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L’alimentare prima manifattura del Paese: fattura 179 miliardi di euro.

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venerdì, Maggio 3, 2024

L’industria alimentare è ormai la prima manifattura del Paese. Lo dicono i numeri del primo rapporto Federalimentare-Censis, che è stato presentato ieri a Roma alla Camera dei deputati. Con 179 miliardi di euro di fatturato annuo, 60mila aziende, 464mila addetti e oltre 50 miliardi di export in valore in un anno, il settore è anche al secondo posto in Italia per numero di imprese, per lavoratori e per valore delle esportazioni.

Per il made in Italy a tavola, questo primo posto costituisce un traguardo importante, che corona un percorso di crescita ininterrotta durato anni. Soltanto nell’ultimo decennio il comparto ha messo a segno un aumento del fatturato del 24,7%, che ha portato con sé anche un incremento dell’occupazione del 12,2%. Il vero boom, che ha spinto verso l’alto i risultati del comparto, è stato però quello delle esportazioni, che negli ultimi dieci anni sono esplose di oltre il 60%.

Allargando la visuale dall’industria all’intera filiera, che va dal campo alla tavola, il fatturato dell’agroalimentare italiano ha raggiunto quota 607 miliardi di euro, pari al 31,8% del Pil nazionale. «Il primo rapporto Federalimentare-Censis certifica che l’industria alimentare italiana dà un poderoso contributo al Paese, sia come valore economico sia come valore sociale – ha detto il presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino – il settore è uno dei più dinamici e robusti dell’industria italiana ed è consapevole di rappresentare un patrimonio nazionale nella produzione di alimenti di qualità, unici e con marchi riconoscibili».

Da parte sua, il governo promette di aumentare l’attenzione su un comparto così redditizio: «Bisogna sempre più comprendere la potenzialità legata ai prodotti italiani – ha detto ieri il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, commentando il rapporto – i dati che sono stati diffusi fotografano una crescita del settore sul quale il Governo continua a investire. La qualità è al centro del nostro dibattito e lo facciamo attenzionando il contesto, ma anche incentivando l’esportazione e promuovendo le aziende del Paese all’estero».

Secondo l’analisi condotta dal Censis, nonostante la crisi e l’inflazione che non accenna a mostrare cedimenti, il 63,4% degli italiani continuerebbe a compiere scelte di acquisto alimentare che non badano al prezzo, ma solo alla qualità dei prodotti che vengono portati in tavola. Eppure, quello dei rincari nel carrello resta un allarme sul tavolo del governo. Proprio ieri si è riunita per la prima volta la Commissione di allerta rapida, convocata dal ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso dopo le contestazioni delle associazioni dei consumatori per i rincari del 17,5% della pasta in un anno. «Stiamo mettendo in campo tutte le misure possibili per evitare le possibili speculazioni, soprattutto per i prodotti di largo consumo i cui prezzi sono monitorati dal Mimit – ha detto ieri il ministro Urso in un messaggio inviato alla presentazione del rapporto Federalimentare-Censis – non vogliamo fare polemiche ma occorre essere trasparenti, a beneficio dei consumatori e a salvaguardia dell’elevata reputazione sociale che le aziende alimentari hanno conquistato nel tempo. Vogliamo sostenervi con misure in grado di rafforzare i vostri investimenti». Tra i provvedimenti ricordati da Urso ci sono anche i contratti di sviluppo, «che hanno assorbito il 25% delle risorse complessive dedicate allo strumento», il cui sportello per il settore «potrebbe essere riaperto entro luglio».

Oltre alla fotografia del comparto dal punto di vista industriale, il rapporto Federalimentare-Censis traccia anche l’identikit del consumatore italiano: il 42,1% a tavola si definisce un abitudinario, cioè mangia più o meno sempre lo stesso cibo, il 20,5% invece si considera un innovatore a cui piace sperimentare alimenti e gastronomie nuove; il 9,2% si dichiara un salutista, il 7% un appassionato di cucina, il 7,1% un vegetariano, il 4,3% un vegano e solo il 6,3% un “italianista”, cioè un consumatore che acquista sempre e solo prodotti italiani. Ma il 78,3% degli consumatori valuta molto positivamente che gli stabilimenti dell’industria alimentare siano localizzati in Italia, perché contribuiscono alla creazione di redditi e occupazione.

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