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Alberto Stasi condannato per l’omicidio di Chiara Poggi

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L’assassino c’è, si chiama Alberto Stasi. La sentenza della quinta sezione penale della Cassazione fa calare il sipario sul giallo di Garlasco. Una vicenda che, a partire da quel 13 agosto di otto anni fa in cui Chiara Poggi venne ritrovata senza vita, ha travolto un piccolo comune della Lomellina adagiato tra campi e risaie, strappato alla quiete delle sue villette, delle sue strade silenziose e delle sue biciclette per essere scaraventato sul palcoscenico di un dramma ad alto gradimento mediatico, sul cui sfondo si sono intrecciati i dolori di due famiglie. Otto anni vissuti tra dubbi e sospetti, polemiche sulla conduzione delle indagini, fiumi di articoli e ore di trasmissioni televisive, due assoluzioni in primo e secondo grado, la clamorosa sentenza della Cassazione che il 18 aprile 2013 riaprì i giochi quando parevano ormai chiusi, la successiva condanna a 16 anni di Stasi. Dichiarato colpevole di omicidio ma con pena ridotta visti il rito abbreviato chiesto dall’imputato sin dal 2009 e il mancato riconoscimento dell’aggravante della crudeltà. Fino all’epilogo odierno, che ha cristallizzato quella condanna passandola in giudicato, econ Stasi che si è subito costituito venendo immatricolato nel carcere di Bollate, nel Milanese, come si apprende da fonti legali. Tutto comincia nel primo pomeriggio del 13 agosto 2007. A Garlasco, provincia di Pavia, un ragazzo di 24 anni laureando alla Bocconi chiama il 118 quando sono da poco passate le due del pomeriggio. E’ Alberto Stasi. Ha trovato, secondo quella che diventa la sua versione, il corpo della fidanzata Chiara Poggi, con ancora indosso il pigiama, in fondo alle scale che scendono alla taverna dell’abitazione di lei. Una villa in via Pascoli, alle porte del paese, circondata dal giardino, immersa nel silenzio di una giornata estiva in cui Garlasco è quasi completamente deserta. Al loro arrivo i soccorritori constatano il decesso di Chiara. La ragazza è stata uccisa con ferocia, ha il cranio sfondato, è stata massacrata con colpi sferrati da un’arma che non verrà mai ritrovata. Alberto racconta di aver cercato per tutta la mattina di contattare inutilmente la sua ragazza per telefono. All’ora di pranzo ha deciso di recarsi presso la sua abitazione, dice di aver suonato il campanello invano. Allora ha scavalcato il cancello, ha trovato la porta d’ingresso socchiusa, è entrato, ha visto sangue, ne ha seguito le tracce, ha trovato lei già morta. Stavano insieme da cinque anni. Entrambi erano rimasti a Garlasco, lui per finire la tesi di laurea, lei per fare uno stage a Milano. Le loro famiglie invece erano partite per le ferie qualche giorno prima. La sera prima si erano visti, poi lui era tornato a casa a dormire. Il giorno seguente avrebbe fatto la terribile scoperta dopo che la mattina, nelle ore in cui si consumava il delitto, sarebbe stato a casa sua per lavorare sul computer alla tesi. Al funerale Alberto Stasi siede nel primo banco insieme ai genitori di Chiara. Due giorni dopo, il 20 agosto, riceve un avviso di garanzia per omicidio volontario. Le indagini si concentrano subito sul giovane. L’alibi non convince gli inquirenti. Sulle suole delle scarpe indossate da Alberto al momento del ritrovamento di Chiara non ci sono tracce di sangue: come ha fatto a non sporcarsi visto che il pavimento di casa Poggi ne era pieno? Sul pedale della bicicletta di Stasi viene trovato il Dna di Chiara, e una vicina dice di aver visto una bici appoggiata davanti alla villa dei Poggi proprio la mattina del delitto. Basta perché la procura di Vigevano decida il fermo del giovane bocconiano.

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