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ELIOGABALO, L’IMPERATORE DEGLI ECCESSI.

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Ricostruzione ipotetica in 3D del volto di Eliogabalo.

Un ragazzo, era solo un ragazzo quando venne assassinato insieme alla madre dai pretoriani. Eliogabalo, la cui controversa ed ambigua figura fa ancora oggi discutere, anche alla luce di recenti notizie, fu molto probabilmente una pedina nelle mani di sua madre e di sua nonna, coloro che effettivamente detenevano il potere a Roma. Di lui non rimane molto, visto che dopo il suo assassinio gli venne riservata la damnatio memoriae, della quale avevamo già parlato in un precedente articolo in cui avevamo promesso che ci saremmo occupati in maniera più approfondita di un imperatore che oggi sarebbe definito transgender.

TABELLA DEI CONTENUTI:

LA NASCITA E LA FAMIGLIA DI ELIOGABALO

Sesto Vario Avito Bassiano (questo era in realtà il suo vero nome) nacque a Roma nel 204. Suo padre era Sesto Vario Marcello e sua madre era Giulia Soemia, entrambi originari della città di Apamea, in Siria.

Vario Marcello, dopo aver fatto una fortunata carriera come cavaliere, fu elevato al rango senatorio da Caracalla, il quale gli concesse incarichi di grande responsabilità.

Presunto busto di Giulia Soemia. Roma, Musei Vaticani.

Giulia Soemia era la figlia maggiore di Giulia Mesa, sorella dell’imperatrice Giulia Domna, ossia la madre di Caracalla, che si suicidò dopo l’assassinio del figlio, avvenuto nel 217.

Busto di Giulia Mesa, nonna di Eliogabalo. Galleria degli Uffizi, Firenze.

Per parte di madre, dunque, Eliogabalo discendeva da una famiglia importante e potente, tenuta in grande considerazione sia a Roma che ad Emesa, in Siria, dove controllava il culto di El-Gabal, una divinità solare di cui il suo bisnonno, Giulio Bassiano (padre di Giulia Domna, che sposò Settimio Severo, il padre di Caracalla), ne fu uno dei grandi sacerdoti e che probabilmente doveva il suo cognomen al titolo orientale di basus con il quale si definivano i sacerdoti di Emesa. Ecco, quindi, come si formava il vero nome di Eliogabalo: Sesto Vario (dal nome del padre) Avito Bassiano (tramandato dall’avo Bassiano). Il ragazzo deteneva di conseguenza il diritto ereditario di esercitare il sommo sacerdozio di El-Gabal.

L’ESILIO IN SIRIA

Busto di Macrino. Musei Capitolini, Roma.

Non sorprende quindi che una famiglia legata a doppio filo con la dinastia dei Severi fosse ritenuta estremamente pericolosa da Macrino, uno dei generali della guardia pretoriana che aveva assassinato Caracalla e che ne prese il posto come imperatore. Infatti, appena giunto al potere, Macrino si preoccupò di annientare tutti i possibili pretendenti al trono e di assicurarne la successione al figlio Diadumeniano. La famiglia di Vario Avito (così chiameremo per il momento Eliogabalo) apparteneva ai possibili avversari e per questo l’imperatore condannò Giulia Mesa, le sue due figlie e il nipote ad essere esiliati nella loro tenuta ad Emesa, in Siria, dove il ragazzo assunse il rango che gli spettava di diritto, quello di sommo sacerdote di El-Gabal. Il suo bell’aspetto, tra l’altro, gli consentiva di celebrare le fastose cerimonie del culto con spettacolare maestosità.

LA CONGIURA E LA SALITA AL POTERE

Macrino aveva fatto male i suoi conti. Esiliando i Bassiani ad Emesa, ma senza confiscare i loro beni, aveva commesso anche un errore che si rivelò fatale, poiché consentì a Giulia Mesa di avere a disposizione un’eccellente base e mezzi per organizzare cospirazioni.

