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domenica, Maggio 5, 2024
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L’ESTATE È DI TUTTI CON FONDAZIONE GOLINELLI.

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Fondazione Golinelli ha creato un calendario pieno di iniziative che accompagnerà persone di tutte le età per l’intera estate. I più giovani apprenderanno divertendosi, all’insegna della scoperta e dell’esplorazione. Studenti, ricercatori, formatori e insegnanti potranno approfondire numerose tematiche grazie a un approccio sperimentale e metodologie didattiche all’avanguardia. Nuove tecnologie, arte, creatività e innovazione, scienze della vita, digitale, big data e intelligenza artificiale sono solo alcuni degli argomenti che saranno trattati nei laboratori, corsi, campi estivi e summer school previsti, rivolti a più di 5000 partecipanti.

Tra le proposte per bambini e ragazzi: riscoperta delle civiltà antiche grazie agli scavi con esperti archeologi; curiosi esperimenti tra piante officinali, geometrie, illusioni e un po’ di magia;  visite guidate alla scoperta della natura per imparare la geologia e l’ecologia; creatività, fantasia e ricerca artistica grazie alle suggestioni della mostra “I preferiti di Marino. Capitolo I”; percorsi dedicati alla musica, alla percezione del corpo e all’improvvisazione; creazione di giochi analogici e digitali.

Le summer school saranno incentrate sulle scienze della vita e le loro applicazioni, anche in previsione della futura scelta universitaria o dell’orientamento nel mondo lavorativo degli studenti partecipanti.

Gli insegnanti di ogni ordine e grado di tutta Italia lavoreranno su temi come l’approccio STEAM a scuola, le nuove frontiere dei dati, la sostenibilità ambientale e come favorire la digitalizzazione delle dinamiche di insegnamento.

L’intera offerta sarà accomunata dalla voglia di mostrare la scienza in contesti reali, in interazione con altre discipline, dalla musica alle arti. In un’ottica tipica dell’approccio STEAM, Fondazione Golinelli porta così avanti l’obiettivo di rendere la didattica più creativa e coinvolgente, favorendo ad ogni età il lavoro di gruppo, la condivisione e l’inclusività.

«Abbiamo ideato un calendario di proposte estive che mette insieme cultura umanistica e scientifica in una prospettiva unica e combinata. Invitiamo bambini, famiglie, studenti e insegnanti a sperimentare, a confrontarsi e a mettersi in gioco con il mondo che ci circonda, in maniera aperta e creativa. Vogliamo stimolare in loro curiosità, senso di scoperta, fornire nuove competenze e accrescere quelle già presenti. Lo faremo senza rinunciare al divertimento, lontano dai ritmi, dalle scadenze e dalle valutazioni scolastiche, in contesti inclusivi e sempre aperti al dialogo, nelle iniziative in esterna a contatto con la natura come quelle in aula o in laboratorio. Sarà per tutti un viaggio all’insegna dell’orientamento, della crescita personale e, al tempo stesso, professionale» dichiara Eugenia Ferrara, vice direttrice di Fondazione Golinelli. 

Sedi delle diverse iniziative, previste da giugno a settembre, durante la chiusura delle scuole, saranno l’Opificio Golinelli e, grazie alle collaborazioni con aziende e istituzioni del territorio, diverse location, anche all’aperto, a Bologna e provincia, tra cui BOOM, il knowledge hub di CRIF  a Osteria Grande.

Per maggiori informazioni sulle modalità di iscrizione, gli aggiornamenti sui percorsi previsti, sia a pagamento che gratuiti,  è possibile consultare il sito di Fondazione Golinelli.

CAMPI ESTIVI PER BAMBINI E RAGAZZI

Un programma variegato e coinvolgente quella delle attività e dei campi estivi  2024 per bambini e ragazzi. All’aria aperta e in spazi innovativi e attrezzati con strumentazione scientifica e tecnologica svilupperanno idee e realizzano progetti all’insegna delle scienze naturali, della tecnologia, dell’esplorazione attiva e del binomio arte e scienza. L’approccio alle tematiche sarà di tipo pratico-esperienziale, con lavori organizzati in piccoli gruppi per completare missioni o progetti assegnati da tutor e formatori con esperienza. 

Campi estivi all’Opificio Golinelli, in Via Paolo Nanni Costa 14 (Bologna).

La magia della scienza, che si terrà dal 10 al 14 giugno, affronterà le meraviglie della scienza con l’incanto della magia. Durante la settimana, bambini dagli 8 agli 11 anni parteciperanno a una serie di coinvolgenti attività di laboratorio progettate per stimolare la loro curiosità e alimentare la loro immaginazione. Dalle affascinanti proprietà alchemiche delle piante officinali alla geometria delle illusioni, fino all’esplorazione dei misteri dell’elettricità che anima oggetti insospettabili, i partecipanti intraprenderanno un viaggio in cui si sentiranno un po’ stregoni e un po’ scienziati. Ispirati da figure come Harry Potter e il Frankenstein di Mary Shelley, i giovani apprendisti potranno esplorare la loro creatività e la loro voglia di scoperta. È prevista anche una visita guidata alla storica Rocchetta Mattei.

In Archeologia, che passione, previsto dal 17 al 21 giugno, Fondazione Golinelli rinnova la collaborazione con il Museo Nazionale Etrusco di Marzabotto, proponendo un campo estivo per bimbi dai 7 ai 10 anni sui temi dell’archeologia, dell’antichità e delle scienze applicate alla ricerca, per introdurre i giovani partecipanti all’affascinante mondo degli etruschi. Cosa studia l’archeologo, come lavora sul campo, cosa significa “scavare”? Quella dei piccoli archeologi sarà un’esperienza tra scienza e creatività, archeologia e digitale. Un’occasione unica per immergersi nelle atmosfere di una civiltà del passato. Una giornata sarà dedicata alla visita dell’Area Archeologica dell’Antica Kainua a Marzabotto. Le attività saranno condotte da Fondazione Golinelli, con la collaborazione del team del Museo Nazionale Etrusco e dal Dipartimento di Storia Culture Civiltà – Università di Bologna.

Con Creativi in azione, in programma dal 24 al 28 giugno, Fondazione Golinelli, in collaborazione con il Dipartimento Educazione della Collezione Peggy Guggenheim, porterà bambini dagli 8 ai 10 anni alla scoperta dell’affascinante quanto misterioso rapporto tra arte e scienza. Le opere esposte nella mostra “I preferiti di Marino. Capitolo I”, presso il Centro Arti e Scienze Golinelli, permetteranno di esplorare creatività, fantasia e ricerca artistica insieme a discipline come la matematica, le scienze naturali e la microscopia. 

In Estate a ritmo, in programma dall’1 al 5 luglio e dall’1 al 6 settembre, giovani aspiranti musicisti dai 6 ai 7 anni, scopriranno che la musica ha il potere di suscitare risposte fisiche nel corpo umano, stimolando sia il movimento che le emozioni. Durante la settimana si cimenteranno infatti in una serie di attività e giochi dedicati alla musica, alla percezione del corpo e all’improvvisazione. A condurre l’esperienza il team di Fondazione Golinelli, con la collaborazione del musicista Luca Fattori.

Wild Kids – Giochiamo con la natura è un campo estivo in cui, per partecipare, sono necessari amore per l’ambiente, curiosità e voglia di divertirsi insieme. Una guida esperta del Club Alpino Italiano (CAI) condurrà bambini dai 7 ai 10 anni in un’escursione, arricchita da giochi educativi itineranti, presso il suggestivo bosco del Poranceto, all’interno del Parco Regionale dei Laghi di Suviana e Brasimone. Questa esperienza permetterà di apprendere nuove tecniche per muoversi con maggiore sicurezza nell’ambiente e suggestioni utili ad esplorare la diversità della natura. Grazie a strumentazioni di laboratorio e piattaforme digitali i giovani partecipanti si caleranno nei panni delle diverse figure professionali che ogni giorno si occupano di natura: da etologi esperti del comportamento animale a botanici attenti osservatori di piante e fiori.  L’appuntamento è dall’8 al 12 luglio e dal 26 al 30 agosto.

Game Jam: Game designer all’opera propone, dall’8 al 12 luglio, un campo estivo che offrirà un’esperienze di gioco e progettazione coinvolgenti e interattive per ragazzi dagli 11 ai 13 anni. Lavoreranno insieme alla realizzazione di un gioco analogico e digitale. Sarà possibile scegliere se partecipare solo al mattino, dedicandosi prevalentemente alla progettazione di pedine, card e tabellone di giochi da tavolo, oppure se continuare il camp anche nel pomeriggio, lavorando, in aggiunta, sugli elementi e sulle caratteristiche dei giochi e videogiochi in digitale. Verranno adoperati, in entrambi i momenti, strumenti e tecnologie digitali innovative, come la modellazione e stampa 3D, la realtà virtuale e aumentata, il coding e l’intelligenza artificiale per dare vita ai progetti delle realizzati. Le attività si svolgeranno in piccoli gruppi, promuovendo l’apprendimento tra pari e in modalità learning by doing.

Campi estivi a BOOM, in Via Piemonte 6/8, (Osteria Grande, BO) 

Nell’ambito della collaborazione con BOOM, knowledge e innovation hub di CRIF, Fondazione Golinelli propone 3 campi estivi in presenza per bambini e ragazzi, che approfondiscono in modo creativo e divertente temi che spaziano dal digitale alla sostenibilità, dall’intelligenza artificiale alle discipline STEAM. I campi estivi sono condotti da tutor con esperienza dello staff di Fondazione Golinelli. Su richiesta, per arrivare da BOOM, è possibile attivare un servizio navetta in partenza da Bologna.

Nel Green camp bambini dai 7 ai 10 anni conosceranno e approfondiranno le tematiche della sostenibilità ambientale. Grazie alla scienza, alla giustizia e all’impegno della cittadinanza, I partecipanti proveranno a risolvere alcune delle problematiche ambientali più attuali. Gli esperimenti di laboratorio poi forniranno stimoli e strumenti per realizzare un progetto che possa essere il punto di partenza per trasformare le idee in azioni. L’appuntamento è per una settimana a scelta tra quella dal 10 al 14 giugno e quella dal 15 al 19 luglio.

