Home Rubrica LA STELE DI ROSETTA SCOTA, UNA PRINCIPESSA EGIZIA IN IRLANDA.

SCOTA, UNA PRINCIPESSA EGIZIA IN IRLANDA.

COSA SUCCEDE QUANDO MITO E REALTA’ SI FONDONO IN UN INESTRICABILE INTRECCIO?

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Diciamolo chiaramente: accostare Egitto ed Irlanda può apparire assai azzardato, audace.Eppure i nostri lettori sanno che, per quanto la fantarcheologica presenti degli aspetti indubbiamente suggestivi ed affascinanti, lo scopo di questa rubrica è quello di attenersi ai fatti, divulgare nella maniera più corretta possibile tutto ciò che è legato alle testimonianze del passato. Rimanere con i piedi ben saldi al suolo evita pericolose levitazioni pindariche che, investite dalle turbolenze del raziocinio, potrebbero trasformarsi in poco piacevoli avvitamenti al suolo. Ciononostante, riteniamo doveroso riferire anche di leggende che affondano le loro radici nella notte dei tempi e che, se analizzate con il metodo scientifico, potrebbero rivelarsi di grande aiuto per capire il nostro comune passato. I misteri, quelli veri, sono così numerosi, tangibili e reali da rendere inutili gli infondati sensazionalismi il cui scopo è solo quello di attirare folle di lettori creduloni che alimentano un facile marketing editoriale. Fatta questa necessaria premessa, possiamo ora passare all’argomento di oggi.
La scoperta di Tara
Nella zona centro-orientale dell’Irlanda si trova la Contea del Meath. È famosa tra i locali perché ospita uno dei luoghi più venerati e importanti della storia dell’isola: la Collina di Tara, un tempo residenza del Re Supremo irlandese. Su questa collina colui che sarebbe
divenuto re doveva dare prova di essere stato scelto dagli dei. Tale prova consistev nel“volare” al disopra della Pietra del Destino, un menhir senza il quale l’Irlanda sprofonderebbe. Un luogo importante, dunque, nonché dimora dei Feniani, i Cavalieri del Destino, protettori dell’Irlanda, un luogo adatto per fare scoperte enigmatiche. Come quella che il dottor Sean O’Riordan effettuò nel 1955. Lo studioso rinvenne i resti scheletrici di quello che sembrava essere un giovane principe che ancora indossava una rara collana di perline di ceramica costituite da un impasto di minerali ed estratti di piante bruciati. Lo scheletro fu datato al radiocarbonio al 1350 a.C. Nel 1956 si appurò che le perline di ceramica erano…egizie. Infatti, quando esse vennero comparate con perline di ceramica egizie, non solo si dimostrarono identiche nella manifattura, ma anche con decorazioni simili. E inoltre: Tutankhamon, che era stato sepolto nello stesso periodo dello
scheletro di Tara, aveva intorno al collo un inestimabile collare d’oro tempestato da simili perline di ceramica coniche blu-verdi. La collana di Tara era un regalo degli Egizi a un capo locale dopo il loro arrivo, o forse il principe di Tara era in realtà egli stesso egizio?
Un enigmatico precedente Operando per connessioni, l’egittologa Lorrain Evans, nel suo libro Kingdom of the Ark, pone in relazione questa scoperta con quella che venne effettuata nel 1937 a North Ferribly, nello Yorkshire. Furono rinvenuti i resti di un’antica nave. All’inizio si pensò che si trattasse di una nave vichinga, fino a quando successivi scavi produssero altre navi naufragate in una tempesta. Ulteriori ricerche dimostrarono che quelle navi erano molto più antiche dei vichinghi e la loro tipologia era riscontrabile soltanto nel Mediterraneo. Le conclusioni furono che quelle navi erano state costruite 2.000 anni prima dell’epoca vichinga e vennero datate al radiocarbonio tra il 1400 e il 1350 a.C. Secondo la studiosa, quelle navi potevano essere egizie. Come i lettori più esperti sapranno, una simile ipotesi è tutt’altro che peregrina: gli Egizi erano degli abili navigatori e la loro capacità non si limitava alla navigazione del Nilo, ma anche nel più periglioso Mediterraneo. La possibilità che essi abbiano superato le Colonne d’Ercole (lo Stretto di Gibilterra) sono altissime. Abbiamo notizie di audaci spedizioni promosse dalla regina Hatshepsut nella Terra di Punt (non ancora identificata con certezza), in periodo che coincide in modo
impressionante con la datazione delle navi dello Yorkshire. Con questo vogliamo solo sottolineare che all’epoca in questione, le capacità nautiche degli egizi viaggiavano su livelli tecnici elevati.
Il Lebor Gabàla Erenn
