Home Rubrica L'ANGOLO DI ASCLEPIO STORIA DELLA CHIRURGIA ANTICA: ROMA, L’INFLUENZA GRECA TRA INNOVATORI E “CARNEFICI”.

STORIA DELLA CHIRURGIA ANTICA: ROMA, L’INFLUENZA GRECA TRA INNOVATORI E “CARNEFICI”.

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Prima della nascita e delle conquiste di Roma, sul suolo italico, non si ha testimonianza di una cultura chirurgica differente rispetto a quanto si è ritrovato nelle civiltà coeve. L’ultima grande civiltà “italiana”, prima dell’avvento dei Romani, gli Etruschi importò la maggior parte delle conoscenze mediche dalla cultura greca; questa popolazione, però, era riuscita a distinguersi per un alto grado di sviluppo nel campo dell’odontoiatria; gli archeologi hanno, infatti, ritrovato nei siti etruschi esempi di protesi dentarie di ogni genere: con denti veri o artificiali, fisse o mobili.

A Roma, nel tempo, i praticanti l’arte medica iniziarono a differenziarsi in gruppi, che possono ricordare una forma embrionale delle attuali specialità: vi erano i medici (assimilabili a medici generali o interni), i chirurghi (come i medici vulnerum, specializzati nella cura delle ferite), i medici ab oculis (antenati degli moderni oculisti), oltre ai dentisti.
Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, cita la vicenda del più antico chirurgo precristiano, operante a Roma, di cui si abbia una conoscenza scritta; si trattava di un greco di nome Arcagato, che si trasferì a Roma nel III secolo a.C, ottenendo la cittadinanza. Nel suo ambulatorio sulla Via Acilia, ci viene descritto come un “Vulnarius”, esperto nella cura delle ferite, ma non ebbe una carriera felice: lo stesso Plinio ci tramanda come una sua eccessiva disinvoltura nell’utilizzo degli strumenti chirurgici e una tendenza esagerata verso la pratica delle amputazioni, gli fecero guadagnare il soprannome di “Carnefice” (Carnifex) e gli costò l’esilio

Come accadde dall’altra parte dell’Oceano Atlantico con la civiltà Azteca, le tante battaglie che affrontò Roma nel corso della sua storia millenaria, accrebbero le conoscenze chirurgiche dei medici a seguito delle legioni, che si trovarono a dover trattate un gran numero di ferite diverse e spesso molto gravi. Ogni Legione aveva a disposizione un gruppo di specialisti in grado di allestire un ospedale da campo anche nel mezzo di una battaglia, coordinato da un chirurgo. Le fonti ci riportano il nome di uno di questi, certamente il più famoso: Dioscoride.
Egli era greco, visse durante il regno di Nerone e la sua attività al seguito delle Legioni gli permise di viaggiare a lungo nell’Impero, studiando e collezionando un gran numero di erbe medicinali; fu noto prevalentemente per il suo manuale farmacologico, De materia Medica, che ebbe una grande influenza nella medicina medievale e fu utilizzato fino al XV secolo, tanto da venire citato nella Divina Commedia, nel IV Canto dell’Inferno, come uno dei personaggi del Limbo.

Una delle qualità più importanti del popolo Romano non fu tanto l’esaltare le loro attitudini migliori, quanto riuscire ad assimilare e a svilupparsi in campi, dove altri eccellevano. Fu così che il romano che nasceva con una mentalità più pragmatica (che infatti portò alla nascita di una ingegneria molto avanzata), non esitava ad attingere da chi era, invece più portato verso qualcosa di più astratto come l’arte e la scienza. In questo senso la cultura romana, anche e soprattutto in ambito medico, deve molto alla Grecia.
Non è un caso, quindi, che, pur trattando di Roma, i due nomi citati fin qui, provenissero dall’Ellade, così come il terzo: Areteo di Cappadocia, che visse nel II secolo d.C.
Non si hanno molte informazioni su di lui: esercitò a Roma, sembra fosse di origine anatolica e che si fosse formato ad Alessandria, dove, essendo permessa la pratica delle autopsie, acquisì una grande conoscenza anatomica.
Fu il primo a descrivere le manifestazioni del tetano e il nome delle patologie oggi conosciute come epilessia e diabete si deve a lui. Scrisse un trattato composto da 4 gruppi di due tomi ciascuno: De causis et signis acutorum morborum, De causis et signis diuturnorum morborum, De curatione acutorum morborum e De curatione diuturnorum morborum, dove descrive diversi argomenti di interesse chirurgico.
I Romani ebbero, pertanto, il merito prendere il meglio da tutti i popoli vicini e da quelli conquistati e, sviluppando nel corso dei secoli una cultura caleidoscopica, furono importanti artifici del progresso umano, anche in ambito medico e chirurgico.

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