Vessillo della Legio III Gallica.

I legionari della Legio III Gallica, che componevano la guarnigione di Raphanae (oggi Bayt Ras, in Giordania), vennero accattivati con una generosa distribuzione di denaro da parte di Giulia Mesa; quindi, nel corso di una notte, Vario Avito fu introdotto nella fortezza del comandante Publio Valerio Comazone, e il 16 maggio del 218, all’alba (orario favorevole per un sacerdote della divinità solare), venne proclamato imperatore con i nomi di Marco Aurelio Antonino (e che saranno i suoi, autentici, nomi ufficiali), gli stessi di Caracalla di cui il neoeletto si proclamò figlio naturale. Tale affermazione fu favorita dalla falsa voce diffusa dall’astuta Mesa, secondo la quale il ragazzo era figlio illegittimo di Caracalla, che avrebbe giaciuto con entrambe le figlie mentre esse erano a Roma.

Macrino tentò di debellare la ribellione inviando nella regione un piccolo contingente militare al comando del proprio prefetto del pretorio, Ulpio Giuliano. Tuttavia, Macrino era impopolare presso i legionari a causa della sua politica di austerità. Per questo motivo essi, che in Vario Avito vedevano una continuità con l’amato Caracalla, iniziarono a disertare passando dalla parte del nuovo sovrano, uccidendo Ulpio la cui testa fu inviata a Macrino.

Vessillo della Legio II Parthica.

Favorito anche dalla diserzione della Legio II Parthica, in seguito alle solite elargizioni e alle promesse da Giulia Mesa, un esercito al comando di Gannys (un eunuco originario di Emesa e tutore del ragazzo sul quale esercitò una fortissima influenza) l’8 giugno del 218 nei pressi di Antiochia sconfisse in maniera decisiva le forze imperiali. Poco dopo, Macrino fu ucciso in Cappadocia dopo essere stato catturato mentre, travestito da corriere, si dirigeva in Italia per chiedere aiuto al Senato. Vario Avito fissò l’inizio del proprio regno dal giorno della battaglia vittoriosa.

In lettere scritte da Antiochia a Roma, i suoi consiglieri (come avevano già fatto quelli del suo predecessore) comunicarono che il nuovo eletto assumeva i titoli imperiali senza attendere il relativo decreto del Senato, violando così la tradizione, ma allo stesso tempo ebbero cura di compiere alcuni gesti concilianti, estendendo ai suoi membri l’amnistia e riconoscendone le leggi. Il Senato accondiscese e accettò debitamente la pretesa della paternità di Caracalla, che per l’occasione fu divinizzato (anche se i senatori lo odiavano).

Denarius d’argento in memoria Giulia Domna divinizzata.

Monete vennero coniate in onore del nuovo dio (DIVO ANTONINO MAGNO, con riferimento ad Alessandro Magno) e in memoria di Giulia Domna che, lo ricordiamo, si suicidò dopo la morte del figlio, (DIVA GIULIA AUGUSTA), anch’essa divinizzata. Vennero coniate monete anche in onore di coloro che si erano impossessati dello Stato: il nuovo imperatore e le due Auguste, Giulia Mesa e Giulia Soemia, nonna e madre del ragazzo.

IL PRIMO ANNO DI REGNO: NICOMEDIA

In agosto i tre partirono per la Bitinia, dove trascorsero l’inverno nella città di Nicomedia, allo scopo di consolidare il proprio potere. Qui Vario Avito celebrò i riti del suo sacerdozio, danzando in vesti siriane e disprezzando gli indumenti greci e romani. Queste cerimonie, considerate all’epoca grottesche, suscitarono costernazione e si dimostrarono un problema, al punto tale da provocare violente proteste. L’eunuco Gannys, che era divenuto prefetto del pretorio, proprio a causa di questi malumori, cercò di indurre l’imperatore a regnare con “temperanza e prudenza” – secondo Dione Cassio – ma fu da questi fatto assassinare per mano dei pretoriani.