Ed ecco che giungiamo al cuore della questione. La Evans collegò i dati di queste scoperte con le informazioni contenute nel Lebor Gabàla Erenn (Il Libro della presa d’Irlanda). Esso è il titolo di una collezione perduta di storie in poesia e prosa che narra la mitologia e la storia d’Irlanda e dei suoi popoli dalla Creazione del mondo al Medioevo. Fu compilata da un anonimo nell’XI secolo e vi si narra, tra l’altro, la storia di Scota, una principessa egizia che fuggì dall’Egitto con suo marito, il greco Gaythelos, e con una grande flotta navale. Essi si insediarono in Scozia per un certo periodo tra i nativi sino a quando furono costretti a ripartire per recarsi in Irlanda, dove formarono gli Scotti, e i loro re divennero gli Alti Sovrani d’Irlanda. Nei secoli successivi, tornarono in Scozia e, sconfiggendo i Picti, diedero il nome al Paese. Scota non ebbe una buona sorte: giunta in Irlanda, venne uccisa durante una grande battaglia. Quella che viene ritenuta la sua tomba è demarcata da una grossa pietra nella contea di Kerry.
La leggenda di Scota
Esistono due versioni della leggenda, una irlandese e l’altra scozzese. La prima narra che in una terra lontana un principe e una principessa salirono sul trono per diventare re e regina della loro gente. Ma presto si verificò una sollevazione popolare a causa dell’agitazione politica che circondava questo matrimonio che portò i due ad abdicare e partire con i loro seguaci verso il sole morente (l’Occidente). Alla fine, dopo tanti guai e tribolazioni, la coppia reale scoprì una nuova terra che sembrava essere molto promettente e nella quale fondarono una nuova nazione. Secondo questa cronaca, si crede che dai nomi di Gaythelos e Scota provengano i nomi dei popoli “gaelico” e “scozzese”.
Una versione successiva di questa storia, del XIV o XV secolo, venne chiamata Scotichronicon. In essa si narra che Gaythelos fosse un principe greco ribelle che ebbe un litigio in famiglia e che quindi lasciò la Grecia alla ricerca di nuove opportunità, giungendo in Egitto e riuscendo ad ingraziarsi la famiglia reale al punto da sposare la figlia del faraone, una cosa inaudita per i costumi del posto. Ed infatti, in seguito a violente proteste da parte del popolo, la coppia venne espulsa dall’Egitto e costretta ad imbarcarsi verso l’ignoto. Essi sarebbero approdati dapprima in Spagna, dove eressero una piccola città fortificata chiamata Brigantia, ma da cui sarebbero stati costretti a ripartire in seguito ai continui attacchi dei locali. Trovarono un’altra isola (forse Maiorca) ed infine, dopo alcune generazioni, venne scoperta un’altra isola da eleggere come patria, l’Irlanda. Molti degli abitanti di Brigantia emigrarono allora in Irlanda, che venne chiamata Scozia dal
nome della loro regina fondatrice. Se qualche lettore dovesse trovare una incongruenza con i nomi, tenga presente che l’Irlanda veniva chiamata Scozia prima del III secolo d.C., fatto risaputo e menzionato da autori tra cui Claudiano, Isidoro e Beda.
Una possibile identificazione Ma chi era Scota? Certo non aveva un nome molto egizio, e questo ha fatto molto dubitare della veridicità della storia, dal sapore molto New Age. Secondo Lorrain Evans, nel Lebor Gabàla Erenn il padre di Scota si chiamava Achencres, versione greca di un nome egizio. Ora, esiste un’opera del sacerdote Manetone, Aegyptiaca o Storia dell’Egitto redatta su commissione di Tolomeo II Filadelfo, considerata di primario interesse per le informazioni che fornisce sulla cronologia dei regni degli antichi faraoni. In tale opera, la Evans scopre che il nome di Achencres non è altro che la traduzione, reggetevi, di Akhenaton, il faraone eretico che regnò effettivamente intorno al 1350 a.C. Incoronato col nome di Amenhotep IV, abbandonò il politeismo tradizionale a favore di una nuova religione che aveva come unico dio Aton e il culto del disco solare. Cambiò il nome in Akhenaton (Colui che è gradito ad Aton) e fondò una nuova capitale, Akhetaton (Orizzonte di Aton, oggi Tell el-Amarna). Tuttavia la sua rivoluzione religiosa si rivelò effimera al punto che dopo la sua morte i suoi monumenti furono abbattuti, le sue statue spezzate e la capitale, un tempo fiorente, fu abbandonata e inghiottita dalla sabbia e dalle nebbie della Storia. In tale contesto, la Evans crede che Scota sia in realtà la principessa Merytaton la figlia più maggiore del faraone eretico.

