamente in stampi circolari e incollati insieme attraverso l’argilla umida. Successivamente venivano modellati i dettagli direttamente a mano per dare ad ogni esemplare un tratto unico. In quest’ultima fase venivano create acconciature, espressioni del viso, baffi, sopracciglia, orecchie e tutti gli altri piccoli dettagli che definivano l’espressione finale della statua. Un dettaglio curioso è che le teste venivano cotte a parte, per evitare che una fuoriuscita di gas all’interno del corpo cavo potesse provocare rotture durante il processo.
Le mani erano l’ultimo dettaglio ad essere aggiunto, fissate nelle maniche dell’abito aiutandosi con pinze di legno.
Una curiosità: all’interno dei frammenti dei guerrieri sono ancora visibili le impronte delle mani e delle dita degli artigiani che li modellarono.

La cottura
A questo punto la statua (senza testa perché quest’ultima cotta a parte), che presentava un peso tra i 160 e i 300 kg, era pronta per essere cotta in grandi forni ad una temperatura variabile tra i 950° e i 1.100°. Queste temperature lasciavano l’argilla porosa e veniva quindi fatto un ulteriore trattamento per aumentarne la conservazione e l’impermeabilità, con l’utilizzo della lacca.

Il controllo qualità
Dopo aver applica il colore, la statua era completata e veniva sottoposta ad un rigido controllo di qualità. Le squadre addette alla produzione erano dotate di punzoni personalizzati con i quali contrassegnavano ogni singolo pezzo al fine di rendere noto chi l’aveva costruito. Ed è così che su molti guerrieri sono incisi o impressi toponimi, nomi di persone e numeri che testimoniano le varie fasi logistiche e organizzative.

COLORI VIVACI

Grazie alle tracce di colore rinvenute sulle superfici delle statue, è stato possibile stabilire come apparivano realmente i guerrieri di terracotta. Da notare la straordinaria e minuziosa cura nei dettagli delle vesti e delle armature.

Oggi i guerrieri ci appaiono come delle grigie figure monocrome, ma in origine essi erano dipinti minuziosamente con colori vivaci. Il colpo d’occhio di un così variopinto esercito doveva essere spettacolare, come ricostruito nella spettacolare immagine qui sotto.


Come abbiamo visto, la lacca che veniva passata sulla superficie delle statue era una sostanza ottenuta dalla linfa di un albero e serviva ad impermeabilizzare e a conferire lucentezza a mobili e altri oggetti in legno: questa sarebbe diventata un elemento ricorrente dell’artigianato cinese.

In seguito, la superficie laccata veniva dipinta con vari pigmenti, che oggi sono stati studiati tramite diverse tecniche, tra cui la spettroscopia Raman o infrarossa: sono stati in tal modo individuati minerali naturali e sintetici, come la malachite (verde), l’azzurrite (blu), l’ematite e il cinabro (rosso), il minio (arancione), il caolino e lo stannato di piombo (giallo), il carbone (nero), la cerussite e perfino la cenere d’ossa (bianco).

Un colore enigmatico
Il più enigmatico dei pigmenti che adornavano i guerrieri è senza dubbio il cosiddetto porpora di Han. Si tratta di un silicato di rame e bario che non si trova in natura e non è disponibile in altre parti del mondo. La sua produzione richiedeva di trattare ad alte temperature un minerale di bario mescolato con quarzo, minerali di rame e sali di piombo, provocando così una particolare reazione chimica.

Il deterioramento dei pigmenti
Dagli anni ‘70 ad oggi, purtroppo, i reperti hanno subito un deterioramento assai evidente. Queste opere avevano instaurato un equilibrio costante con il terreno in cui furono sepolte per due millenni: l’esposizione all’aria esterna e alla luce del sole, ha provocato il distacco dalla ceramica degli strati di lacca e quindi la perdita dei pigmenti, restituendoci sculture monocrome.

Al momento, sono allo studio dei consolidanti nel tentativo di identificare una sostanza che riesca a garantire la durata della lacca e dei pigmenti senza alterarne l’aspetto.

LE ARMI

Alcune delle armi con lama rinvenute durante gli scavi dell’esercito di terracotta.