Con Tech camp i giovani protagonisti, bimbi dagli 11 ai 13 anni, lavoreranno alla realizzazione di artefatti digitali con i linguaggi espressivi del coding, della modellazione 3D, del crafting manuale e del tinkering creativo. I partecipanti avranno l’opportunità di sperimentare con piattaforme creative come Scratch e software di modellazione come Tinkercad, inoltre stamperanno gli oggetti da loro modellati in 3D. Sarà possibile scegliere una settimana tra quella dal 17 al 21 giugno e quella dal  2 al 6 settembre.

Il Camp Intelligenza artificiale propone a ragazzi dai 14 ai 18 anni di esplorare l’intelligenza artificiale generativa, addestrata con metodologie Deep Learning per produrre contenuti originali a partire dagli spunti proposti dai partecipanti. I ragazzi creeranno un personaggio virtuale, ispirato a personaggi storici, famosi o di fantasia, capace di dialogare online con altri utenti. Gli avatar creati saranno continuamente messi alla prova per migliorare le loro capacità e l’affidabilità delle risposte prodotte. L’appuntamento è per una settimana a scelta tra quella dal l’1 al 5 luglio e quella dal 26 al 30 agosto.

Fonte: INFORMAZIONE.IT

CERTIFICAZIONE DELLA PARITA’ DI GENERE. LA ASL DI LATINA LA PRIMA IN ITALIA.

L’Azienda Sanitaria Locale di Latina è la prima in Italia ad aver ricevuto la certificazione della parità di genere. La notizia è stata resa nota nel corso del recente convegno tenutosi nella Sala Crociera del Palazzo del Collegio Romano del Ministero della Cultura, organizzato dal Comitato unico di garanzia, le cui attività mirano alle pari opportunità e alla valorizzazione del benessere di chi lavora, combattendo ogni discriminazione.

Il convegno, del resto, aveva come titolo: “Il Comitato unico di garanzia volano di inclusione e di pari opportunità contro ogni violenza di genere per l’amministrazione e il personale”. Grande soddisfazione per la ASL pontina che, con i suoi quattro ospedali (Santa Maria Goretti di Latina, Alfredo Fiorini di Terracina, San Giovanni di Dio di Fondi e Dono Svizzero di Formia) e i cinque distretti nei quali il 66% di coloro che vi operano ogni giorno sono donne, così come sono donne il 51% dei dirigenti ASL.

Lo ha specificato il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca: “Il Servizio Sanitario regionale vanta una notevole rappresentanza femminile ai vertici delle Aziende Sanitarie, con donne professioniste che raggiungono il doppio dei colleghi uomini. Il riconoscimento ottenuto dalla ASL di Latina, prima in Italia per parità di genere, non può che essere accolto con grande soddisfazione. Un grande traguardo frutto di un proficuo lavoro intrapreso da una dirigenza aziendale capace e competente sotto la guida della Direttrice Generale dott.ssa Silvia Cavalli e portato avanti dalla Commissaria Straordinaria Dott.ssa Sabrina Cenciarelli. “Orgogliosi di essere i primi – ha commentato il commissario straordinario della ASL di Latina, Sabrina Cenciarelli- a raggiungere questo traguardo che, tra l’altro, è frutto di un lungo e mirato percorso intrapreso dalla Direzione Generale, sia Sanitaria che Amministrativa.

Ovviamente continueremo ad organizzare e rafforzare le politiche contro ogni violenza di genere. Promuovendo inclusione e pari opportunità nell’Azienda”. Una bellissima pagina per la Sanità pontina. Link cerimonia Ministero della Cultura.

Fonte: INFORMAZIONE.IT

Trovato l’interruttore del tessuto brucia-calorie.

Trovato l’interruttore molecolare che riattiva il tessuto adiposo bruno, molto diverso da quello bianco e deputato soprattutto bruciare calorie in risposta al freddo.

Finora se ne ignorava l’esistenza e la scoperta, che apre la strada alla ricerca di nuovi farmaci anti-obesità, è pubblicata sulla rivista Nature Metabolism dall’Università tedesca di Bonn e dall’Università della Danimarca Meridionale.

L’interruttore molecolare, osservato nei topi, è la proteina chiamata AC3-AT, che agisce frenando l’attività del tessuto adiposo bruno. Adesso la sfida è trovare farmaci capaci di bloccarne l’azione, in modo da riattivare il tessuto brucia-calorie.

“È uno studio molto interessante, ritengo che la via dell’attivazione del tessuto adiposo bruno per contrastare l’obesità sia quella giusta”, dice all’ANSA Saverio Cinti, professore all’Università Politecnica delle Marche e direttore del Centro interdipartimentale per lo studio dell’obesità. Il tessuto adiposo bruno, infatti, così definito per la sua colorazione bruna data dall’elevata presenza di ferro, è molto efficiente nel bruciare calorie e per questo motivo da tempo si stanno cercando modi per attivarlo in modo sicuro.

Per molto tempo si è pensato che gli esseri umani adulti non possedessero un’elevata quantità di questo tessuto, che è più presente nei neonati, ma si è scoperto che non è così. “Ad esempio, abbiamo dimostrato che nei soggetti che sono sottoposti ad una frequente esposizione al freddo, il grasso viscerale può essere composto fino al 40% da tessuto adiposo bruno, laddove quello di una persona che vive ad esempio in Italia è formato quasi esclusivamente da tessuto adiposo bianco”, afferma Cinti: “Quindi, non solo il tessuto adiposo bruno è presente nell’adulto, ma la sua quantità è anche modificabile”.

I ricercatori coordinati da Dagmar Wachten dell’Università di Bonn e Jan-Wilhelm Kornfeld dell’ateneo danese hanno trovato ora il meccanismo che controlla la disattivazione di questo tessuto. Gli autori dello studio hanno nutrito due gruppi di topi con una dieta ricca di grassi per 15 settimane: il gruppo privo della proteina AC3-AT ha accumulato meno grasso e guadagnato meno peso rispetto all’altro, e ha mostrato anche di essere più sano dal punto di vista metabolico. “Poiché AC3-AT si trova non solo nei topi, ma anche negli esseri umani e in altre specie, ci sono implicazioni terapeutiche dirette per gli esseri umani”, dice Ronja Kardinal dell’Università tedesca, co-autrice dello studio.

“Quello regolato dalla proteina AC3-AT è un meccanismo di difesa, impedisce alla cellula di funzionare troppo”, sottolinea Cinti. “In primo luogo, perché producendo troppo calore la cellula potrebbe bruciarsi e, in secondo luogo, perché l’organismo punta sempre a proteggere le proprie riserve energetiche. Ciò vuol dire anche – conclude Cinti – che disattivando questo meccanismo di difesa potremmo andare incontro a effetti negativi, ma non possiamo ancora saperlo: la strada dell’attivazione del tessuto adiposo bruno è sicuramente possibile e fattibile”.

Fonte: ANSA.IT

Paura a Londra, attacco con la katana nel metrò.

  Mattina di paura e sangue in una stazione della metropolitana di Londra, nel sobborgo nord-orientale di Hainault, diventato teatro per 20 minuti di un attacco condotto da un 36enne armato di katana, l’affilata spada giapponese dei samurai, che ha usato per colpire indiscriminatamente chiunque incontrasse uccidendo un 14enne e ferendo altre quattro persone, inclusi due agenti di polizia, per poi venir finalmente fermato a colpi di taser dalle forze dell’ordine.

L’aggressione all’arma bianca è iniziata molto presto, con la prima chiamata d’emergenza partita poco prima delle 7, e diverse volanti sono rapidamente accorse insieme alle ambulanze per un incidente la cui gravità era chiara fin da subito.

L’uomo in preda alla furia omicida prima a bordo di un van scuro è piombato contro un’abitazione di Thurlow Gardens, zona residenziale nei pressi della fermata della Tube (la metro londinese) di Hainault, a quell’ora già molto frequentata per i pendolari diretti al lavoro e i giovani studenti intenti a raggiungere le loro scuole. E’ sceso dal veicolo armato e come hanno riferito alcuni testimoni in un primo momento ha tentato di entrare nella casa, non si sa se in cerca di qualcuno in particolare che si trovava fra quelle mura. Poi si è diretto contro le sue vittime inconsapevoli che passavano da lì, tre cittadini, e poi due agenti di polizia accorsi nel tentativo di fermare il suo raptus omicida, avvenuto fra le grida della gente terrorizzata come emerge dai video finiti sui social media, insieme alle foto dell’aggressore: un uomo alto, bianco, con indosso una felpa col cappuccio.

Poco dopo il suo arresto è stato escluso dagli investigatori di Scotland Yard, almeno in base alle prime informazioni disponibili, il movente terroristico, scongiurando così il ripetersi degli attentati compiuti in passato da cosiddetti ‘lupi solitari’ che colpivano alla cieca passanti e rappresentanti delle forze dell’ordine fra le vie della metropoli. “Non crediamo che ci sia alcuna minaccia in corso per la comunità. Non stiamo cercando altri sospettati”, ha dichiarato il vice comandante della Met Police, Ade Adelekan, una volta emersa la dinamica dei fatti. Dietro di sé però l’aggressore ha lasciato una scia di sangue: un ragazzino di 14 anni che non è sopravvissuto ai colpi inferti, due agenti ricoverati per aver subito “ferite significative” e due passanti che non destano particolari preoccupazioni. Preoccupa invece l’intero Regno Unito questo nuovo caso di violenza a Londra, che lo stesso premier conservatore Rishi Sunak ha definito “scioccante”.

“Questa violenza non deve aver posto nelle nostre strade”, ha aggiunto in un post sul suo profilo di X. Ma continua ad averlo, nonostante il giro di vite lanciato contro la diffusione di coltelli dalla lama lunga e machete, per non parlare poi di una spada. Perfino re Carlo III è intervenuto tramite una nota sulle “scene orribili avvenute questa mattina ad Hainault” in cui il sovrano esprime solidarietà alla famiglia della giovane vittima e chiede di essere informato sulla tragedia. Parole di sconcerto per quanto accaduto sono arrivate anche da ministri e leader politici, mentre il sindaco laburista di Londra Sadiq Khan si è detto “del tutto sconvolto”.

