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L’accessibilità e l’handicap non sono un optional

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scaliniIQ 04/03/2013 di Stefania Paradiso

“Handicap vuol dire svantaggio. L’individuo non porta uno svantaggio bensì dei limiti che non saranno rimossi, ma gli handicap, gli svantaggi sono riducibili. Una persona in carrozzina che incontra degli scalini trova degli handicap che non ha portato lei. Allora “portatore di cosa?” semmai trovatore di un qualcosa (…) l’handicap è relativamente a ciò che vi è attorno, non è quindi il singolo che porta.” Mi piace iniziare da questa definizione per parlare delle innumerevoli difficoltà che si incontrano per muoversi in una città grande come Roma o anche in un piccolo paesino, perché credo che si faccia enorme confusione sui termini.

Già… perché le parole sono importanti non per pignoleria ma, nella fattispecie, per la rimozione degli ostacoli. Se io sono disabile o diversamente abile lo sono in ogni ambito. Io e la mia carrozzina ci muoveremo sempre insieme. Ma se io trovo uno scalino, uno scivolo o un parcheggio occupato, un ascensore non funzionante o inesistente, allora io trovo un ostacolo. In quel caso io ho un handicap ma, come me, l’avrà una signora con un passeggino, un anziano, una donna incinta, un ragazzo che si è rotto una gamba giocando a pallone. Se noi pensassimo che gli handicap, gli ostacoli, sono sul percorso di ognuno di noi, rifletteremmo in maniera diversa anche sulle soluzioni trovate e da adottare, senza sconti da buonisti. Iniziamo dalla legislazione. Basterebbe ricordarsi dell’art. 3 della Costituzione Italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Nel 1972 il Consiglio d’Europa adotta la prima risoluzione in materia di accessibilità: risoluzione sulla progettazione e pianificazione degli edifici per provvedere a un più facile accesso ai disabili fisici. In Italia, che a fare leggi siamo bravissimi ma a metterle in atto per bene un po’ meno, la legge 104 del 1992, diventa la legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. Allora il problema dov’è? Il problema è che ancora oggi, anche in locali aperti da pochissimo, le barriere ci sono. Gli scalini si superano se c’è un amico che ti aiuta o i gestori del locale che, sentendosi in difetto, ti aiutano ad entrare. Ma non funziona così. Con l’amico si sceglie di cenare insieme e non deve essere obbligato a darti una mano ad entrare in un posto. Il fatto che lo farebbe a prescindere non può e non deve essere usata come scorciatoia per non rispettare la legge. E poi ci sarebbe anche la questione dell’agibilità. Chi controlla l’apertura dei nuovi posti o locali controlla anche l’accessibilità. Ma il fatto di avere all’interno un bagno per disabili non è sinonimo di accessibile. Se per andare al bagno ci sono tre scalini diventa irrilevante che quel bagno ci sia. E’ sarebbe anche ora di dire basta a questa idea che i disabili siano sempre accompagnati ed aiutati. I disabili vanno messi in condizioni di muoversi a pari condizioni di tutti gli altri esseri umani. A Londra le persone in carrozzina girano in metropolitana da vent’anni e senza “sentenze storiche”. In Germania si può abitare da solo e lavorare in base ai meriti e alla carriera scolastica e, laddove impossibilitati,  non si percepiscono 270 euro di pensione. Avila, città spagnola famosa per le sue mura medievali e le numerose chiese, ha vinto la prima edizione del premio per le città a misura di disabili (Access City Award) per aver migliorato l’accesso alle persone disabili. E allora qualche problema c’è… ed è, a mio avviso, pure grave.

 

 

 

 

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