LE REPRESSIONI

Vessillo della Legio IV Scithica.

Durante il lento spostamento della famiglia imperiale verso occidente, diretta a Roma, scoppiarono delle ribellioni all’interno della Legio IV Scithica, mentre la Legio III Gallica, quella che l’aveva proclamato imperatore, si ribellò acclamando come sovrano il proprio comandante. Le ribellioni furono sedate e furono giustiziati i capi delle due legioni. In più, la Legio III Gallica venne sciolta. Ma non solo: la repressione si rivolse anche verso altri oppositori del nuovo regime. Tra questi, il comandante della flotta di Cizico, il governatore d’Egitto Basiliano e i governatori della Pannonia, della Siria, dell’Arabia e di Cipro.

ELIOGABALO A ROMA: LE NOMINE

Nel primo autunno del 219, la famiglia imperiale giunse a Roma, dove procedette ad assegnare cariche di grande importanza ai suoi accoliti e partigiani (parecchi dei quali erano persone tutt’altro che rispettabili, secondo il parere degli oltraggiati senatori. Uno dei promossi, Publio Comazone, divenne Prefetto del Pretorio (successivamente Prefetto di Città) e diresse il governo in collaborazione con Giulia Mesa, che a questo punto divenne la donna più potente che l’Impero avesse mai avuto. Non solo: la madre e la nonna dell’imperatore divennero le prime donne a poter entrare in Senato e ricevettero allo stesso modo dei titoli senatoriali che erano sempre stati appannaggio dei soli uomini. Soemia, ad esempio, ebbe il titolo di clarissima, mentre Mesa ebbe il titolo di mater castrorum et senatus (“madre degli accampamenti e del Senato”).

Vario Avito, dal canto suo, provvide personalmente ad eseguire un’altra serie di nomine basate esclusivamente sul suo gusto personale. Tentò, ad esempio, di nominare senza successo “Cesare” il suo presunto amante, Ierocle, un auriga di cui parleremo tra poco. Allo stesso modo fece nominare un altro suo presunto amante, un tal Zotico, Cubicularius, cioè addetto alla camera da letto dell’imperatore. Ma le bizzarre nomine non finiscono qui: nominò un auriga, Cordio, capo dei vigili e il suo barbiere Claudio Prefetto dell’Annona.

ELIOGABALO A ROMA: L’EDILIZIA

Sul piano edilizio, Vario Avito completò le Terme di Caracalla con palestre, negozi ed altri annessi.

Resti del Circo Variano, a Roma.

Costruì il Circo Variano. Iniziato da Settimio Severo, era più grande del Circo Massimo di 9 metri. Sulla sua spina era collocato l’Obelisco di Antinoo, inizialmente eretto sulla Via Labicana in onore dell’amante di Severo. Oggi si trova sul Pincio.

Ma la sua più imponente costruzione fu quella di un tempio, l’Elagabalum, dedicato alla divinità del Sol Invictus, nel quale collocò la pietra sacra di El-Gabal. Il tempio, circondato da colonne, aveva dimensioni di 70m per 40m ed era a sua volta circondato da un portico colonnato. Nell’Elagabalum, Vario Avito fece trasferire le reliquie più sacre di Roma, tra cui la Magna Mater, gli Ancilia dei Salii e il Palladium, per assicurarsi la supremazia del culto al dio Sole.

Ricostruzione dell’Elagabalum.

La grandiosa piattaforma del tempio era già stata costruita da Domiziano, i resti della quale sono ancor oggi visibili sul lato nord-orientale del Palatino, quello che dà sull’Arco di Costantino.

IL CONTROVERSO CULTO DI EL-GABAL

Una delle ansietà che provocò il regno di Vario Avito fu determinata dalle sue attività religiose. Dal regno di Settimio Severo in poi il culto solare si era andato sempre più sostituendo all’intero pantheon religioso dell’epoca. Ma Vario Avito mise da parte ogni tradizione e precauzione mostrando una gran fretta di introdurre nella teologia imperiale di Roma una versione peculiare del culto del sole. In effetti, questa specie di “Re Sole” importò dall’Oriente la religione solare per metterla al centro della religione di Stato in vigore a Roma, addirittura più in alto del culto di Giove. Fu così che El-Gabal venne rinominato Deus Sol Invictus.

