Home Rubrica LA STELE DI ROSETTA IL CIRCO MASSIMO, DOVE BEN HUR E STORIA SI INCONTRANO. (Seconda Parte)

IL CIRCO MASSIMO, DOVE BEN HUR E STORIA SI INCONTRANO. (Seconda Parte)

CORSE FOLLI AL LIMITE DELLA SCORRETTEZZA ERANO A VOLTE CAUSA DI GRAVI INCIDENTI. MA I PREMI RICEVUTI COMPENSAVANO DI GRAN LUNGA I RISCHI CORSI. NON A TUTTI, PERO', PIACEVANO QUESTI SPETTACOLI, AL PUNTO CHE MOLTI SCRITTORI STIGMATIZZAVANO CIO’ CHE RITENEVANO UNA PAZZIA.

0

Ed eccoci finalmente alla seconda parte dell’articolo dedicato al Circo Massimo. Dopo aver parlato dell’origine religiosa degli spettacoli, del fanatismo per le factiones, degli aurighi ricchi e famosi, dello sfarzo e della magnificenza dell’imponente costruzione, nonché della folla che si incamminava all’alba per ottenere un posto a sedere, facendo un gran baccano che provocava il fastidio – se non la furia – di qualche imperatore, possiamo ora entrare nel vivo della gara.

All’interno del Circo Massimo: la processione di apertura
Ora che un posto a sedere è stato conquistato, non resta che godersi lo spettacolo, preceduto da una grande sfilata, la pompa circensis, che aveva il carattere di una solenne processione. Il corteo veniva aperto dal magistrato organizzatore, vestito da trionfatore in piedi su un alto carro, seguito da giovani a piedi o a cavallo. Venivano poi gli aurighi e gli altri atleti che si esibivano al termine delle corse dei carri. Dietro questo gruppo accompagnato da musici, si affollavano diversi personaggi burleschi, come danzatori e uomini vestiti da satiri. Seguivano poi i sacerdoti con le effigi di divinità e attributi religiosi. Venivano anche mostrate raffigurazioni degli imperatori e dei membri più illustri della casa imperiale, anche se in seguito la rappresentazione si limitò a quei membri della dinastia già defunti e ufficialmente considerati spiriti immortali.

Pronti alla partenza?
Nell’imminenza della prima corsa gli aurighi tiravano a sorte le rispettive posizioni di partenza per avere la certezza che fosse solo il caso a decidere di una posizione più o meno privilegiata, anche se un elaborato sistema aveva lo scopo di garantire a tutti le stesse possibilità di vittoria. Infatti, le dodici gabbie di partenza in pietra non erano infatti allineate su una stessa linea, altrimenti i carri all’interno della pista avrebbero avuto un notevole vantaggio, trovandosi in linea retta rispetto alla meta. Per evitare quindi una tale disparità, le gabbie – carceres – erano disposte su una linea curva a forma di semicerchio il cui centro immaginario giaceva nel punto in cui tutti i carri si sarebbero teoricamente trovati sulla linea ideale, come possiamo vedere nello schema sottostante:

Dispositivo di partenza al Circo Massimo – da H.A.Harris, “Sport in Greece and Rome”, 1972.

Dopo il sorteggio i carri prendevano posto. Per lo più se ne trovavano solo quattro alla partenza, ma capitava anche che ciascuna factio partecipasse con due o tre carri. Per quanto riguarda il numero dei cavalli, le corse più comuni si svolgevano con quadrighe (quattro cavalli); i principianti affrontavano le loro prime corse su bighe (due cavalli). Erano rare le gare con tiri di tre cavalli, così come quelle con tiri di sei, sette o otto, che rappresentavano un’eccezione. Nerone, appassionato auriga, una volta ad Olimpia provò un carro con dieci cavalli, ma durante la corsa venne scaraventato giù dal veicolo e dichiarò forfait. Ma nessuno, si badi bene, osò privarlo della corona di vincitore…

Con gli occhi puntati sull’organizzatore della manifestazione, gli aurighi attendevano il segnale di partenza. Essi stavano in piedi su un leggero carro a due ruote; portavano un casco e una corta tunica di maglia del colore della loro squadra. In mano avevano solo una frusta, mentre tenevano le redini assicurate alla cintura dove, per sicurezza, si infilavano un coltello con cui, in caso di emergenza, potessero tagliarle evitando così di farsi trascinare dai cavalli sulla pista.