Proprio il primo cittadino, che a due giorni dalle elezioni amministrative del 2 maggio in Inghilterra e Galles appare certo di essere confermato per un nuovo mandato alla guida del municipio della metropoli, è stato più volte nelle ultime settimane preso di mira dalla candidata rivale dei Tory, Susan Hall, sulla percezione di insicurezza nella capitale. Percezione a cui corrispondono i fatti: a Londra l’anno scorso gli attacchi all’arma bianca sono aumentati del 20% per un totale di 14.577 e ben 18 minorenni hanno trovato la morte nelle aggressioni con coltelli spesso condotte da coetanei.

Fonte: ANSA.IT

LE LEGIONI PERDUTE DI ROMA: LEGGENDA E REALTA’.

Nel 1954, la scrittrice Rosemary Sutcliff pubblicò il suo capolavoro, “The Eagle of the Ninth” (“L’Aquila della IX Legione”). Ambientato nella Britannia del II secolo, narra le vicende di carattere personale e militare che vedono protagonista il giovane comandante Marco Flavio Aquila. La legione romana a cui si riferisce il titolo del romanzo, la Legio VIIII Hispana, è realmente esistita per quasi due secoli, tra l’epoca di Augusto e quella di Marco Aurelio, e si narra che fu inviata nel 117 a sedare una rivolta scoppiata tra le tribù della Caledonia, scomparendo nel nulla. Tale scomparsa è una questione nella quale elementi leggendari hanno finito per unirsi a quelli storici. Nel romanzo, il giovane Marco Aquila cerca di scoprire cosa sia accaduto alla IX Ispanica e al suo comandante, ossia il padre di Marco, Flavius, e al tempo stesso tentando di recuperare l’aquila di bronzo, l’insegna che precedeva ogni legione, la cui perdita o cattura da parte del nemico rappresentava un insopportabile disonore e vergogna. Il romanzo divenne un bestseller, vendendo un milione di copie e incantando generazioni di ragazzi e adulti. Tuttavia, gli storici hanno dissentito dalla teoria della scomparsa della IX, teorizzando che essa non sparì assolutamente in Britannia. Il romanzo della Sutcliff (da cui è stato tratto il film “The Eagle”), di cui raccomandiamo la lettura, rappresenta un ottimo esempio del fascino esercitato dalle storie sulla scomparsa di intere legioni romane.

Screen tratto dal film “The Eagle”, del 2011.

In questo articolo vedremo quali altre legioni perdute hanno acceso la fantasia di generazioni di scrittori. Sebbene in molti casi si tratta di racconti immaginari, alcuni di questi trovano la loro giustificazione nello sforzo di spiegare eventi storici apparentemente incomprensibili. L’assenza di prove storiche viene colmato da teorie a volte più stravaganti ed incomprensibili dell’evento stesso. Ma a volte, la verità è più banale di quanto si immagini. Tuttavia, non vi è nulla di più irresistibile di un enigma irrisolto e, in assenza di prove conclusive, il mistero continua, ed è ciò che andremo ad indagare in questo nuovo articolo della rubrica La Stele di Rosetta, in esclusiva per IQ.

TABELLA DEI CONTENUTI:

LE LEGIONI DI CRASSO E LA CINA

Ne abbiamo già parlato in un precedente articolo, dedicato allo strano caso dei cinesi con gli occhi azzurri e dalla fisionomia vagamente europea (per chi vuole approfondire, questo il link). Vale la pena di riproporre la faccenda, nell’ambito del più ampio contesto inerente alla vicenda della presunta scomparsa di legioni romane.

Busto del tardo periodo repubblicano, per il quale è stato ipotizzato che rappresenti Crasso, conservato alla Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen.

La battaglia di Carre
Nel 53 a.C. il triumviro Marco Licinio Crasso mobilitò sette legioni (per un totale di 42.000 uomini), più varie forze ausiliarie, per affrontare il potente impero partico sulla frontiera orientale dei territori romani. Ossessionato dall’idea di superare Giulio Cesare e Pompeo, suoi colleghi nel triumvirato, Crasso aspirava ad emulare Alessandro Magno, che era riuscito nella straordinaria impresa di conquistare il vasto Impero persiano. Tuttavia, senza un’adeguata preparazione, la sua avventura si trasformò in uno dei più grandi disastri della storia romana, un errore inappellabile dalle conseguenze rovinose. Il 6 giugno del 53 a.C., nei pressi di Carre (l’odierna Harran) i due eserciti si scontrarono. L’esercito partico, al comando del generale Surena, aveva solo la cavalleria, valutabile sui 50.000 uomini che bersagliarono i Romani con micidiali dardi. Le fonti antiche narrano con dovizia di particolari lo svolgimento della battaglia, che qui non andremo ad approfondire ma alla quale dedicheremo un prossimo articolo. Sappiamo che, nonostante innumerevoli episodi di valore e atti di coraggio (tra i quali spiccano quelli dei Celti che il figlio di Crasso, Publio, si era portato dalla Gallia, nonostante fossero tormentati dal caldo e dalla sete cui non erano abituati), i Romani lasciarono nella battaglia di Carre 20.000 morti e 10.000 prigionieri. Furono questi ultimi a dare origine alla leggenda.

Statua di bronzo di un nobile partico (forse lo stesso Surena) dal santuario di Shami a Elimaide (odierno Khūzestān, Iran, lungo il golfo persico), attualmente ubicata presso il Museo Nazionale dell’Iran.

Il destino dei 10.000 prigionieri romani
Secondo Plinio, essi furono inviati nella regione della Margiana (tra gli attuali Afghanistan e Turkmenistan) per proteggere la frontiera orientale dell’Impero partico dalle minacce degli Unni. Questa fu l’ultima notizia che ricevettero i familiari dei prigionieri, il cui dolore non si era ancora dissipato quando trent’anni più tardi Augusto cercò di negoziarne il rimpatrio. Ma a quel punto nemmeno i Parti sapevano più che fine avessero fatto i legionari. Orazio afferma che si fossero stabiliti nella stessa Margiana, ma non ci sono prove al riguardo. Non si sa nemmeno quanti fossero sopravvissuti ai 2.500 km che separano la regione dal luogo della battaglia.

Legionari in Cina?
Negli anni ‘50, basandosi su Plutarco e Plinio e dopo aver analizzato le cronache cinesi dello Hou Han Shu (Libro degli Han posteriori), il professore di storia cinese Homer Dubs propose una teoria fondata sul resoconto della campagna condotta nel 36 a.C. dal governatore delle regioni occidentali dell’Impero Han, Gan Yen-shou, e del suo generale, Ch’en T’ang. Secondo Dubs, i legionari romani furono inizialmente inviati ad Alessandria Margiana (l’odierna Merv, in Turkmenistan), ma in seguito riuscirono a fuggire per unirsi come mercenari a Zhizhi Shan-yu, il nuovo capo della tribù nomade degli Xiongnu, che mirava ad espandere il suo dominio a spese dell’Impero Han.

L’ipotetico percorso dei legionari romani.

Zhizhi aveva ordinato di costruire vicino al fiume Talas (tra il Kirghizistan e il Kazakistan) una fortezza che minacciava il commercio lungo la Via della Seta. Per questa ragione il generale T’ang convinse il suo superiore ad attaccarla con un esercito di 40.000 uomini. Nel resoconto dell’assedio della fortezza, T’ang afferma che le mura erano protette anche da una doppia palizzata in legno, come quella spesso usata dai legionari. Inoltre “più di cento fanti, schierati su entrambi i lati della porta in formazione yù-lin-cheng (a squame di pesce), praticavano esercitazioni militari”. Dubs riconobbe in questa formazione la famosa testudo (testuggine) dei legionari romani.

La “testudo” romana.

Liqian, la città “romana”
Nel suo rapporto all’imperatore, il governatore Gan Yen-shou dichiarava la cattura di 145 soldati che Dubs identificò con i mercenari schierati contro T’ang. Come riconoscimento della loro abilità militare, questi prigionieri sarebbero stati trasferiti in territorio han per proteggere il confine occidentale dalle incursioni tibetane e avrebbero fondato la città di Zhelaizhai (nella provincia del Gansu). Questa in origine si chiamava Liqian o Li-Jien (il nome con cui in Cina era conosciuta Alessandria d’Egitto e con cui per estensione si identificava l’Impero Romano. Secondo lo storico Chen Zhengyi, Liqian dovrebbe essere pronunciato “Lijian”, trascrizione fonetica del latino legio. L’ipotesi è che i romani sopravvissuti al disastro di Carre avrebbero potuto esser stati autorizzati a fondare una colonia lungo il corridoio di Hexi, il transito verso il Tibet della Via della Seta, per agevolare le transazioni con l’Occidente e per proteggere il confine occidentale dalle incursioni tibetane.

Cai, soprannominato Cai il Romano dalla gente del posto.

Prove non definitive
Gli abitanti dell’odierno Liqian hanno evidenti tratti somatici europei. E loro stessi si considerano discendenti degli antichi legionari. Su tali caratteristiche hanno costruito fiorente industria turistica con la quale fanno soldi, onestamente, ci mancherebbe, ma sulla cui attendibilità vi sono dubbi. Anche se recenti analisi del DNA condotto nel 2001 su 93 abitanti ha evidenziato che il 50 per cento mostrava tratti genetici caucasici, tuttavia ciò non significa che siano di discendenza romana. In epoca repubblicana l’esercito romano era composto principalmente da Italici e socii (ossia popoli legati a Roma attraverso un trattato di alleanza) e non dal ventaglio di etnie molto diverse che avrebbero poi formato le truppe imperiali negli anni a venire. Le truppe dislocate in Oriente erano costituite da numerosi mercenari greci che Crasso non avrebbe avuto difficoltà ad ingaggiare in gran numero. Inoltre, esistono altri gruppi caucasici ai margini occidentali della cultura cinese, come i wusun (tocari) o i greco-battriani, ed è da escludere che piccoli gruppi di occidentali abbiano raggiunto il territorio cinese in seguito a migrazioni sporadiche. Pertanto, la percentuale di DNA caucasico nella popolazione di Liqian è spiegabile senza ricorrere alla pur suggestiva ipotesi di un’antica origine romana.

Veduta di Liqian.