Disco d’argento dedicato al Sol Invictus, III secolo d.C., ritrovato a Pessinus, in Asia Minore. British Museum, Londra.

Il Sol Invictus e il Natale
Anche se il culto si sarebbe affievolito con la morte di Vario Avito, avrebbe ritrovato un inatteso vigore con l’imperatore Aureliano, sotto il quale il culto eliaco assunse un ruolo importantissimo a Roma. Infatti, fu il dio Sole ad apparire in sogno all’imperatore proprio alla vigilia della decisiva battaglia per la conquista di Palmira, governata dalla ribelle Zenobia, ed alla quale abbiamo già dedicato un articolo. Come conseguenza della vittoria, Aureliano fece prima erigere sul colle Quirinale un santuario dedicato al dio Sole e poi, nel 274, creò il collegio dei Pontifices Solis. Il culto del Sol Invictus si attestò a tal punto che fu deciso addirittura il giorno specifico in cui onorare tale divinità e questa data cadeva il 25 dicembre, a ridosso, dunque, del solstizio d’inverno, quando il sole vinceva sulle tenebre, in un tripudio di festeggiamenti inneggianti alla luce del sole. Fu un culto che si radicò così tanto nella società romana da essere poi assimilato dal solito cristianesimo, che scelse quella data, così cara al popolo romano, per ricordare la nascita di Cristo.

El-Gabal e la pietra sacra
Fu proprio in conseguenza del culto solare che Vario Avito finì con l’essere chiamato Eliogabalo, dal nome del dio El-Gabal che veniva conferito, secondo gli usi orientali, a colui che lo serviva.

Moneta bronzea di Eliogabalo raffigurante la Pietra Nera all’interno di un tempio.

Il nome di questa divinità di cui Vario Avito era sommo sacerdote, derivava da due parole siriache, El (“dio”) e gabal (concetto associabile a “montagna”) e significa “il dio [che si manifesta in una] montagna”. Il dio era adorato nel tempio di Emesa dove era conservato un betilo (una pietra sacra) conico e nero, probabilmente un meteorite. Erodiano, uno storico siriano del III secolo, racconta che “questa pietra è adorata come se fosse stata inviata dal cielo; su di essa si trovano piccole protuberanze e segni, che alla gente piace considerare un grezzo ritratto del sole, perché è così che li vedono”.

I riti del Sole imposti a Roma
Per diventare il sommo sacerdote di El-Gabal, Vario Avito si fece circoncidere, costringendo anche alcuni suoi collaboratori a fare lo stesso: Dione Cassio racconta che pensò persino di castrarsi, ma non ebbe poi il coraggio di farlo. Anche se può sembrare strano, la pratica dell’autocastrazione era un’usanza gallica, dei sacerdoti di Cibele, che però era stata da tempo proibita dai Romani in quanto ritenuta barbara.

Una volta all’anno dall’Elagabalum, la Pietra Nera veniva portata ad un altro tempio sopra un carro, tirato da cavalli bianchi, scortato da guardie e popolo, e seguito dalle effigie degli altri dèi, lungo le vie infiorate di Roma.

Erodiano narra che Vario Avito usava danzare intorno agli altari consacrati a El-Gabal, mentre donne siriache suonavano cembali e tamburi, mentre i senatori e i cavalieri erano obbligati ad assistervi stando in piedi.

Il “Trionfo di Eliogabalo”, con il betilo alle spalle. Illustrazione di Auguste Leroux per l’edizione del 1902 de L’agonie di Jean Lombard.