Via!!!
Nell’istante in cui dal suo palco l’organizzatore dei giochi aveva gettato un panno bianco- mappa – sulla pista come segnale di partenza, le gabbie, fino a quel momento chiuse, venivano aperte; i carri allora si precipitavano fuori e si indirizzavano sulla corsia destra della pista. Poiché essa era piuttosto stretta, divisa com’era dalla spina in due corsie distinte, i carri provenienti dalle gabbie di sinistra dovevano inizialmente correre verso destra per imboccare la corsia giusta. Viceversa, gli aurighi partiti dalle gabbie di destra si premuravano di portarsi velocemente all’interno per non dover coprire una distanza più lunga degli altri concorrenti. Si può immaginare quanti incidenti potesse provocare una simile situazione, non dissimile dalle partenze delle odierne gare di Formula1. Il rischio di incidenti era però proprio ciò che più stuzzicava molti spettatori, i quali si entusiasmavano quando i carri si scontravano, oppure quando carri e cavalli finivano in un unico groviglio e gli aurighi venivano scaraventati in aria.

Dopo neanche 600 metri si trovava la prima svolta a sinistra: intorno alla meta bisognava fare possibilmente una curva stretta, poi si tornava indietro nella corsia opposta, all’estremità della quale si doveva aggirare un’altra meta.

Complessivamente l’intera pista doveva essere percorsa sette volte: ogni giro – curriculum – era lungo circa 1,2 Km, per cui si trattava di coprire un percorso di 8,5 Km, che normalmente si concludeva dopo un quarto d’ora. Vinceva chi tagliava per primo il traguardo, rappresentato da una striscia bianca posta sulla corsia sinistra nei pressi dell’ingresso. In quel punto si trovavano gli arbitri che confermavano la vittoria di un carro o ordinavano la ripetizione della corsa.

Corsa delle quadrighe. Fotogramma tratto dal film “Ben Hur” del 1959.

Falli e incidenti, a volte mortali
Agli aurighi era richiesto un notevole impegno fisico, qualità tattiche e, naturalmente, abilità nella guida. Si trattava soprattutto di riconoscere per tempo i sotterfugi degli avversari prevenendo i loro tiri mancini con “falli” propri o parandoli in modo adeguato. In effetti queste corse avevano ben poco a vedere con il nostro concetto di fair play: sorpassi azzardati intrapresi con il fine di toccare il carro dell’avversario, facendolo cadere, corse a zig-zag per impedire a chiunque di eseguire un sorpasso e simili trucchi erano all’ordine del giorno e come tali non venivano neppure penalizzati dagli arbitri.

Anche quando non fosse minacciata da parte degli altri concorrenti, la corsa era già rischiosa di per sé. Il punto cruciale era rappresentato dalle ripetute svolte intorno alle metae: chi superava bene questi punti critici, passando a una distanza possibilmente ravvicinata da esse, aveva buone possibilità di piazzarsi ai primi posti. Gli incidenti si verificavano spesso proprio in prossimità delle metae, soprattutto quando un auriga, cercando di prendere la curva molto stretta, eccedeva e una ruota del carro andava ad urtare la colonna intorno a cui svoltare. I carri erano leggeri e si schiantavano facilmente, gli aurighi venivano catapultati fuori e spesso i carri successivi si abbattevano a tutta velocità su quello infortunato. Non di rado, nell’incidente rimanevano feriti o uccisi animali e uomini.

Il “caso” di Ben Hur e i trucchi di Messala
Impossibile, a questo punto, non aprire una parentesi sulla corsa di carri cinematografica più famosa, quella che tutti noi ricordiamo: la sfida tra Giuda Ben Hur e Valerio Messala. Va detto subito che la corsa tra i due ex amici, uno ebreo e l’altro romano, non si svolge al Circo Massimo a Roma, come ancora molti pensano, ma ad Antiochia, in Siria. In ogni caso, la ricostruzione della struttura (ispirata al grande circo romano) fu molto accurata, tranne per quanto riguarda le due gigantesche statue poste alle due estremità della spina (una ancora conservata nel museo di Cinecittà, recentemente danneggiata da un’alluvione), che non hanno alcun riferimento con l’arte classica, e che furono solo frutto della fantasia degli scenografi. Inoltre, i carri utilizzati anticamente durante le corse erano molto leggeri – 35 Kg – mentre quelli del film pesavano oltre 200 Kg. per assicurare l’incolumità di attori e stuntmen. La corsa rappresentata è di tipo greco, cioè individuale: mancano infatti le factiones che si sfidavano a Roma. Anche lo stile di guida è quello greco, con gli aurighi che tengono le redini in mano, invece che fissate alla cintura. Ma i trucchi cui ricorre Messala per assicurarsi la vittoria non sarebbero stati ammessi in nessun ippodromo: il suo carro falcato, munito di lame sporgenti dall’asse con l’unica funzione di neutralizzare gli avversari, per quanto suggestivo e scenografico, sarebbe stato immediatamente squalificato dall’arbitro. E se anche fosse riuscito ad eludere i controlli, il pubblico non avrebbe mai accettato questo stile di competizione. Ma, al di là di queste inesattezze, dovute più che altro ad esigenze di spettacolo, le immagini cinematografiche hanno contribuito a far conoscere al grande pubblico le corse dei carri e ancora oggi i turisti che passeggiano sulla pista del Circo Massimo sono convinti che Ben Hur – un personaggio di fantasia nato dalla penna di Lew Wallace – abbia realmente gareggiato lì…

