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L’IRRESPONSABILITÀ STATISTICA: la dittatura del Percento.

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lunedì, Maggio 13, 2024

Punto di partenza di questa nostra riflessione è quello della individuazione degli strumenti per analizzare la realtà, per riuscire ad avere un quadro chiaro, ma allo stesso tempo sintetico e definito, della situazione che ci circonda.
Lo sguardo che noi rivolgiamo al mondo reale è simile all’inquadratura di una macchina fotografica: la modalità dell’inquadratura, la distanza del soggetto inquadrato, le condizioni ambientali, la luminosità e le fonti di luce ed una serie di ulteriori fattori sono determinanti per ottenere il risultato voluto.
E il risultato è quello di avere, nel contenuto di uno scatto, una fotografia, un’immagine di quello che vogliamo sia rappresentato.

Staccandoci dalla rappresentazione figurativa, ed entrando nel mondo dei dati e dei metadati, la statistica è lo strumento descrittivo in grado di fornirci “l’immagine” della realtà che stiamo cercando di inquadrare.
La statistica viene definita quella scienza che, per mezzo dell’applicazione di criteri matematici predefiniti, è in grado di descrivere fenomeni collettivi suscettibili di misurazione, mediante l’analisi dei dati relativi ai fenomeni oggetto di indagine.

BREVI CENNI STORICI

La nascita della statistica affonda le proprie radici nelle attività amministrative dell’apparato statale già ai tempi dell’antico Egitto, come forme di censimento delle risorse a disposizione dello Stato.

Anche nell’antica Roma, ai tempi descritti dai vangeli, si fa menzione di un censimento della popolazione; gli stessi criteri di suddivisione del territorio e dell’esercito, prima di assolvere funzioni di efficienza e distribuzione delle risorse dello Stato, assecondano criteri che possono essere ricondotti alla statistica.

Ufficialmente la disciplina viene individuata come scienza autonoma nel 17°, secolo facendone risalire le origini in Inghilterra ad opera di John Graunt, un mercante londinese, che tramite lo studio dei registri di mortalità, costruì una prima tavola di mortalità, per rilevare alcuni rapporti demografici relativi alla popolazione della città di Londra.
All’economista e matematico inglese William Petty, che la chiamò “aritmetica politica”, ovvero l’arte di ragionare mediante le cifre sulle cose che riguardano il governo, si deve una successiva evoluzione; Petty si pose per primo il problema di determinare il periodo di tempo occorrente per il raddoppio della popolazione.
Contributo determinante alla nascente scienza statistica fu dato anche dall’astronomo inglese Edmund Halley, che riprese le analisi sugli studi demografici e dal fisico olandese Christiaan Huygens. Il filosofo tedesco Gottfried Leibniz propose la creazione di un ufficio statale di statistica.

La metodologia statistica si divide in statistica descrittiva e statistica inferenziale.
La statistica descrittiva si propone di effettuare un’analisi dei dati per scoprirne la struttura, le anomalie e le caratteristiche. Essa sintetizza i dati con i propri strumenti grafici, descrivendo gli aspetti rilevanti dei dati osservati.
La statistica inferenziale si pone l’obiettivo di raccogliere ed analizzare dati al fine di effettuare previsioni su fatti rimasti incerti o non ancora verificati. Le previsioni formulate su base statistica si legano indissolubilmente al calcolo delle probabilità, rendendo così suscettibili di valutazione previsionale anche eventi caratterizzati da variabili aleatorie.

LA FUNZIONE DELLA STATISTICA NELLA PROGRAMMAZIONE POLITICA ED ECONOMICA

Tutto quello che definiamo scienza costituisce il punto di ancoraggio delle certezze che la nostra cultura pone a base delle scelte e delle decisioni da prendere.
Nel campo politico e sociale è divenuto essenziale, preponderante, e totalmente dirimente, rispetto a contrarie opinioni, affidare le scelte alle indicazioni supportate da dati scientifici.

La statistica costituisce, quindi e giustamente, una base fondamentale per analizzare fenomeni su vasta scala e programmare con ragionevole affidamento le scelte future.
In questo senso, quando sentiamo dire che l’economia è cresciuta del 2% sentiamo infondere fiducia nelle prospettive future, ma soprattutto nelle scelte effettuate, la cui validità è appunto confermata dai dati statistici ed indica che la strada che si sta percorrendo si dirige nella giusta direzione. Così anche in termini di sicurezza, per esempio sul tema della criminalità.