Mancano inoltre le evidenze archeologiche, salvo quelle di una campagna di scavo cinese che ha rinvenuto a Liqian una fortificazione con tecniche costruttive romane. Il problema sta nel fatto che l’amministrazione han permetteva l’insediamento solo a stranieri parzialmente sinizzati (e i legionari, invece, erano completamente estranei al mondo cinese), e mai in numero così esiguo (nel nostro caso, 145 uomini).

Lo “scutum” romano.

Per quanto riguarda la formazione “a squame di pesce” dei soldati contro cui combatterono gli Han presso il Talas, identificata come la testudo romana, era già utilizzata dai cinesi fin dal I millennio a.C. e nota ai mercenari greco-sogdiani. Di fatto, i soldati Han erano a volte equipaggiati con scudi rettangolari simili allo scutum romano.

Concludendo, la storia affascinante secondo la quale la “legione fantasma” di Crasso sarebbe riapparsa in Estremo Oriente dopo vent’anni dalla disfatta di Carre, a cinquemila km di distanza dalla battaglia, è un’ipotesi basata solo su prove indiziarie, e una presunta traccia genetica dei soldati potrebbe essere andata perduta quando i Tibetani rasero al suolo la città nel 746 d.C.

TEUTOBURGO

L’imboscata di Teutoburgo.

Nel periodo imperiale capita di assistere alla distruzione e scomparsa totale di alcune legioni, famose e purtroppo note come quelle comandate da Publio Quintilio Varo, che nella foresta di Teutoburgo, vicino Kalkriese, perse nel 9 d.C. ben tre legioni, la XVII, XVIII e XIX. Questo disastro, a cui abbiamo già dedicato un ampio articolo (questo il link per chi volesse approfondire), cambiò per sempre la storia dell’Europa, impedendo ad Augusto la programmata conquista della Germania e attestando la frontiera dell’Impero al Reno. Arminio, il traditore che gettò le legioni in una vile imboscata, fu assunto ad eroe nazionale tedesco. È ragionevole pensare che senza un Arminio e con la romanizzazione della Germania – e la sua civilizzazione – probabilmente non ci sarebbe stato un Adolf Hitler (che di Arminio fu un ammiratore) e le conseguenze che tutti conosciamo. La Storia è disseminata di bivi, trivi e quadrivi: chissà come avremmo potuto essere se alcuni avvenimenti non fossero accaduti e se fossero state fatte certe scelte invece di altre.

La storia è ben nota: durante la primavera dell’anno 9 il governatore Varo organizzò le sue forze per iniziare una campagna che lo avrebbe tenuto occupato tutta l’estate e l’avrebbe portato fino alle terre dei Cherusci. Si trattava di una missione di routine nella quale, oltre a riscuotere le imposte e ad amministrare la giustizia, avrebbe passato in rassegna e integrato le guarnigioni sull’altra sponda del Reno. Si trattava quindi di un compito di carattere prevalentemente amministrativo, e non di una spedizione militare.

Le truppe che partirono dall’accampamento di Vetera (l’attuale Xanten, nel nord della Germania) erano composte da tre legioni, oltre a sei coorti di truppe ausiliarie e da tre ali ausiliarie di cavalleria. Varo disponeva, in totale, di 17.000 combattenti. Insieme ai contingenti militari marciavano anche numerosi civili: tra i 3.500 e i 4mila, tra i quali anche le mogli e i figli dei soldati, una miriade di servitori, commercianti e gente di ogni tipo che viveva all’ombra dell’esercito.

Legioni in marcia.

Contando di trovarsi in territorio amico e fidandosi delle informazioni riportate da Arminio, Varo non diede importanza alle notizie che gli arrivavano sull’annientamento di alcuni piccoli contingenti romani ad opera di bande germaniche. In realtà, dietro questi episodi non si celava altro che le truppe comandate dallo stesso Arminio, il quale aveva disegnato un meticoloso piano d’attacco.

L’Hermannsdenkmal (lett. Monumento ad Arminio) è un monumento situato a Detmold, nel Land Renania Settentrionale-Vestfalia, nella parte meridionale della foresta di Teutoburgo. Venne realizzato tra il 1838 ed il 1875 su progetto di Ernst von Bandel.

Arminio, un capo cherusco divenuto cittadino romano con il grado di Prefetto di Coorte, iniziò a complottare per unire sotto la sua guida diverse tribù di Germani ed impedire ai Romani di realizzare i loro progetti. Tuttavia, mentre di nascosto creava una coalizione antiromana, Arminio mantenne il suo incarico di ufficiale della Legione e da cittadino romano ottenne la fiducia di Varo, che si fidò completamente di lui, ignorando le accuse di tradimento formulate nei suoi confronti dai Romani e promuovendolo a suo consigliere militare.

Il massacro nella foresta
Quella che viene chiamata Battaglia di Teutoburgo, fu in realtà una vigliacca imboscata e un susseguirsi di scontri, durati in tutto quattro giorni che ebbero come epilogo la distruzione dell’esercito di Varo ai piedi della collina di Kalkriese, circa 20 km a nord-est di Osnabrück.

In tale agguato i legionari non furono neppure schierati in assetto da combattimento ma, contro tutte le regole romane, furono fatti proseguire in semplice assetto di marcia ed affardellati. La maggior parte dei legionari fu massacrata senza potersi schierare né difendere, con lo stesso Varo che si tolse la vita, mentre i Germani si lasciarono andare ad orribili atrocità, tanto che le testimonianze dei pochi sopravvissuti parlarono di torture e mutilazioni perpetrate sui legionari romani catturati e sulle loro famiglie.

Le Aquile perdute
Con Teutoburgo, non furono solo le legioni a scomparire nel fango della Germania. Le tre Aquile, emblema delle legioni distrutte, furono la parte più ambita del bottino ricavato dai furiosi saccheggi germanici. L’Aquila era tra i simboli più sacri dell’esercito romano ed era il simbolo di Roma stessa. Rappresentava Giove, il protettore dello Stato. Fungeva da emblema del potere di Roma e del suo Impero e nessuno poteva vantarsi di averla strappata ad una legione. O poteva, ma l’avrebbe pagato caro. L’onore di Roma era legato anche a queste insegne: i Germani lo sapevano bene. Ed infatti predarono e custodirono con cura questo preziosissimo bottino, segno tangibile della vittoria contro Roma. Anche se inizialmente si pensava che esse fossero perdute per sempre, i Romani non erano disposti a lasciar perdere così facilmente. Le Aquile dovevano tornare a casa: solo così si sarebbe lavata l’onta della sconfitta.

E così fu. Durante le campagne del grande generale Germanico contro Arminio, fu recuperata una prima Aquila. Nel 15 d.C. essa viene ritrovata dall’ufficiale di cavalleria Lucio Stertinio. Dopo aver sconfitto i Bructeri e saccheggiato il loro territorio, egli trova con grande stupore (purtroppo non conosciamo i dettagli) l’Aquila della XIX Legione.

Rappresentazione artistica del recupero di un’Aquila.

La seconda Aquila è recuperata invece dopo la battaglia di Idistaviso nel 16 d.C. Un capo dei Marsi, Mallovendo, non solo si arrende a Germanico per evitarne la furia, ma gli rivela anche il luogo dove è custodita un’altra delle Aquile: è stata infatti sotterrata in un vicino bosco sacro, sorvegliata da pochi guerrieri. Germanico non perde tempo e invia un distaccamento di soldati a recuperare l’insegna: mentre una parte deve impegnare e distrarre i guerrieri posti a custodia, un altro gruppo di soldati scava nel terreno e recupera l’Aquila, della quale non conosciamo a quale legione appartenga.

La terza Aquila verrà recuperata sotto il regno di Claudio. Nel 41, Publio Gabinio Secondo, dopo aver sconfitto i Cauci in battaglia, scopre con sorpresa il suo nascondiglio (anche in questo caso le fonti sono carenti di dettagli).

E le tre legioni?
In questo caso non si può parlare di misteriosa scomparsa: sappiamo bene che fine abbiano fatto le tre legioni di Varo. Germanico, guidato dai sopravvissuti, tornò sul luogo del massacro ritrovando i resti insepolti dei legionari e dando loro degna sepoltura. E siccome essi erano mescolati a quelli dei Germani, i Romani seppellirono anche loro, rendendo onore ad amici e nemici: la pietas romana riconosceva la dignità di ogni defunto, a prescindere dal lato di appartenenza della barricata.
Le legioni XVII, XVIII e XIX, forse per scaramanzia o forse per rispettare i caduti, non furono mai più ricostituite. Esse, oltre a scomparire nell’oscurità di una foresta, scomparvero così anche dalla Storia.

LA LEGIO VIIII HISPANA

È la più famosa tra le legioni scomparse, la più decorata dell’Impero, quella a cui si sono ispirati romanzi e film. Verità o leggenda che sia, il mistero della VIIII scomparsa tra gli impervi boschi scozzesi è un argomento che affascina studiosi ed appassionati.

Una Legione vittoriosa
La Legio VIIII (chiamata meno correttamente Legio IX) vantava già diverse vittorie in Gallia e sotto le guerre civili sotto Cesare. Quando Ottaviano ebbe necessità di formare una nuova Legione, richiamò in servizio i veterani del padre adottivo, i quali riformarono la VIIII. Essi combatterono nella battaglia navale di Azio, lo scontro che concluse la guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio. Furono poi mandati in Spagna, distinguendosi per valore nelle guerre cantabriche, terminate nel 13 a.C.; da questi eventi bellici, la Legio VIIII ottenne da Augusto il titolo di Hispana. Sotto Tiberio, fu vittoriosa in Mauretania ed impiegata sul turbolento confine renano, in Pannonia e sul Danubio. Era già la Legione più decorata dell’Impero prima ancora di prendere parte alla conquista della Britannia ordinata dall’imperatore Claudio. Nel 60 la VIIII si distinse nel sedare la rivolta capeggiata dalla regina degli Iceni Boudicca, o Boadicea, alla quale abbiamo già dedicato un articolo (per chi vuole approfondire, questo il link).

La scomparsa dell’Hispana
Sappiamo che la Legio VIIII Hispana ricevette l’ordine di costruire la fortezza di Eburacum (l’attuale York) per contenere le incursioni delle tribù del nord. Eppure, tempo dopo, la maggior parte della VIIII e dei suoi ausiliari – circa 10.000 uomini – scomparve dalla Storia.
A partire da quel momento non si sa bene cosa accadde all’unità. Sono sorte diverse teorie su quale possa essere stata la sua destinazione finale.