Ben Hur e Messala “amici” sulla Vespa.

Premi per il vincitore
Ma torniamo alla realtà e vediamo quali premi spettavano al vincitore. Teoricamente non era necessario che anche l’auriga tagliasse il traguardo: a questo proposito, Plinio il Vecchio narra di una corsa spettacolare svoltasi nel 47 d.C., nella quale un auriga della squadra bianca cadde proprio all’inizio della competizione e i cavalli continuarono indisturbati a correre per i giri prestabiliti tagliando il traguardo col carro vuoto.

Ovvio che episodi come quello narrato da Plinio il Vecchio fossero un’eccezione. La prassi, infatti, voleva che il vincitore si presentasse all’organizzatore dei giochi per ricevere il premio. Rami di palme e ghirlande erano compensi certamente molto onorevoli, ma agli aurighi interessavano solo se accompagnati da premi materiali: denaro in contanti era molto ben accetto, ma anche abiti preziosi erano accolti di buon grado dai primi tre piazzati. Dopo aver ricevuto premi ed onori, l’auriga saliva di nuovo sul carro per il giro d’onore fra gli applausi del pubblico.

Il giudizio (poco lusinghiero) degli scrittori dell’epoca
Abbiamo scelto una serie di giudizi che alcuni scrittori dell’epoca espressero sulla passione dei Romani per i giochi del circo. In quasi tutti appare un palese disprezzo, se non disgusto, nei confronti del popolo che impazzisce e si entusiasma per tali spettacoli. Cominciamo con Plinio, che nelle sue Epistole così esordisce: “C. Plinio saluta il suo amico Calvisio. Ho lavorato per un po’ di tempo nella calma più assoluta, circondato dai miei libri. Ti chiederai come io abbia fatto, stando in città, ma la risposta è semplice: erano in corso gli spettacoli del circo, che non mi attraggono affatto. Sono sempre uguali e non succede mai niente che valga la pena di essere visto due volte: per questo mi stupisco ancora di più che migliaia di persone si entusiasmino come bambini a vedere cavalli in corsa e uomini ritti sui carri. (…) E dunque un semplice drappo (colorato) esercita un fascino enorme, non solo sul popolo, ma anche su uomini rispettabili. Quando penso che essi se ne stanno seduti a guardare una cosa tanto monotona, noiosa e scipita, e non ne hanno mai abbastanza, mi diverte il pensiero di essere immune da un tale divertimento”.

Un’altra testimonianza ci proviene dal medico greco Galeno che, ricordando le sue esperienze raccolte a Roma negli anni 60 e 70 del II secolo d.C. riferisce che i tifosi delle squadre verde e azzurra annusavano perfino lo sterco dei cavalli da corsa per accertarsi del grado di bontà e digeribilità del mangime con cui erano stati nutriti. Non stupisce che, da medico qual era, egli intravedesse nel tifo per i diversi colori un esempio di “passione irrazionale”.