Nel Solstizio d’Estate, la divinità assumeva il ruolo centrale di quella che allora diventò la più grande festività di Roma. In quell’occasione veniva distribuita una grande quantità di viveri. Sempre Erodiano narra che “piazzava il dio del sole su un carro ornato d’oro e gioielli che veniva portato per i sobborghi, fuori dalla città. Il carro che recava la divinità era trainato da sei grandi cavalli, bianchi immacolati, con costose guarnizioni d’oro e ricchi ornamenti. Nessuno teneva le redini e nessuno stava sul carro: il veicolo veniva scortato come se lo stesso dio fosse il cocchiere. Eliogabalo procedeva a ritroso davanti al carro, guardando il dio e tenendo le redini dei cavalli; faceva tutto il percorso così all’indietro, con lo sguardo fisso in alto, verso la faccia del suo dio”.

Bassorilievo antico babilonese risalente al 1800-1750 a.C. raffigurante Astarte, proveniente dal sud dell’Iraq.

Le nozze sacre
Dette anche hieros gamos, le nozze sacre servivano per rafforzare il legame tra il nuovo dio e la religione romana. Fu così che Vario Avito – Eliogabalo fece contrarre al Deus Sol Invictus un matrimonio sacro con la dea fenicia Astarte, che fece trasportare da Cartagine a Roma. Il “matrimonio” fu ripetuto con Minerva e la dea Cartaginese Urania (o Tanit). Ciò provocò dei malumori presso i Romani, poiché, pur essendo tolleranti verso le altre divinità, di certo non vedevano di buon occhio il declassamento delle proprie.

Moneta di Aquilia Severa Augusta celebrante la Dea Concordia.

La vestale
Sfortunatamente, Vario Avito – Eliogabalo, non si fermò qui. Tutto preso dalla celebrazione delle nozze tra gli dèi, anch’egli volle contrarre un matrimonio sacro in qualità di sommo sacerdote del dio Sole. A tale scopo, si unì con la sacerdotessa di Vesta, Aquilia Severa, per procreare bambini “simili a dèi”. Ciò provocò un’ondata di scandalo, perché la Vestale, per sua natura, faceva voto di castità. La pena per coloro che violavano tale voto era l’essere seppellite vive. Inoltre, si riteneva che la violazione del voto di castità di una vergine Vestale comportasse gravi sciagure per Roma.

Eliogabalo gran sacerdote del Sole, Simeon Solomon, 1866.

GLI ECCESSI SESSUALI DI ELIOGABALO

È forse l’argomento più delicato, portato di recente alla ribalta da alcuni studiosi che, sfruttando come inverosimile grimaldello eventi di 1.800 anni fa, intendono sdoganare ed imporre al mondo l’ideologia gender fluid ed LGBTQ++++ in generale (sulla quale non ci pronunciamo non essendo questo il contesto appropriato per farlo). Infatti, Eliogabalo (da ora useremo il nome con cui è conosciuto) è ricordato soprattutto per i suoi orientamenti sessuali, al limite dello scandaloso per la società romana del tempo che, nonostante ciò che si vuol far credere, era tutt’altro che votata all’omosessualità, pur tollerando il fatto che alcuni imperatori si tenessero al fianco qualche giovane favorito. I Romani erano guerrieri che credevano nella moralità di una vita semplice e contadina rispetto ad una vita di ricchezza ed eccessi. Quindi il loro imperatore che si riferiva a sé stesso, come vedremo, come la “regina” di un auriga rappresentava un enorme imbarazzo e un segno di debolezza. Bisogna altresì considerare che le testimonianze storiche su Eliogabalo non devono essere prese alla lettera per forza. Probabilmente sono delle esagerazioni che servivano a minare la credibilità di una figura politica e di sicuro sono l’espressione del disprezzo aristocratico e senatoriale per le origini e le credenze orientali di Eliogabalo. Infatti, va considerato che in Eliogabalo l’aspetto religioso e quello sessuale erano profondamente intrecciati, come usuale nella cultura orientale. Detto questo, andiamo a vedere che cosa si racconta di lui.