I guerrieri di terracotta erano armati di spade, lance, daghe, alabarde, archi e balestre. A differenza delle statue, che sono imitazioni di guerrieri in carne ed ossa, le armi sono autentiche, pronte per essere usate in combattimento e potenzialmente letali. Questo è il motivo per cui la maggior parte di esse venne saccheggiata da parte delle forze di Xiang Yu (un aristocratico cinese), leader della rivolta che, come abbiamo visto, rovesciò la dinastia Qin.

Per quanto riguarda le armi superstiti, in generale le parti in materiale organico, come le aste delle lance o delle balestre, tranne qualche rarissima eccezione, non si sono conservate, mentre hanno resistito gli elementi metallici.

La composizione del metallo
Le analisi tecniche hanno consentito di documentare come gli armaioli del periodo Qin ottimizzassero la composizione del metallo in base alla funzione dell’arma. Per le lame o le punte di frecce si utilizzavano bronzi con un alto contenuto di stagno, che ne assicurava la rigidità; alcune spade di bronzo hanno invece delle aste di rame che ne aumentano la tenacità per evitarne la rottura all’impatto con un’altra spada.
La perfetta affilatura di decine di migliaia di punte di freccia rivela che furono concepite come armi a tutti gli effetti e non come modelli per una tomba. Gli studiosi hanno potuto anche accertare che le balestre, delle quali rimangono i grilletti in metallo, provenivano da otto differenti arsenali.

La balestra più completa rinvenuta nel sito degli scavi. Ha un arco di 145 cm ed è lunga 130 cm.

Un trattamento anticorrosione?
Uno degli aspetti più sorprendenti delle armi è l’eccellente stato di conservazione. Molte spade sono infatti ancora brillanti e affilate dopo oltre due millenni. Una delle ipotesi formulate per spiegare tale fatto era che gli armaioli Qin avessero impiegato una tecnica pionieristica avanzata, dal momento che sulle armi era stato rinvenuto dell’ossido di cromo. Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che l’origine dell’ossido di cromo non era nei bronzi ma nella lacca utilizzata per verniciare impugnature, foderi ed altre parti in legno delle armi. Pertanto, la presenza di tale elemento sui bronzi è occasionale, frutto di una contaminazione fortuita e non di una tecnologia d’avanguardia. In realtà, una delle chiavi fondamentali che spiegano lo straordinario stato di conservazione delle armi risiede nel terreno, che presenta un pH ideale per la conservazione dei metalli.

E PER FINIRE, IL MAUSOLEO

Il mausoleo dell’imperatore Qin Shi Huang è coperto dalla vegetazione ed assomiglia a una collina.

Non possiamo concludere questo articolo senza parlare del mausoleo di Qin Shi Huang. Va detto subito che esso, pur essendo stato individuato, non è stato ancora scavato, ed è pertanto verosimile che il corpo dell’imperatore riposi ancora lì dopo duemila anni insieme alle ricchezze con esso sepolte. Il mausoleo è l’elemento più visibile ed importante del complesso funerario (che copre un’area di 56 km quadrati) e anche una delle aree più enigmatiche.

Una replica dell’universo
La struttura del monumento fu concepita come una replica simbolica dell’universo, di cui ovviamente Qin Shi Huang si sentiva il sovrano. Questa concezione simbolica è evidente anche nella struttura esterna del mausoleo, formata dal tumulo funerario piramidale di 50 metri di altezza, che sta a rappresentare l’asse centrale dell’universo (intorno al quale ruotano l’anello esterno e quello interno del cosmo) come simbolo del potere imperiale, intorno a cui tutto deve ruotare. La concezione dell’universo ripartito in tre fasce (simbolo della sfera celeste, umana e terrestre) ritorna ancora nei due recinti rituali che racchiudono il tumulo. Quello più esterno è formato da un enorme rettangolo in terra battuta con un perimetro di 6 km; quello più interno, fornito di tre portali a est, ovest e nord, è spostato verso la porzione meridionale dell’area limitata dal primo recinto e nella dimensione sembra doversi identificare con la maestosa sala delle udienze, detta E Pang, che Qin Shi Huang aveva voluto far erigere fuori della capitale Xi’an.