Frame dal film “The Eagle” del 2011.

Le teorie
La più diffusa ipotizza che tra il 119 e il 120 il contingente marciò verso nord per scontrarsi con i Pitti della Caledonia (Scozia) o i Briganti che ancora si battevano strenuamente contro l’occupazione romana. Secondo questa teoria, la VIIII fu distrutta in un agguato proprio da queste tribù, ma le fonti non dicono nulla al riguardo. L’unica cosa certa è che l’imperatore Adriano decise allora di abbandonare la conquista della Britannia settentrionale, mise di stanza ad Eburacum la Legio VI Victrix e ordinò la costruzione del Vallo che avrebbe portato il suo nome a difesa della provincia romana. La Hispana fu quindi cancellata dagli archivi dopo una catastrofica sconfitta? L’assenza di informazioni non implica necessariamente la volontà di nascondere un evento tragico: non era infatti insolito che le legioni cessassero di comparire nei registri senza ulteriori spiegazioni. Inoltre, nessuna fonte o reperto archeologico conferma una campagna nel nord della Britannia, tanto meno un disastro militare di tale portata.

Sigillo della VIIII Hispana.

Il ritrovamento di due sigilli della Hispana porta ad una seconda ipotesi: quella di un suo trasferimento a Noviomagus (l’odierna Nimega, nei Paesi Bassi) nel 120 per rafforzare la frontiera della Germania Inferiore. Tuttavia i reperti, datati intorno all’80 d.C., non provano in alcun modo un trasferimento dell’Hispana al di fuori della Britannia. Infatti, si potrebbe trattare di una semplice vexillatio (distaccamento) inviata poco prima della presunta tragedia. D’altra parte, diverse iscrizioni attestano come ex ufficiali della Hispana avessero svolto in seguito fortunate carriere in veste di legati, governatori e persino consoli. Data la rigida mentalità romana, è difficile credere che avessero potuto ottenere tali incarichi se fosse pesato su di loro il disonore di una disfatta, anche nel caso in cui avessero lasciato la Legione prima della sua scomparsa.

Una terza ipotesi è legata alla scoperta di una lapide a Ferentino, in provincia di Frosinone, dalla quale sappiamo che dei rinforzi di emergenza di oltre 3.000 uomini furono mandati in Britannia nei primi mesi del regno di Adriano che, di persona, visitò l’isola nel 122 al fine di “correggere molti errori”, portando con sé una nuova Legione, la VI. Il fatto che, come abbiamo visto, risiedettero nella fortezza legionaria di York – costruita, lo ricordiamo, dalla VIIII – sembrerebbe confermare le notizie riportate dallo scrittore romano Marco Cornelio Frontino, contemporaneo di Adriano, secondo cui un gran numero di soldati romani fu ucciso dai Britanni. Le perdite a cui si riferisce Frontino sarebbero relative, quindi, proprio all’Hispana la quale, essendo la più settentrionale di tutte le legioni in Britannia, dovette più di tutte soffrire la rivolta, finendo i suoi giorni a combattere i ribelli nel tumulto di inizio II secolo.

L’ipotesi più realistica
Sappiamo che le fortezze legionarie erano soggette ad avvicendamenti (vedi il forte di Vindolanda), quindi la VIIII potrebbe aver semplicemente cambiato acquartieramento, sostituita dalla VI Victrix di Adriano. Per quanto accattivante possa essere la storia di una legione scomparsa, è più probabile che la Hispana continuò a prestare i suoi servizi in altri importanti conflitti che infuriavano nell’Impero Romano in quel periodo. È il caso della ribellione di Simon Bar Kokheba (Simone “Figlio della Stella”) in Giudea (132-135) per sedare la quale fu necessario mobilitare sette legioni. Alcune di esse subirono perdite così pesanti che Adriano potrebbe averne ordinato lo scioglimento. Nel suo resoconto in Senato in merito alla campagna militare, infatti, omise la consueta formula introduttiva “Io e le legioni stiamo bene”…

La Legio VIIII Hispana nel folklore popolare
Un alone di mistero avvolge ancora oggi la VIIII Hispana, soprattutto in Scozia, dove la sua vicenda è ancora molto presente e sentita, condita di implicazioni nazionalistiche e di racconti misteriosi. Uno di essi racconta che fosse stata maledetta durante un rito druidico perché i suoi soldati avevano frustato la regina Boudicca e violentato le sue due figlie.

Un’altra leggenda vuole che i legionari di Roma abbiano attraversato in marcia, armati di tutto punto e guidati da un comandante vestito con una tunica candida, una località della Scozia centrale, Dunblane, nel settembre del 1974. Dell’episodio, raccontato da alcuni terrorizzati abitanti del luogo, venne dato conto nelle cronache locali e in libri di autori specializzati in fenomeni paranormali, che narrano anche di gatti domestici dal pelo ritto sul dorso che sembravano spaventati da “qualcosa che stava attraversando il salotto”.

Ma nei secoli, molti sono stati gli avvistamenti di colonne legionarie fantasma in marcia in determinate notti e su specifici sentieri. Seguendo le teorie di Mommsen, la VIIII Legione avrebbe perso la sua aquila, conquistata dai locali e nascosta chissà dove. Sappiamo quanto era importante per una legione romana preservare e proteggere la propria Aquila e abbiamo già visto che la sua perdita in battaglia significava vergogna e disonore per tutti i legionari. Ed ecco, quindi, che la VIIII Hispana sarebbe stata condannata a marciare per la Britannia per l’eternità alla ricerca della sua Aquila perduta.

LA SCOMPARSA DELLE LEGIONI XXI RAPAX E V ALAUDAE

Un evento poco conosciuto riguarda la scomparsa completa e in parte misteriosa, di due legioni, avvenuta durante le campagne militari di Domiziano contro i Sarmati o i Daci. Questa sconfitta completa delle due Legioni, con conseguente cancellazione dall’albo, rimane ancora oggi non perfettamente nota. Seguiamone la storia.

Stendardo della “Rapax”.

La Legio XXI Rapax
Composta probabilmente da soldati della Legio XXI di Giulio Cesare, questa Legione fu reinquadrata da Augusto nel 31 a.C. dopo la battaglia di Azio. Essa fu poi di stanza a Ratisbona in Rezia e, in seguito al disastro di Teutoburgo, inviata a presidio del fronte germanico a Xanten, dove insieme alla V Alaude, difese la frontiera del Reno ormai sguarnita. In seguito, appoggiò Vitellio contro Vespasiano: tuttavia non fu punita per questo (sappiamo che Vespasiano vinse, diventando il nuovo imperatore). Nel 70 partecipò insieme ad altre legioni contro la cospirazione di Gaio Giulio Civile (un militare germanico naturalizzato romano, membro della tribù dei Batavi), risolta la quale venne poi inviata a Mogontiacum (Magonza) dove divise il campo insieme alla Legio XIV Gemina. Queste due legioni sostennero nell’88 Lucio Antonio Saturnino (allora governatore legato della Germania Superior – che comprendeva alcuni territori delle attuali Svizzera, Germania e Francia) nella rivolta contro Domiziano, fallita la quale esse vennero separate e la Rapax fu inviata in Pannonia. E qui si si perdono le sue tracce. Si ipotizza che la Legione possa essere stata annientata durante la rivolta dei Sarmati contro Domiziano nel 92.

Stendardo della “Alaudae”.

La Legio V Alaudae
Nota anche come V Gallica venne creata da Giulio Cesare nel 52 a.C. ed era composta da nativi della Gallia Transalpina. Il soprannome di Alaudae (“allodole”) derivava dall’alta cresta tipica dei guerrieri Galli, che usavano piume di allodola per decorare gli elmi legionari. Partecipò alle guerre galliche di Cesare e poi a quelle spagnole. Era una delle legioni più coraggiose del grande generale: si racconta, infatti, che durante la battaglia di Tapso (oggi Ras Dimas, in Tunisia) del 46, dopo aver sostenuto e respinto con efficacia una carica di elefanti africani, alla stessa fu dato come simbolo proprio l’elefante. Nel corso della guerra tra Antonio e Ottaviano, la Legione parteggiò per il primo, ma dopo Azio entrò a far parte dell’esercito di Augusto. Nel corso dell’Impero fu quasi sempre sulla frontiera renana: nel 16 a.C., sotto il comando di Marco Lollio, fu sconfitta da alcune popolazioni germaniche, i Sugambri egli Usipeti, perdendo anche l’Aquila. La clades Lolliana fu, dopo la clades Variana, la più grave sconfitta subita dai Romani durante il principato di Augusto, anche se assai meno nota. Nel 69 prese parte, insieme alla XXI Rapax, alla prima battaglia di Bedriacum, nel corso della guerra civile tra Vitellio e Vespasiano, stando dalla parte del primo. Perdonata da Vespasiano, rimase in zona fino a Domiziano quando scompare dall’elenco delle Legioni, in seguito alla guerra dacica o sarmatica. Analisi recenti sulle campagne di Domiziano rivalutate come importanza hanno stabilito che la V Alaudae fu con molta probabilità distrutta nell’85 a seguito dell’invasione della Mesia da parte dei Daci, dove il legatus Gaio Oppio Sabino venne sconfitto e morì in battaglia.

LA LEGIO AUGUSTA THEBAEORUM

Modello dello scudo di Tebe , secondo la Notitia Dignitatum romana (V secolo d.C.)

C’è chi dubita dell’esistenza di questo reparto, che non compare nei registri delle unità militari. La sua particolarità era che pare fosse costituita da giovani cristiani copti di stanza nel distretto tebano dell’Egitto, addestrati da ufficiali veterani di origine siriana e armena. La leggenda narra che essa fu sterminata per ordine dell’imperatore Massimiano nel 286, come castigo per aver disobbedito ai suoi ordini, considerati immorali.