I “mariti” di Eliogabalo
Sembra che l’imperatore, nel corso del suo regno, abbia sposato e divorziato da cinque donne, scelte dai consiglieri di una sempre più disperata Giulia Mesa, fra fanciulle romane di origine impeccabilmente aristocratica. Le monete, tuttavia, fanno vedere soltanto tre mogli, tutte onorate dal titolo di “Augusta” e da disegni in cui ha una parte importante la parola “armonia”.

Busto di Giulia Cornelia Paola, prima moglie di Eliogabalo. Musei Capitolini, Roma.

La prima moglie fu Giulia Cornelia Paola (219-220), mentre la seconda, come abbiamo visto, si chiamava Aquilia Severa, la Vestale, che presto venne ripudiata per sposare Annia Faustina, della dinastia di Marco Aurelio. Anche quest’unione durò poco (220-221) e fu seguita da un ritorno a Severa. I frequenti mutamenti matrimoniali fanno pensare che i mutevoli affetti personali di Eliogabalo giocassero un certo ruolo nella successione. Ma in ogni caso, il rapido avvicendarsi di imperatrici non può nascondere il fatto che gli interessi sessuali del ragazzo andavano totalmente verso altri uomini.

Infatti, secondo Dione Cassio, la relazione più stabile di Eliogabalo sarebbe stata quella con il già citato auriga Ierocle, uno schiavo biondo della Caria, che l’imperatore stesso definiva come “marito”, definendo se stesso come “la moglie di Ierocle” o “la regina di Ierocle”.

L’Historia Augusta afferma anche che Eliogabalo avrebbe sposato un uomo di nome Zotico, un atleta che proveniva dalla città di Smirne, in una cerimonia pubblica che si tenne a Roma. In quell’occasione, l’imperatore si sarebbe dipinto gli occhi e rasato i capelli per indossare una parrucca, non prima di essersi prostituito nelle taverne, nei bordelli e persino nelle sale del palazzo imperiale.

La “camera del sesso”
Sempre secondo Dione Cassio, Eliogabalo avrebbe fatto costruire una sorta di “camera del sesso” all’interno del palazzo imperiale dove si dice che “commetteva le sue indecenze standosene sempre nudo sulla porta della camera, come fanno le prostitute, e scuotendo le tende che pendevano da anelli d’oro, mentre con voce dolce e melliflua sollecitava i passanti”. Si racconta anche che facesse cercare gli uomini più “dotati” di Roma con i quali poi organizzava delle spettacolari orge con loro. Si diceva molti di essi si sarebbero trovati ad ottenere posizioni politiche di alto livello sulla base delle loro dimensioni.

Eliogabalo in una rappresentazione teatrale tratta dall’opera di Cavalli. (Franco Fagioli) © Agathe Poupeney

Il trucco
Eliogabalo amava vestirsi da donna e truccarsi ed Erodiano commentava questa abitudine affermando come fosse un peccato che egli apparisse in pubblico con gli occhi dipinti e le guance colorate di rosso, perché la bellezza del suo aspetto ne veniva diminuita.

Il desiderio di cambiare sesso
Cassio Dione narra che Eliogabalo avesse offerto metà dell’Impero Romano al medico che avrebbe rimosso i suoi genitali per sostituirli con quelli femminili. Ovviamente non è vissuto abbastanza per tentare una simile operazione e, dato lo stato della chirurgia del tempo, è molto probabile che non sarebbe sopravvissuto all’operazione.

ELIOGABALO UN TRANSGENDER?

L’orientamento sessuale di Eliogabalo è ancora oggi un tema piuttosto confuso, a causa delle innumerevoli fonti inattendibili e di racconti palesemente avversi all’imperatore. Tuttavia, alcuni storici moderni identificano Eliogabalo come il primo importante transessuale della storia.

L’ingresso del North Hertfordshire Museum.