Una plastica descrizione del comportamento del pubblico alle corse la troviamo nello scritto polemico De spectaculis (200 d.C. circa) dell’autore cristiano Tertulliano, il cui intento era quello di fustigare il carattere immorale dei giochi romani condannandoli come inaccettabili per un cristiano. Il talebano del cristianesimo scrive infatti: “Se dunque a noi cristiani è vietata questa follia, allora teniamoci alla larga da ogni genere di spettacolo, anche dal circo, dove comanda una follia specifica. Guarda il popolo, come arriva già folle allo spettacolo, già disordinato, già cieco, già eccitato dalla follia. (…) E poi aspettano trepidanti il segnale del Via! – un unico urlo, un’unica follia! Puoi riconoscere la loro pazzia dal loro ridicolo comportamento (…). Così prende il via la follia, la rabbia, il furore, la discordia e tutto quanto non si addice ai preti della pace [i cristiani]. E poi imprecazioni, ingiurie non giustificate da nessun odio, e grida di incitamento non dettate da amore. (…) piangono la sfortuna di gente estranea e si rallegrano per la felicità altrui. Tutto ciò che essi desiderano o scongiurano non ha niente a che vedere con loro stessi”. Ci chiediamo come avrebbe preso Tertulliano il fatto che ciò che ha descritto si adatta alla perfezione a tutto quello che avviene negli stadi di oggi…

E per finire, vediamo cosa lo storico Ammiano Marcellino, vissuto nel IV secolo d.C., pensa dei Romani: “L’attività preferita di tutti [i Romani] consiste nell’esporsi al sole e alla pioggia dall’alba al tramonto, per osservare nei minimi particolari le qualità e i difetti dei cavalli e dei loro conducenti. Per Ammiano, discendente da una famiglia greca, attento osservatore della scena romana, tale comportamento era incomprensibile. E continua con evidente disprezzo: “Tutta la loro vita la dedicano al vino, al gioco dei dadi, ai bordelli, ai divertimenti e agli spettacoli. Per loro il Circo Massimo è insieme tempio e casa, luogo di riunione e realizzazione dei desideri. Si ammassano nelle piazze, ai crocicchi, nelle strade, e discutono di questo o di quel partito. (…) Quando arriva finalmente il giorno delle corse tutti si affrettano verso il circo, prima ancora che sorga il sole, e corrono a grande velocità, come se volessero gareggiare con i carri. Molti passano le notti senza chiudere occhio, pieni di ansia per il risultato delle corse.”

Il Circo Massimo oggi
Non rimane molto di quello che fu una delle strutture più imponenti del mondo. Rimasto in attività fino ai primi decenni del VI secolo, fu in seguito utilizzato come area agricola, per poi diventare, a partire dal XIX secolo, sede degli impianti del gazometro, di magazzini, manifatture, imprese artigianali e abitazioni, fino agli inizi del ‘900, quando si avviarono i lavori per la passeggiata archeologica. Negli anni ‘30 grandi opere di scavo misero in luce buona parte dell’emiciclo e i resti dell’Arco di Tito, il più grande dell’antichità. Nell’immediato dopoguerra, il Circo ritorna uno spazio verde, in cui le antiche strutture vengono sostanzialmente abbandonate. Gli interventi archeologici conclusisi nel 2016 hanno comunque restituito una nuova leggibilità al monumento, ridefinendo la zona dell’emiciclo attraverso operazioni di restauro delle strutture. E’ stata realizzata una terrazza panoramica sul margine meridionale dell’area per restituire visibiltà alle strutture archeologiche. I margini dell’area sono stati provvisti di una recinzione di forma semicircolare in corrispondenza dell’emiciclo, seguendo il perimetro della costruzione romana, fino all’ideale inizio della spina, i cui resti sono stati localizzati in profondità attraverso indagini geofisiche: infatti, la pista originale romana si trova ad oltre 5 metri di profondità rispetto all’attuale piano dell’area archeologica. Gli scavi hanno permesso di ritrovare una strada basolata esterna, lungo la quale spicca una vasca-abbeveratoio in lastre di travertino. E’ ancora possibile visitare alcune stanze che venivano utilizzate come tabernae per soddisfare le necessità del numeroso pubblico dei giochi. Nella zona centrale dell’emiciclo sono ancora visibili le basi dell’Arco di Tito, uno dei più grandi archi trionfali di Roma, a lui dedicato in occasione della vittoria nella Guerra Giudaica (fonte: Sovraintendenza Capitolina ai Beni Culturali). Le esigue tracce che oggi rimangono e che sono ora valorizzate attraverso una serie di percorsi consentono di rivivere il clima dei giochi dell’antica Roma, e immaginare come tra quei pochi resti un tempo vi si riversasse una folla entusiasta, viva e colorata.

Il Circo Massimo oggi.

Per vedere la ricostruzione in 3D del Circo Massimo
https://youtu.be/QvKgOl4nelg

NO COMMENTS

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Exit mobile version