La leggenda ha origine nel 450, quando Eucherio, vescovo di Lione, identificò i resti umani presenti in una fossa comune venuta alla luce dopo un’esondazione del Rodano come le spoglie dei seimila martiri che costituivano la Legio Augusta Thebaeorum. Secondo Eucherio, negli ultimi anni del III secolo la Legione sarebbe stata trasferita nell’Europa Centrale, operando tra Colonia e il versante settentrionale delle Alpi sotto il comando del generale Massimiano, che nel 285 venne nominato Caesar da Diocleziano e l’anno successivo Augustus. Massimiano era impegnato contro Quadi e Marcomanni che, dopo aver oltrepassato il Reno, facevano incursioni in Gallia e contro le rivolte contadine dei Bagaudi. Eucherio narra che i legionari tebani eseguirono brillantemente la loro missione.

Carlo Pellegrini e Gianlorenzo Bernini: Martirio di san Maurizio. Olio su tela, 1636-1640. Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana

Ma ben presto sorsero dei problemi. Infatti, alcuni dei suoi ufficiali si erano impegnati con Papa Caio (nipote di Diocleziano) a disobbedire a qualsiasi ordine contrario alla loro fede. Infatti, Massimiano impose ai suoi soldati un rituale che prevedeva di prostrarsi di fronte a lui in segno di sottomissione e adorazione nei suoi confronti. I soldati, compreso il loro comandante Maurizio, non solo si rifiutarono di partecipare a questo atto pagano, ma si opposero allo sterminio dei Bagaudi, anch’essi cristiani e cittadini romani. Massimiano, furioso, ordinò una severa punizione per l’unità e, non bastando la sola flagellazione, decise di applicare la decimazione, ossia una punizione militare che consisteva nell’uccisione di un soldato su dieci, mediante lapidazione o bastonate. I superstiti decisero comunque di non cedere e venne ordinata una seconda decimazione ed infine l’intera Legione (6.600 uomini), e il suo comandante Maurizio, venne sterminata dalle altre.

Il luogo del presunto massacro viene indicato in Aganum, oggi San Maurizio, nel Cantone svizzero del Vallese, sede dell’omonima abbazia. E forse non tutti sanno che la località svizzera di St. Moritz, prende il nome proprio dal generale tebano Maurizio, il comandante della Legio Augusta Thebaeorum, a cui è dedicata l’unica statua conosciuta di un soldato romano africano, conservata nella Cattedrale di Magdeburgo.

Il culto di San Maurizio
Secondo una tradizione sorta secoli dopo il presunto massacro della Legione Tebea, il comandante Maurizio riportò da Gerusalemme un oggetto che si riteneva dotato di strani poteri: la Lancia di Longino, che renderebbe invincibili in battaglia. Nel medioevo il culto di San Maurizio si diffuse dalla Svizzera in territorio germanico e assunse grande rilevanza, al punto che il generale santificato divenne patrono del Sacro Romano Impero e la Lancia Sacra (che in realtà è di epoca carolingia – una delle tantissime false reliquie che inondarono l’Occidente credulone) entrò a far parte degli attributi del potere regale utilizzati durante l’incoronazione dei sovrani, fino al 1916. Oggi San Maurizio è patrono degli Alpini e delle Guardie Svizzere.

Testa marmorea di Massimiano conservata al museo Saint Raymond di Tolosa.

Leggende?
L’esistenza di una Legio I Maximiana, anche nota come Maximiana Thebaeorum, è riportata nella Notitia Dignitatum, un documento redatto tra la fine del IV secolo e l’inizio del V. la sua notevole importanza documentaria per la conoscenza amministrativa e militare del tardo Impero Romano è in parte diminuita dall’incertezza se l’originale derivasse o meno da vere e proprie fonti ufficiali. È per questo che la menzione della Legio non può essere una prova.

Molti studiosi hanno messo in dubbio la veridicità della leggenda della Legione Tebea: infatti essa è sorta in un periodo in cui fiorivano storie di martiri volte a rafforzare la fede cristiana. Inoltre, va considerato che le autorità romane non sterminarono mai un’intera legione, nemmeno durante le guerre civili del I secolo a.C. e che comunque la pratica della decimazione era all’epoca già un anacronismo.

Se aggiungiamo che la militanza di cristiani in una legione prima di Costantino I era un fatto abbastanza improbabile, ecco che molto ragionevolmente possiamo considerare i racconti di Eucherio come una completa finzione.

PER CONCLUDERE

Abbiamo visto come non sempre la scomparsa delle legioni romane debba essere ascrivibile a fatti misteriosi. A volte è solo il risultato di eventi tragici ma reali. Abbiamo anche visto che le leggende sorte intorno a tali eventi vengono usati per rafforzare la fede religiosa o miti fondativi: è il caso della Legio VIIII Hispana che è penetrata in profondità nella coscienza nazionale di Inghilterra e Scozia. È facile capirne i motivi: un gruppo di guerrieri britanni che, sfavoriti, infliggono (secondo il mito dominante) una sconfitta umiliante ad un esercito professionale, ben addestrato e pesantemente armato. La stessa cosa succede in Italia, con i Molisani che ancora oggi ricordano con orgoglio la sconfitta inflitta dai Sanniti ai Romani alle Forche Caudine.

Tuttavia, l’affascinante alone di nebbioso mistero che circonda tali scomparse è duro a morire e, come abbiamo detto, nulla è più irresistibile di un enigma irrisolto.

Cambiare si può. Le scuole incontrano Jane Goodall.

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«Tutto nell’ecosistema è interconnesso; ogni specie vegetale e animale ha un ruolo da svolgere nel bellissimo arazzo vivente»

Jane Goodall, fondatrice di Jane Goodall Institute e messaggera della Pace dell’ONU.

Cambiare si può. Le scuole incontrano Jane Goodall” è l’evento promosso dall’Agenda Ecologia di Unione Buddhista Italiana in partnership con Jane Goodall Institute Italia per celebrare i 90 anni di vita e di studi della celebre scienziata britannica Jane Goodall che, con il suo lavoro, ha dato un contributo fondamentale alla tutela dell’ambiente e promozione per la pace. L’appuntamento è giovedì 2 maggio alle ore 11 a Roma, al Cinema Troisi (via Girolamo Induno, 1).

Accanto a Jane Goodall, intervengono Daniela De Donno, presidente del Jane Goodall Institute Italia e Silvia Francescon, responsabile dell’Agenda Ecologia di Unione Buddhista Italiana.

L’evento si apre con un racconto in video della storia e dell’impegno di Jane Goodall per la salvaguardia degli scimpanzè, dell’ambiente naturale in cui vivono e della tutela della popolazione locale, e del progetto Roots&Shoots – Radici e Germogli”, il programma internazionale – da lei creato nel 1991 – per l’educazione alla sostenibilità e all’impegno civico, con l’obiettivo di promuovere tra i giovani una cultura della responsabilità ambientale e della pace attraverso progetti concreti di tutela e di solidarietà rivolti alle proprie comunità.

L’incontro è l’occasione per Jane Goodall di incontrare e dialogare con 200 studentesse e studenti tra i 10 e i 25 anni provenienti da tutta Italia – come Milano, Padova e Roma – che hanno aderito a “Roots & Shoots – Radici e Germogli” e che saranno presenti in sala per illustrarle i progetti e le attività pensate a tutela dell’ambiente.

In Italia il programma riceve il supporto di Unione Buddhista Italiana che, in coerenza con il principio dell’interdipendenza e del prendersi cura alla base del pensiero buddhista, lo sostiene grazie ai fondi dell’8xmille.

“Jane Goodall, in occasione del suo 90° compleanno, verrà in Italia per sostenere il nostro lavoro per migliorare le condizioni degli scimpanzé e degli altri grandi primati nelle strutture che li ospitano” dichiara Daniela De Donno, presidente del Jane Goodall Institute (JGI) Italia. “La dr.ssa Goodall è cofirmataria della nostra proposta per un decreto ministeriale sulla gestione dei grandi primati in cattività. Tali strutture devono avere come prima funzione l’educazione alla conoscenza delle specie e del loro habitat naturale. Jane Goodall spera che la proposta del JGI Italia, inviata a tutti i ministeri sia accolta. Inoltre, incontrerà una grande delegazione di studenti che in Italia partecipano ai programmi per migliorare le loro comunità da un punto di vista ambientale e umanitario”.

Aggiunge Silvia Francescon, responsabile dell’Agenda Ecologia di Unione Buddhista Italiana: “Siamo felici di accogliere nuovamente Jane Goodall e di farlo insieme alle ragazze e ai ragazzi delle scuole. Jane Goodall incarna una visione di ecologia profonda, fondata sui principi di interdipendenza e compassione amorevole verso tutti gli esseri senzienti. Siamo al fianco del Jane Goodall Institute Italia nella realizzazione di progetti che hanno un impatto ecologico e sociale, volti ad alleviare la sofferenza degli animali e a sostenere le comunità locali”.

L’appuntamento è alle ore 11 al Cinema Troisi di Roma (via Girolamo Induno 1).

L’ingresso è libero fino a esaurimento posti:

https://www.eventbrite.com/e/cambiare-si-puo-le-scuole-incontrano-jane-goodall-tickets-881874529457

Fonte: INFORMAZIONE.IT

Mesotelioma, il cancro silente che porta l’affanno tra sfida diagnosi precoce e speranze di cura.

Il primo segno che dà di sé il mesotelioma pleurico “è l’affanno”. Una malattia insidiosa, è considerato un tumore raro “e si capisce perché se si raffronta ai numeri del cancro al polmone”, ma pone diversi problemi. Innanzitutto, perché “è frequente” che il paziente lo scopra quando è in fase avanzata. La prevenzione, la diagnosi precoce, “è un problema. Per gli esposti” al principale fattore di rischio che è l’amianto “non c’è ancora un’indicazione chiara a fare lo screening, anche se si va un po’ in quella direzione”.

In oltre un caso su due, tra l’altro, questa esposizione è legata a motivi di lavoro. Il futuro? Luci e ombre. Il percorso per i pazienti resta complesso e la prognosi non è in genere molto buona. Ma “la ricerca va avanti”, è una “fase di passaggio” in cui sta cambiando la strategia contro questa neoplasia. “E un dato epidemiologico interessante è che, con l’esposizione lavorativa all’amianto che oggi si è per fortuna molto ridotta” dopo che questa ‘fibra killer’ è stata messa al bando, “negli ultimi anni la curva dell’incidenza ha iniziato una fase di riduzione”. A tracciare il quadro all’Adnkronos Salute è Giulia Veronesi, professore di Chirurgia toracica, università Vita-Salute e Irccs ospedale San Raffaele di Milano.