La “svolta” del North Hertfordshire Museum
È di questi giorni, infatti, la notizia che il britannico North Hertfordshire Museum di Hitchin, ha deciso di modificare la propria esposizione su Eliogabalo dopo aver concluso che in realtà era un trans, utilizzando il pronome femminile “lei”. Questa decisione è stata presa sulla base dei testi classici nei quali l’imperatore imponeva di non riferirsi a lui come maschio. Nel giro di poche ore, quindi, il sovrano romano è diventato una sovrana romana, in ossequio alla nuova religione woke.

Il museo (che ha avuto quindi il suo quarto d’ora di celebrità), gestito dal comune di Hitchin, una cittadina di 30.360 abitanti della contea dell’Hertfordshire, in Inghilterra, possiede anche una moneta d’argento coniata durante il regno di Eliogabalo, utilizzata spesso in esposizioni a tema arcobaleno.

Raffigurazione della moneta posseduta dal North Hertfordshire Museum.

Una decisione, questa del museo, presa senza considerare altri storici secondo i quali tali resoconti potrebbero essere un tentativo di diffamazione nei suoi confronti. Infatti, secondo la dottoressa Shushma Malik, docente di scienze classiche all’Università di Cambridge, parlando alla BBC ha spiegato: “Gli storici che leggiamo e studiamo per cercare di capire la vita di Eliogabalo sono estremamente ostili nei suoi confronti e quindi non possono essere presi per buoni”.

Difficile darle torto. La società romana non comprese che secondo i costumi orientali, religione e sesso erano complementari e considerò aliene, stravaganti e scandalose le pratiche sessuali del proprio imperatore, tra cui le orge, i rapporti omosessuali, la prostituzione, all’interno delle quali va ricercata la ricerca dell’androginia e della castrazione. Ma piegare e forzare eventi antichi di 1.800 anni, per attualizzarli in un contesto che nulla ha a che fare con una mentalità distante anni luce dalla nostra, solo per legittimare ossessioni ideologiche radicali, di qualunque natura e matrice esse siano (e della cui liceità non entriamo nel merito), è profondamente antistorico, e pertanto è considerato dall’autore un affronto inaccettabile.

GLI ECCESSI DI ELIOGABALO A TAVOLA

Ma gli eccessi del giovanotto si manifestavano anche nelle occasioni conviviali. Si diceva che durante un banchetto avesse soffocato a morte gli ospiti con una massa di petali di rosa lasciati cadere dall’alto. Alla sua tavola, dove si servivano ventidue portate, comparivano ogni giorno tutti i prodotti offerti dal sole dell’Impero. Teneva in particolar modo che gli animali imbanditi conservassero la loro forma naturale: ad esempio, i pesci venivano preparati in una salsa del colore del mare, abbastanza trasparente da lasciarne brillare le squame.

Lawrence Alma-Tadema, “Le rose di Eliogabalo”, 1888, olio su tela. Collezione privata di Juan Antonio Pérez Simòn.

Eliogabalo mangiava solo certe parti speciali degli alimenti che i suoi agenti cercavano nei paesi più lontani: lingue di pavoni e fenicotteri, talloni di cammello, latte di lamprede e spigole.

All’imperatore piaceva anche organizzare cene con cibo finto servito agli altri, mentre lui mangiava quello vero, costringendo gli ospiti a cenare con il cibo falso e obbligandoli ad apprezzarlo.

L’INTERVENTO DI GIULIA MESA

Busto di Alessandro Severo, 225, circa. Galleria degli Uffizi, Firenze.