Nel maggio 2023 è stato pubblicato a cura del Ministero dell’Interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, un rapporto di ricerca dal titolo “La criminalità tra realtà e percezione”. Il suddetto rapporto evidenzia che “nel periodo 2007-2022 il totale dei delitti ha mostrato un andamento altalenante sino al 2013, per poi evidenziare una costante flessione dal 2014 al 2020. Nel 2021 e nel 2022 si ha, invece, una risalita: in particolare nel 2022, i delitti commessi e registrati sono 2.183.045, con un incremento rispetto al 2021 del 3,8%. E’, tuttavia, importante sottolineare la particolarità degli anni 2020 e 2021 , caratterizzati da limitazioni al movimento delle persone. Pertanto, effettuando il confronto con il 2019, i delitti commessi nel 2022 risultano in diminuzione”.
Questo rapporto ci indica che la società in cui viviamo con il passare del tempo risulta essere percentualmente più sicura e che le scelte di programmazione effettuate dal governo in tema di sicurezza ed ordine pubblico vanno nella giusta direzione.
La statistica, insomma, costituisce ormai la bussola verso la quale orientare il timone di navigazione, ci indica la rotta da seguire per raggiungere determinati risultati.

I LIMITI DELLA STATISTICA

Se per quanto rappresentato finora la statistica viene proposta come panacea per tutti i problemi che si presentano con maggiore o minore urgenza lungo il cammino, come la scelta non avventizia per meglio affrontare la programmazione politica, economica ed amministrativa degli apparati statali, tuttavia essa stessa presenta grandi e gravi limiti che devono essere attentamente valutati e temuti.

Un primo grave limite è costituito dal considerare che il dato statistico, per propria definizione, non tiene conto della singolarità e non entra nello specifico del singolo evento o fenomeno.
Ciò implica che, se da un lato la statistica è in grado di mettere perfettamente a fuoco il quadro generale e complessivo dei fenomeni e delle situazioni, da un altro lato non è in grado di trattare il singolo dato analitico che si discosta, talvolta in senso opposto, a quanto da essa rilevato. Ed anzi, nella propria azione di carattere “distributivo” travolge la singolarità mutandola in fenomeno marginale, se non irrilevante, per il dato statistico.
Tale aspetto significa ancora che l’orientamento statistico è perfettamente coerente con l’azione politica, che è per propria natura finalizzata a curare gli interessi della collettività, ma a volte è assolutamente contraria e confliggente con le esigenze e le necessità della singola posizione.
Pertanto, nelle circostanze che richiedono di orientare l’azione politica, economica ed amministrativa sul singolo fenomeno, non costitutivo del dato statistico di orientamento, le indicazioni statistiche non sono utilizzabili, e se utilizzate generano effetti devianti rispetto alla programmata azione.

Un secondo limite è costituito dalla natura dei dati che vengono utilizzati per la rilevazione statistica. Solitamente si tratta di dati oggettivi, dotati della caratteristica della certezza fattuale e/o scientifica. Non di rado, però, i dati posti a fondamento delle statistiche sono dati soggetti ad una certa “manipolazione”, non tanto nella loro oggettività, quanto nella loro definizione ed individuazione. Ne consegue che a seconda della definizione dei dati che devono essere aggregati per trarre gli elementi statistici, cambiano i risultati e le conclusioni con scostamenti anche molto significativi.

Esempi noti sono quelli dei dati sulla disoccupazione nel periodo della pandemia, e sulla inclusione o meno tra l’elenco dei disoccupati dei cosiddetti inattivi.
I dati statistici italiani si mostravano in controtendenza con quelli europei, che mostravano livelli crescenti di disoccupazione; i dati rilevati in Italia erano nettamente migliori.
Nel 2020 si registrava in Italia un netto calo dei disoccupati, ovvero delle persone che non avevano un lavoro ma lo stavano cercando, ed una crescita esponenziale dei cosiddetti “inattivi”, ovvero di coloro che pur non avendo lavoro, avevano smesso di cercarlo. Questo meccanismo con l’introduzione del reddito di cittadinanza ha subito ulteriori distorsioni, facendo aumentare la categoria degli inattivi che da un punto di vista statistico è stata sottratta dal calcolo dei disoccupati, alterando così i dati che confluivano nell’analisi statistica.