L’esperta da anni si occupa di questa patologia, su cui sta anche conducendo delle ricerche, e sottolinea l’importanza di mantenere alta l’attenzione. A riaccendere i riflettori è stato il giornalista Franco Di Mare che ha raccontato la sua malattia, provando anche a rispondere alla domanda ‘perché a me’. A lungo inviato di guerra nei Balcani, ha ripensato a quei giorni, alla capacità distruttiva dei “proiettili all’uranio impoverito”, agli edifici che si sbriciolavano, alle esplosioni che liberavano enormi quantità di polvere nell’aria. In questa polvere potevano esserci anche loro, le particelle di amianto. Un nemico invisibile che presenta il conto diversi anni dopo, anche 20-30.

Come nasce la malattia

Il mesotelioma, spiega Veronesi, “nasce da una sierosa che è la pleura, una membrana che ricopre i polmoni. Ed è un tumore che purtroppo esordisce come diffuso, come malattia sostanzialmente estesa a tutta la pleura. Quindi è una struttura che è difficile eradicare con la chirurgia. L’intervento è molto complesso. Finora era parte del programma terapeutico di questa malattia, ma ultimamente ci sono dei dubbi se eseguirlo o meno e le ultime novità in questo campo suggeriscono che è meglio trattarlo con la chemioterapia. L’esordio, uno dei sintomi principali avvertiti dal paziente, è spesso l’affanno per colpa di un versamento pleurico, quindi del liquido nel cavo pleurico che si accumula e schiaccia il polmone”.

I casi attesi di mesotelioma in Italia sono circa 1.500 negli uomini e 500 nelle donne. E se si guardano le curve di trend, abbiamo raggiunto il plateau e siamo in una piccola fase discendente dell’incidenza”. Per la diagnosi, illustra Giulia Veronesi, “si esegue una biopsia pleurica con una piccola incisione, una toracoscopia. Si valuta l’estensione della malattia con una Tac del torace e una Pet. E può andare da uno stadio molto iniziale, con coinvolgimento solo della pleura parietale, e non di quella che riveste proprio il polmone, per arrivare fino allo stadio 3 o 4 con una malattia che infiltra il polmone e gli altri organi della parete toracica.

A volte il primo segno è il versamento pleurico e può comparire precocemente quando la malattia è ancora abbastanza limitata. Però, se per esempio c’è anche il dolore toracico, può voler dire che c’è stata l’infiltrazione della parete. Spesso inoltre il versamento pleurico non viene riscontrato facilmente. Anche perché, se il paziente è anche fumatore e sente un po’ di affanno, non fa subito gli esami. La realtà è che la diagnosi nello stadio 1 è abbastanza rara, più frequentemente ci si trova di fronte a una malattia in stadio più avanzato”.

Ci sono varie forme di mesotelioma, continua l’esperta. “La meno aggressiva è quella epiteliale, poi c’è una forma che si chiama bifasica e infine quella sarcomatoide. Queste ultime due sono più aggressive, vanno più veloci. L’epiteliale può avere anche un decorso abbastanza lento. La sopravvivenza media, senza trattamenti, è intorno a 1-2 anni, quindi non è molto favorevole. La chemioterapia dà un vantaggio di sopravvivenza e anche di qualità di vita. E per alcuni casi esiste anche l’arma dell’immunoterapia. La chirurgia aveva un ruolo abbastanza importante nello stadio 1, quando non ci sono linfonodi interessati e la malattia è limitata. Oggi è un po’ in discussione. L’intervento è una pleurectomia/decorticazione, cioè si toglie la pleura e si pulisce tutto il cavo toracico”.

Qual è dunque il ruolo dei chirurghi oggi? “Al di là del tentativo di fare una chirurgia radicale – descrive Veronesi – noi ci occupiamo di fare la diagnosi e di ridurre il problema del versamento con un piccolo intervento che si chiama talcaggio del cavo pleurico. Mettiamo un talco sterile in toracoscopia attraverso un foro di un centimetro e almeno riduciamo il problema del respiro perché, eliminando il liquido pleurico, facciamo attaccare la pleura viscerale alla pleura parietale e non c’è più spazio per il liquido di accumularsi. Quindi c’è un vantaggio di qualità di vita. Va comunque avanti la ricerca di nuovi farmaci. Si stanno studiando anche in fase 1 molecole nuove, che si abbinano ai trattamenti più tradizionali”.

Ed è positivo l’aspetto epidemiologico legato alla “riduzione dell’esposizione lavorativa, perché non si utilizza più l’amianto nell’industria dall’inizio degli anni ’90”, ragiona Giulia Veronesi. L’impatto di questo stop lo si vede adesso “perché c’è una latenza di circa 20 anni dall’esposizione alla sostanza alla creazione delle prime cellule tumorali e poi all’esordio clinico del tumore. Possiamo dire che più del 50% dei mesoteliomi sono dovuti a un’esposizione lavorativa. Esiste però una parte di casi – puntualizza – in cui non c’è una chiara esposizione. E dobbiamo trovare altre cause. Anche il fumo di sigaretta può causare mesotelioma. Con l’Inail abbiamo in corso uno studio per valutare come fare la diagnosi precoce del mesotelioma anche con le Tac a basso dosaggio”.

“La prevenzione è proprio un problema ad oggi – evidenzia l’esperta – perché comunque è un tumore raro e per gli esposti non c’è un’indicazione ancora chiara a fare la Tac di screening. Una volta la sorveglianza era principalmente con la lastra del torace, ma oggi si va più verso una Tac del torace a basso dosaggio, come quella dello screening polmonare. Poi ci sono una serie di studi in corso anche su marcatori molecolari che possano più o meno essere indicatori prognostici, o anche di diagnosi, ma siamo ancora in una fase di ricerca. Sicuramente è in corso una valutazione su quello che fino ad oggi è stato lo standard – cioè chemioterapia-chirurgia-successiva radioterapia – alla luce di nuovi dati che stanno facendo perdere spazio alla chirurgia a scopo radicale. Ci sono poi delle ricerche nuove sulla radioterapia, e si cerca di spingere di più su programmi nuovi di radioterapia con tecnologie e macchine molto avanzate che cercano di risparmiare i tanti tessuti sani circostanti”.

La ricerca, conclude Veronesi, “va finanziata. Ma il problema è anche che, essendo un tumore raro, è più difficile” fare massa critica, “hai pochi casi da arruolare anche per la sperimentazione con i farmaci nuovi. Quanto ai fondi, ci sono dei finanziamenti specifici per i tumori rari, ma sono molto pochi. Quindi sicuramente la ricerca va implementata perché è vero che la curva dei nuovi casi sta scendendo, ma molto lentamente. E ci sono anche i casi di familiarità o legati ad altri cancerogeni che non sono l’amianto, e quei numeri non scendono”.

Pneumologi: “Speranze da immunoterapia”

Il mesotelioma, conferma all’Adnkronos Salute Carlo Vancheri, past president della Società italiana di pneumologia e professore ordinario di Malattie respiratorie all’Università di Catania, “resta ancora una neoplasia difficile da curare, ci sono studi e ricerche ma quello su cui battere è la prevenzione perché nella maggior parte dei casi sappiamo la causa. E il coraggio dimostrato dal giornalista Franco Di Mare va in questa direzione”. Sul fronte delle terapie, “ci sono studi su farmaci immunoterapici che stanno dimostrando efficacia nel prolungare con buona efficacia la sopravvivenza di pazienti colpiti da altre neoplasie che attaccano i polmoni, ma un po’ meno, purtroppo, nel caso del mesotelioma. Siamo comunque in anni in cui la ricerca oncologica fa enormi progressi e dobbiamo avere speranza”, ricorda Vancheri.

“Essendo un tumore legato all’esposizione all’amianto, soprattutto, sappiamo da dove partire e questo ci dovrebbe permettere di fare un lavoro di prevenzione soprattutto negli ambienti di lavoro – rimarca l’esperto – La comunità scientifica e la società devono essere unite in questo lavoro”.

Fonte: ADNKRONOS.COM

Giancarlo De Venuto è il nuovo presidente Assoturismo Assohotel Confesercenti Puglia.

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BARI – Giancarlo De Venuto è il nuovo presidente di Assoturismo Assohotel Confesercenti Puglia. Esperto di turismo di lungo corso, il neo presidente, durante la sua investitura, ha tracciato la strategia che caratterizzerà il suo mandato politico.

La coesione tra le varie anime associative è prioritaria per tracciare un percorso che porti ad affermare e realizzare un Piano di sviluppo turistico partendo da ciò che in questi ultimi anni è stato fatto’, spiega De Venuto, il quale aggiunge che ‘la parola d’ordine è CONCERTAZIONE.  Ovvero: l’intesa negoziale tra i vari sindacati del turismo partendo dalle loro specifiche esigenze che – in alcuni casi potrebbero essere anche divergenti – porterebbe a realizzare lo sviluppo sistemico dei territori e delle singole attività che è alla base  dell’interesse generale’.

Il superamento della crisi e della profonda incertezza degli ultimi anni si supera se si incomincia a ragionare sull’organizzazione dei sistemi di prodotto archiviando l’antica prassi della promozione dei singoli prodotti.

Le politiche future di Assoturismo Assohotel Confesercenti Puglia – conclude De Venuto – sono chiare e definite: non si può creare una destinazione turistica soltanto con gli alberghi escludendo agenzie viaggi, guide turistiche, trasporti, cultura, folklore. La CONCERTAZIONE, per tornare al concetto iniziale, è la chiave di volta per il futuro’.

Particolare attenzione riveste anche la qualità dei servizi offerti, a tal proposito ‘c’è l’impegno di organizzare la seconda edizione del corso per qualificare le professionalità turistiche – sottolinea Mario Landriscina, coordinatore Assoturismo  – organizzato in collaborazione con l’Università di Bari. Elevare il livello dell’ospitalità e dell’accoglienza aumenta il consenso per la nostra terra da parte dei viaggiatori e consente di guadagnare ulteriori fette di mercato’.

FEDERITALY E ASSOCIAZIONE SAN MARINO ITALIA SIGLANO UN ACCORDO DI COLLABORAZIONE PER LA PROMOZIONE DEL NASCENTE MARCHIO “MADE IN SAN MARINO” E PER LO SCAMBIO CULTURALE TRA LE DUE ORGANIZZAZIONI.