Le presunte aberrazioni personali e, soprattutto, le attività religiose del giovane furono causa di grande allarme per Giulia Mesa, la quale si rese conto di aver fatto il classico cattivo investimento. Si rese conto che il sostegno popolare verso il nipote stava crollando rapidamente e il malcontento dei pretoriani, che si vergognavano di servire un imperatore simile, stava raggiungendo i livelli di guardia. Il suo timore di perdere il potere così faticosamente conquistato a causa degli eccessi di un burattino attraverso il quale essa governava, la convinse della necessità di liquidarlo. La madre di Eliogabalo, Giulia Soemia, che aveva incoraggiato la sua dedizione al culto solare, sembrava ugualmente pericolosa ed ingombrante. Fu così che la terribile nonna si rivolse alla propria secondogenita, Giulia Avita Mamea, che aveva un figlio di nome Alessiano. Le due donne riuscirono a persuadere Eliogabalo a conferire tramite adozione il titolo di Cesare al cugino, con la scusa che così avrebbe avuto più tempo da dedicare ai doveri religiosi. Ecco, quindi, che Alessiano venne elevato al rango di Cesare con il nome di Alessandro Severo.

LA REAZIONE DI ELIOGABALO

Il giovane imperatore, tuttavia, aveva mangiato la foglia e si rese conto che quella della nonna era una manovra ai suoi danni. Infatti, forse anche grazie ad un’astuta opera di propaganda, il Senato e il popolo già amavano Alessandro Severo. Ovvio che tale situazione non poteva essere tollerata e quindi Eliogabalo tentò più di una volta di far assassinare il pericoloso cugino, ma Mesa e Mamea neutralizzarono le sue iniziative.

L’imperatore allora ordinò al Senato di annullare l’elezione a Cesare del cugino e di ricoprire di fango le sue statue, ma i soldati si ribellarono ed Eliogabalo si salvò a malapena dalla loro rabbia.

MORTE DI UN RAGAZZO

Sfortunatamente per lui, la situazione era ormai compromessa. Eliogabalo tentò un ultimo colpo, facendo mettere in giro la voce della morte di Alessandro Severo. Ma alla notizia, i pretoriani, che già avevano ricevuto una congrua elargizione di denaro per passare all’azione, pretesero di vedere lui e il cugino insieme al loro accampamento. L’11 marzo del 222, assieme al cugino e alla madre, l’imperatore si presentò al campo. I pretoriani acclamarono imperatore Alessandro Severo. Eliogabalo, allora, ordinò l’arresto e l’esecuzione sommaria di coloro che sostenevano suo cugino con l’accusa di ribellione. Per tutta risposta, i pretoriani assalirono l’imperatore e sua madre. Ciò che tristemente seguì, è raccontato da Dione Cassio: “Fece un tentativo di fuggire, e sarebbe riuscito a raggiungere un qualche luogo nascosto in una latrina, se non fosse stato scoperto ed ucciso, all’età di diciotto anni. La madre, che lo abbracciò e lo strinse fortemente, morì con lui; le loro teste furono spiccate dal busto e i loro corpi, dopo essere stati denudati, furono prima trascinati per tutta la città, e poi il corpo della madre fu gettato in un posto o in un altro, mentre il suo venne gettato nel fiume”.

La Guardia Pretoriana. Immagine tratta dal film “Il Gladiatore”, di Ridley Scott (2000).

DOPO ELIOGABALO

Una fine orribile, riservata da feroci assassini nei confronti di un ragazzo terrorizzato che trova come ultimo conforto l’abbraccio della madre.

Tutti gli accoliti di Eliogabalo trovarono una morte simile, inclusi l’auriga Ierocle e il prefetto Comazone.

Il culto solare, e i riti ad esso connessi, vennero aboliti e la Pietra Nera fu rimandata ad Emesa, dove continuò ad essere venerata con immutato fervore dopo l’intermezzo di quattro anni passati a Roma.

Alle donne venne nuovamente vietato di partecipare alle riunioni del Senato, come aveva sempre previsto la tradizione.

Per Eliogabalo fu stabilita la damnatio memoriae: le sue statue furono distrutte, il nome cancellato dai documenti e dalle iscrizioni e fu proibito di piangerlo pubblicamente e di seppellirlo. Da allora, la sua figura è passata come una nota a piè di pagina della Storia.

La cancellazione di un “praenomen” da un fregio, esempio di damnatio memoriae.

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