La Collina di Tara.


Quanto può esserci di vero?
Nessuno può scommettere sulla veridicità della storia, che è anche una bella storia, ammettiamolo. Tuttavia, esistono delle considerazioni da fare a sostegno di tale tesi. In primo luogo, si deve considerare che la lista dei faraoni e altri dettagli nella cronaca sono basati sul lavoro di Manetone, storico che gode di enorme reputazione. In secondo luogo, se la storia fosse ambientata in un qualsiasi altro periodo della storia d’Egitto si potrebbe essere fortemente scettici sulla veridicità del racconto, ma lo Scotichronicon evidenzia uno dei pochi momenti instabili della storia egizia, un periodo turbolento politico-religioso in cui era altamente possibile che un principe e una principessa venissero espulsi dal paese, magari perché non volevano tornare agli antichi dei (come fece il fratello di Merytaton, Tutankhamon).
Correlazioni fra i due popoli
C’è da considerare, tuttavia, che queste narrazioni leggendarie nascondano una verità meno appassionante e romantica e si riferiscano, invece, ad uno scambio intenso, culturale e religioso, proseguito per molti secoli, tra le popolazioni celtiche e quelle egizie, scambio che seguiva le rotte che dal Mediterraneo costeggiavano la Spagna e si dirigevano poi verso l’Irlanda e la Scozia. Se così fosse, possiamo pensare ad un apporto archetipico che interessa il vasto pantheon egizio e la raffinata teologia di quel paese. Un apporto che nelle forme più antiche coinvolge la dea nilotica Neith e che, nelle forme più recenti, coinvolge Iside, divinità che ha riassunto progressivamente tutti i nomi della Dea Madre e il cui culto è rimasto vivo per secoli, anche in epoca di dominazione cristiana, e ancora oggi con le religioni neopagane.
Ma c’è dell’altro. A Minorca vi sono delle tombe a foggia di nave interpretate dagli archeologi come un segno che i suoi abitanti arrivarono per mare dal Mediterraneo orientale nel XV secolo a.C. Certo è che se questa gente avesse fatto parte dell’esodo dall’Egitto di Merytaton, tale cronologia e rotta sarebbero corrette. Ma non lo sappiamo.
Quale che sia la verità su questi lontani eventi, non possiamo ignorare come le tradizioni dei popoli attraversino i secoli, superando le tempeste del tempo e, sopravvivendo a nibelungici naufragi nell’oblio, arrivino fino a noi moderni, che invece facciamo di tutto per dimenticare il nostro passato, abbattendo monumenti e rinnegando persino la nostra lingua. La diversità culturale è un patrimonio da tutelare, non un nemico da distruggere.

La Pietra del Destino sulla Collina di Tara.

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