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Federitaly (Federazione Italiana per la Tutela e la Promozione del Made in Italy) e l’Associazione San Marino Italia hanno stretto oggi un accordo di partenariato strategico finalizzato alla promozione del marchio emergente “Made in San Marino” e alla promozione di scambi culturali tra le due istituzioni. L’accordo, firmato presso la Segreteria di Stato per l’Industria, l’Artigianato, il Commercio, la Ricerca Tecnologica e la Semplificazione Normativa a San Marino, vede la partecipazione dei presidenti delle due organizzazioni, Carlo Verdone per Federitaly e Elisabetta Righi Iwanejko per l’Associazione San Marino Italia, e alla presenza del Segretario di Stato della Repubblica di San Marino, On. Fabio Righi. Carlo Verdone, Presidente di Federitaly, ha espresso grande entusiasmo per questa collaborazione, sottolineando l’importanza di creare un dialogo e una cooperazione che rafforzi i legami tra Italia e San Marino non solo sul versante economico, ma anche su quello culturale. La nascita del marchio di origine e qualità “Made in San Marino” rappresenta una straordinaria opportunità per far conoscere al mondo una produzione di eccellenza nel mondo agroalimentare ed artigianale delle aziende sammarinesi e tutelarla con le più moderne tecnologie.

Elisabetta Righi Iwanejko, Presidente dell’Associazione San Marino Italia, da parte sua ha espresso soddisfazione per l’accordo firmato, sottolineando l’importanza dell’incontro che testimonia ulteriormente l’antico e consolidato legame tra i due Stati così fortemente uniti da comuni matrici storiche, culturali e sociali in nome di quei valori e principi che hanno contraddistinto l’identità ed il senso di appartenenza proprie delle due rispettive realtà. “Ritengo che questa sia la giusta strada da percorrere per la creazione di occasioni reciproche di promozione, sviluppo e crescita per le tante attività economiche nel rispetto della tradizione e dell’innovazione”.  Il Segretario di Stato della Repubblica di San Marino, Fabio Righi, ha mostrato il suo pieno sostegno all’accordo, evidenziando il contributo che questa collaborazione potrà apportare al rafforzamento delle relazioni tra San Marino e l’Italia. Il ministro ha ribadito che “l’iniziativa è particolarmente pregevole perché si incardina perfettamente con le politiche di collaborazione che abbiamo immaginato tra i due brand – 100% Made in Italy e Made in San Marino che stiamo portando avanti da tempo e che hanno portato al provvedimento di creazione del “Made in San Marino e 100% Made in San Marino – Mercati e Botteghe Storiche”. Il Segretario Nazionale di Federitaly, Lamberto Scorzino, ha dichiarato che Federitaly metterà a disposizione la propria esperienza e tecnologia per sostenere l’Associazione San Marino Italia nella promozione e protezione del marchio “Made in San Marino”, garante dell’autenticità e qualità delle produzioni sammarinesi. La presenza del coordinatore nazionale per l’area export di Federitaly, Guglielmo Destro, ha conferito ulteriore significato all’accordo, evidenziando l’interesse del network internazionale della Federazione nell’instaurare sinergie anche con i mercati esteri, dove Federitaly è presente con proprie delegazioni.

Omaggio a Giulia Cecchettin. Danza e Musica unite contro la violenza sulle donne.

Si comunica la creazione di uno speciale e significativo progetto legato al terribile femminicidio di Giulia Cecchettin, la giovane ragazza italiana uccisa dal suo ex fidanzato, che ha tenuto col fiato sospeso tutta Italia.

Giulia ha studiato danza per molti anni e tempo fa la sua insegnante di danza, Monia Masiero, ha chiesto al pianista e compositore Massimiliano Greco di scrivere un pezzo dedicato a Giulia. Il pezzo è stato composto ed è stata creata una coreografia in suo ricordo.

La musica si chiama “Lettera a Giulia”.

Da questa richiesta il maestro Greco ha pensato ad un progetto più grande da condividere con tutto il mondo della danza e con i suoi colleghi pianisti: ha elaborato una versione di Lettera a Giulia apposta per la lezione di danza classica.

Questa versione viene messa a disposizione in maniera totalmente gratuita, come file musicale, per tutte le scuole,  le accademie e le compagnie di danza del mondo e  ai loro direttori, i loro ballet master e i loro insegnanti.

Sarà inviata, pubblicata e condivisa sui social e in tutte le piattaforme musicali online.

Ogni volta che durante le lezioni di danza sarà annunciata ed utilizzata questa musica, essa sarà il simbolo dell’unione della danza e della musica contro la violenza sulle donne.

Allo stesso tempo il maestro ha scritto la partitura pianistica che sarà inviata e condivisa gratuitamente con i colleghi Maestri al Pianoforte per la Danza in tutto il mondo.

Anche loro, quando suoneranno questo pezzo durante le lezioni di danza, si uniranno come musicisti al mondo della danza contro la violenza sulle donne.

Il mondo della danza è composto da tantissime donne.

L’intento di questo progetto è che per alcuni minuti un pezzo musicale ed una coreografia si tramutino in una voce immensa, che parla al mondo di bellezza, arte e cultura, una voce alta e profonda che sotterra con forza incredibile  la vergogna e l’orrore di tutti i femminicidi che purtroppo infestano il nostro pianeta.

“Lettera a Giulia” sarà inserita come pezzo extra nel nuovo CD del maestro Greco “Escape” in uscita prossimamente.

https://youtube.be/ifTbkMqOvuc?si=1lzW3fiNNU6Z5leh

Massimiliano Greco

Si diploma in pianoforte con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio “N.Piccinni” di Bari sotto la guida del M° H. Pell.

Ha studiato composizione con il M° O. De Lillo di Bari.

Si è perfezionato in pianoforte con M. Golia e presso l’Accademia Chigiana di Siena con M. Campanella e A. Weissemberg.

E’ vincitore di numerosi concorsi pianistici fra cui: I premio alla XV Rassegna Internazionale “F.Liszt” di Lucca, I premio al Concorso Europeo di Ostuni.

Ha registrato per la RAI e per RADIO VATICANA. Nel 1990 ha ricevuto presso il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali a Roma il Diploma di Benemerenza Artistica dal CENTRO INTERNAZIONALE C.I.A.S. – CLUB UNESCO.

Da molti anni si occupa della danza classica e contemporanea, sia come musicista e compositore che come organizzatore di eventi.

Lavora costantemente con grandi docenti, coreografi, maîtres de ballet ed ètoiles di fama internazionale.

Nel 1997 è’ stato invitato dall’A.N.L.I.D. –  Associazione Nazionale Liberi Insegnanti di Danza di Modena, in qualità di docente di “Teoria e Forme Musicali applicate alla Danza”, in occasione dei corsi di preparazione agli esami per insegnanti dell’Accademia Nazionale di Danza.

Nel 1998 è invitato al Festival di Spoleto dalla HUBBARD STREET DANCE COMPANY di Chicago in qualità di maestro al pianoforte per le tournèes italiane.

E’ stato invitato, in qualità di maestro al pianoforte ed assistente musicale, al IX Corso di Formazione Professionale per Giovani Danzatori, presso l’ATERBALLETTO di Reggio Emilia, in collaborazione con la Comunità Europea. In tale occasione ha suonato per Vittoria Ottolenghi per le sue “Lezioni Spettacolo”.

Nel 2001 è scelto come pianista italiano per accompagnare le Masterclasses tenute da V. Vasiliev, E. Terabust e  A. Molin al Concorso Internazionale di Danza “M. ABBATE” di Caltanissetta.

E’ autore di un vasto repertorio di composizioni per lezioni di danza classica e coreografie di danza contemporanea, disponibili  in una collana discografica, e di una guida dedicata alla Applicazione ed Interpretazione della musica nella Danza.

La sua musica per la danza è conosciuta in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone dove ha un contratto discografico in esclusiva.

E’ docente di  corsi di formazione e perfezionamento per “Maestri al Pianoforte per la Danza”. Tutti i suoi allievi pianisti lavorano in prestigiose Accademie e compagnie di danza internazionali.

Tiene regolarmente corsi sulla conoscenza, l’applicazione e l’interpretazione della musica nella lezione di danza, rivolti a danzatori, insegnanti ed allievi.

E’ stato  Presidente dell’Associazione regionale Puglia Danza –F.N.A.S.D./ Federdanza/A.G.I.S – Ente Regionale di promozione della Danza.

Ha composto le musiche del syllabus di danze di carattere della D.A.I. – DANCE ARTS INTERNATIONAL –  Ente internazionale di Diffusione della Danza, Londra.

E’ stato Responsabile Musicale dell’Accademia Internazionale Coreutica – Ente di Alto Perfezionamento nelle Arti della Danza di Firenze.

Nel 2003 i suoi dischi per l’accompagnamento di lezioni di danza classica sono stati utilizzati durante le trasmissioni di AMICI DI MARIA DE FILIPPI da Rossella Brescia, insegnante di danza classica di quella edizione.

Nell’aprile 2007 è stato invitato a Palermo come unico pianista per l’Italia in occasione del programma Outreach della Royal Ballet School nonché ospite della Scuola di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli.

Nel 2007 è stato invitato a tenere un corso di perfezionamento per “Maestro Collaboratore per la Danza” riservato a pianisti diplomati e diplomandi organizzato dalla Fondazione del Teatro Comunale di Bolzano nell’ambito dei corsi finanziati dalla Comunità Europea.

E’ stato Maestro Collaboratore al Ballo al Teatro San Carlo di Napoli.

E’ stato Maestro Collaboratore ed Assistente Musicale al Ballet du Capitole a Tolosa (Francia).

Dal 2010 è Pianista Principale e Responsabile del Dipartimento Musicale e dei Corsi Internazionali per Maestri al Pianoforte per la Danza alla Académie Princesse Grace presso les Ballets de Montecarlo.

E autore di una collezione di 24 cd sia di musica pura che di musica per il mondo della danza (lezioni di danza classica e coreografie).

Nel settembre 2023 ha ricevuto il “Premio Musica e Danza” al Foligno Danza Festival per il grande apporto della sua musica al mondo della danza.