Mappa del complesso funerario di Qin Shi Huang. Fonte immagine: 
https://www.travelchinaguide.com/attraction/shaanxi/xian/terra_cotta_army/map.htm

Evidenti calcoli geometrici avevano presieduto all’allineamento dell’intero complesso su un asse nord-sud definito dalla penultima capitale Qin, Yueyang, a nord e dal sacro monte Li a sud; ad ovest veniva così a trovarsi uno dei templi ancestrali Qin che, con un largo viale lungo 50 km, l’imperatore aveva unito al sacro recinto della sua tomba. Dopo essersi “assicurato” su tre lati, all’imperatore non rimase che disporre, a 1,5 km di distanza dal mausoleo, il suo esercito a protezione dell’unico lato rimasto scoperto, quello orientale.

L’interno della tomba: fiumi di mercurio?

Lo storico Sima Qian. fu uno storico cinese della prima dinastia Han (206 a.C. – 220 a.C.). È considerato il padre della storiografia cinese per i suoi annali del grande storico, una storia generale della Cina in stile Jizhuanti (storia presentata in una serie di biografie), che copre più di duemila anni dall’Imperatore Giallo ai suoi tempi, durante il periodo regno dell’imperatore Wu di Han, un’opera che ha avuto molta influenza per secoli sulla scrittura storica non solo in Cina, ma anche in Corea, Giappone e Vietnam.

La descrizione della camera funeraria lasciataci da Sima Qian, uno storico della dinastia Han, ha accresciuto le aspettative riguardo a ciò che gli archeologi potrebbero trovare se il governo cinese dovesse decidere di intraprendere le ricerche. Nella sua opera Shiji (“Memorie di uno storico”), scritta quasi un secolo dopo la morte dell’imperatore, Sima racconta che la piramide nasconda una grande fossa rivestita di bronzo, colma di splendidi manufatti, come palazzi, torri, centinaia di funzionari, preziosi utensili ed esotiche meraviglie, illuminata da inesauribili lampade ad olio e protetta da trappole antintrusione: balestre che avrebbero automaticamente scagliato dardi contro qualsiasi violatore. I fiumi del Paese, lo Yangtze e lo Huanghe, e persino l’oceano furono ricreati con mercurio fatto scorrere meccanicamente. Inoltre, venne ricreata una riproduzione dell’universo: in alto, le stelle e le costellazioni, mentre la geografia della terra fu ricreata in basso.

Indagini prudenti
Non sappiamo se la descrizione dell’interno del mausoleo fornita da Sima corrisponda alla realtà. Tuttavia, il fatto che il racconto menzioni il fatto che la tomba fosse circondata da un fossato interno ricolmo di mercurio rappresenta un problema: infatti, gli archeologi hanno riscontrato nel terreno della collina un livello di mercurio ben otto volte superiore alla media e un eventuale scavo potrebbe mettere a rischio non solo il personale specializzato, ma anche l’intera città. Inoltre, il governo cinese è restio a concedere agli archeologi il permesso di scavare la collina artificiale per non profanare l’ultima dimora dell’imperatore. E quindi, fino a quando non si avrà la certezza di disporre di mezzi adeguati a proteggere le eventuali strabilianti scoperte, si preferisce utilizzare altri mezzi di indagine non invasiva, come la prospezione geofisica e le fotografie aeree scattate con camere iperspettrali oltre alla mappatura delle variazioni di temperatura, umidità, magnetismo e resistività elettrica del suolo della collina e dintorni, per ottenere un’immagine virtuale del sottosuolo.

Ipotetica immagine del mausoleo di Qin Shi Huang.

Sebbene i dati raccolti non confermino in modo inconfutabile la presenza dei fiumi di mercurio di cui parla Sima, sicuramente sollevano interrogativi per le ricerche future.

Quanto finora venuto alla luce è solo una piccola parte di ciò che è ancora sepolto. Molto, infatti, resta da scavare. La ricerca continuerà sicuramente a regalare meraviglie per molte generazioni a venire, contribuendo a preservare per l’eternità la memoria di Qin Shi Huang e della sua epoca.

Statua dell’imperatore Qin Shi Huang posta all’ingresso del suo mausoleo, vicino a Xi’an.

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