Il criterio di raccolta e di utilizzo dei dati di riferimento si pone in questo modo come un presupposto essenziale al corretto conseguimento di un valido indice statistico, e della corretta individuazione dei fenomeni da analizzare sia sotto il profilo descrittivo, sia sotto il profilo predittivo.
Ai sopra descritti limiti dell’analisi statistica, se ne aggiunge ancora uno per estensione del criterio di individuazione e raccolta dei dati posti a base dell’analisi in questione.
In particolare, quando l’analisi statistica deve essere sviluppata in ordine a dati incerti e probabilistici, ovvero a dati suscettibili di diversa interpretazione, le analisi ed i calcoli previsionali assumono un pericoloso grado di elasticità che sembra a volte sfociare nell’arbitrio e può condurre a risultati totalmente inaffidabili. Abbiamo assistito, nel recente passato, a tornate elettorali caratterizzate da statistiche clamorosamente errate e fuorvianti, addirittura opposte ai risultati accertati, frutto di sondaggi a campione che hanno mostrato scenari previsionali totalmente difformi dagli esiti accertati.

LA STATISTICA: UN PARAFULMINE ALLE RESPONSABILITÀ?

L’utilizzo della scienza statistica come elemento fondante delle scelte di indirizzamento politico, economico ed amministrativo, in generale, e nell’apparato statale in particolare, ha prodotto nel corso del tempo un evidente effetto collaterale tanto indesiderato quanto inevitabile.

Una progressiva deresponsabilizzazione dei soggetti che operano le scelte di indirizzo politico, economico ed amministrativo, che sovente riescono a mascherare la loro responsabilità trincerandosi dietro una presunta evidenza statistica.
Come a dire che, sulla base dei dati raccolti, la scelta è una non scelta, e la decisione e l’indirizzo adottato sono semplicemente frutto dell’analisi delle circostanze e delle previsioni che da queste analisi derivano.

Così facendo, un particolare meccanismo distorsivo si è impossessato delle scelte apicali e direzionali. Da un lato i vertici istituzionali, consapevoli di poter cedere il carico della responsabilità alle analisi statistiche, si lasciano condurre da esse senza riserve, evitando ogni scelta di programmazione a breve ed a lunga scadenza che possa intercettare e prevenire tendenze non statisticamente rilevanti, ma che comporta l’assunzione di responsabilità proprio perché la scelta devia dalle indicazioni statistiche.

Da un altro lato la statistica stessa viene strumentalizzata non più come scienza e con valore descrittivo e predittivo, ma molto più semplicemente e biecamente come meccanismo di deresponsabilizzazione, un Caronte in grado di traghettare scelte e decisioni di maggiore impatto senza che l’autore possa assumerne la paternità, in quanto mero esecutore di indicazioni statistiche. Il passeggero predestinato al viaggio, vittima di una decisione per la quale “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare” (Dante, inferno, III, 94-96).

Le scelte istituzionali, e le correlative responsabilità, sono totalmente affidate ai dati statistici; una sorta di pilota automatico che consente di non pensare, non programmare e, soprattutto, non addossarsi alcuna responsabilità nelle scelte.
Il meccanismo di deresponsabilizzazione nelle scelte politiche, economiche ed amministrative istituzionali si coniuga, inoltre e da un po’ di tempo, con lo “sproloquio” statistico di carattere propagandistico e fideistico.

Le percentuali statistiche sono utilizzate come testimoni presenti ed attendibili, idonei alla validazione di affermazioni, assunti e teoremi. Pertanto nei dibattiti politici ed economici, ed ancor più nella formulazione dei programmi elettorali, vengono letteralmente vomitati fiumi di percentuali per promuovere ed attestare il discorso formulato, esentandolo da ogni ostacolo di critica e di dubbio, e facendolo scorrere via senza che alcuno sbarramento critico possa in qualche modo fermarne l’inarrestabile e travolgente corso.

