All’età di 98 anni è morto ieri a Mariano Comense (CO) Luigi Alva, voce tra le più eleganti del Novecento lirico e figura di riferimento nel repertorio comico e di grazia sette-ottocentesco. Nato a Paita, in Perù, nel 1927, Alva muove i primi passi nel mondo della musica nel suo Paese natale, per poi approdare nel 1953 alla scuola di canto della Scala di Milano, dove si perfeziona sotto la guida di Ettore Campogalliani. L’anno successivo debutta come Alfredo nella Traviata al Teatro Nuovo di Milano.
Nel 1955 è protagonista di un evento che fa storia: l’inaugurazione della Piccola Scala con Il matrimonio segreto di Cimarosa, per la regia di Strehler. È l’inizio di una lunga e fortunata avventura artistica, in cui Alva si distingue come tenore ideale per il repertorio di mezzo carattere, grazie a un timbro luminoso, una dizione limpidissima e una presenza scenica agile e misurata. Il suo nome si lega a produzioni, fra le altre, di Falstaff, L’elisir d’amore, Il turco in Italia, Serse, Le cantatrici villane, tutte affrontate con quella miscela di garbo interpretativo e saldezza musicale che ne fa un interprete di riferimento.
Celebri, anche se discusse in sede critica, le sue collaborazioni discografiche con Claudio Abbado per Il barbiere di Siviglia e La Cenerentola, che testimoniano la capacità di Alva di farsi portavoce di un nuovo modo, più asciutto e stilizzato, di intendere il repertorio rossiniano. La musicalità raffinata e l’intelligenza interpretativa consentono al tenore peruviano significative incursioni nell’operismo mozartiano, in particolare come Ferrando in Così fan tutte e Don Ottavio in Don Giovanni, ruoli affrontati con elegante sobrietà e cura del fraseggio. Non mancano nemmeno aperture al teatro musicale del Novecento. Alva partecipa alla prima italiana de La piccola volpe astuta di Janáček alla Scala nel 1958, a La donna immobile di Malipiero (Piccola Scala, 1956 e 1959) e a Maria Golovin di Menotti, sempre alla Scala, nel 1958, dimostrando versatilità e desiderio di misurarsi con linguaggi diversi.
Luigi Alva rimane nella memoria del pubblico e degli addetti ai lavori come un artista che ha fatto dell’equilibrio, della misura e del buon gusto la cifra distintiva di un’intera carriera. Il suo canto, sorretto da una tecnica sicura e da una musicalità spontanea, rifugge ogni esibizionismo per restituire all’opera comica quella grazia sobria e quella leggerezza pensosa che ne sono l’essenza più vera. Un vero gentiluomo del palcoscenico.
Fonte: connessiallopera.it