L’indicazione di una percentuale, sebbene non verificata ed a volte palesemente falsa, è un passepartout per attraversare qualunque ingresso, e blocca sul nascere qualunque contrapposto discorso o ragionamento.
In un contesto sociale che vive e vegeta sulla superficie dell’informazione, senza approfondire le fonti, la loro veridicità e la validità dei contenuti, è sufficiente affermare che “è stata incrementata del 20% l’efficienza della Pubblica Amministrazione” o che “è stato ridotto del 15% lo spreco delle risorse pubbliche” per accreditare qualunque programma, senza incorrere in obiezioni e senza dover sostenere il confronto con analisi critiche di un certo approfondimento.

I tempi della vita inseguono quelli della politica e dell’economia: queste ultime accelerano continuamente, lasciando un elettorato-utenza col fiato corto a rincorrere, senza avere il tempo per un discernimento e senza avere la possibilità di alcun esame critico, le scelte che vengono lanciate in questa folle corsa come ossi ai cani.

Ma ogni regola ha le proprie eccezioni: il meccanismo di deresponsabilizzazione si è clamorosamente, per una volta, inceppato quando un tragico evento ha colpito i nostri fratelli e concittadini in occasione del terremoto di l’Aquila del 2009.
Non approfondiremo oggi in questa sede il percorso di accertamento giudiziario delle responsabilità, che lasciamo ad una prossima e successiva riflessione.
Tuttavia il dato nuovo e rivoluzionario, emerso dall’indagine giudiziaria sui fatti accaduti in occasione del terremoto di l’Aquila del 2009, è costituito dal fatto che i risultati statistici e probabilistici, e la loro interpretazione e diffusione da parte dei responsabili istituzionali, non costituiscono uno schermo alle responsabilità affidate ai soggetti dotati di incarico istituzionale ed ai quali è affidata sostanzialmente la vita delle persone. Si tratta di una forte presa di posizione coniata in sede di interpretazione degli accadimenti da parte della magistratura, che merita un’accurata riflessione.

LA NECESSITA’ DI SCOLLEGARE I DATI STATISTICI DALLE RESPONSABILITÀ’ DECISIONALI. CONCLUSIONI.

Tirando le fila delle problematiche emerse sull’uso e sulla funzione della scienza statistica, appare quanto mai opportuno intervenire selettivamente, per distinguere l’aspetto oggettivo e scientifico dei dati e delle analisi acquisite, rispetto al successivo passaggio del collegamento alle decisioni da assumere.

Il nesso causale creato con l’analisi statistica non può e non deve assumere la conformazione di un sillogismo, nel quale la conclusione risulta necessaria rispetto alle premesse come unica conseguenza logica possibile. Esso deve piuttosto assumere la caratteristica di un dato che, seppure dotato di credibilità e rilevanza di estremo rilievo, non sottrae al processo decisionale le responsabilità connesse alle scelte e agli indirizzi che devono essere assunti. Una bussola che indica la rotta da seguire, ma che non è essa stessa la rotta da seguire, e non esime il comandante dell’imbarcazione dalle responsabilità della navigazione per evitare le tempeste, gli scogli, le secche, e le correnti che possano mettere in pericolo equipaggio e passeggeri. La responsabilità del naufragio o dell’incagliamento dell’imbarcazione non potrà mai essere demandata alla bussola, ma resterà sempre onere specifico del comandante.

In conclusione di questa nostra riflessione, ci sembra giunto il momento di redistribuire correttamente gli oneri e le responsabilità, con proporzionalità rispetto alla natura degli incarichi assunti ed ai privilegi ed alle retribuzioni assegnate. E’ arrivato il momento in cui si debba riconoscere che la qualifica e l’incarico conferito corrispondano ad una paternità sulle scelte e sulle decisioni che non potrà più essere scaricata sulle risultanze della statistica.
E’ giunto il momento di affrancarsi dalla dittatura del percento, spezzandone la gabbia dentro la quale è stato confinato il nostro futuro.
La statistica continuerà ad essere soltanto l’ago di una bussola nella navigazione in mare aperto, piuttosto che il corridoio in un labirinto di dati nei quali il minotauro statistico ingoia ogni responsabilità.

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