Home ISTITUZIONI E POLITICA Il Saluto di Storace alla Regione Lazio.

Il Saluto di Storace alla Regione Lazio.

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ULTIMO GIORNO DI SCUOLA…. – Alle mie spalle l’ingresso del consiglio regionale del Lazio, da cui esco dopo un’esperienza durata sostanzialmente diciotto anni. Formalmente 13 perché dal 2005 al 2010 fui “rappresentato” dal gruppo consiliare che portava il mio nome (quattro eletti, di cui uno solo – per giunta di “sinistra” – rimase leale a me per tutto il mandato…).
In questo Palazzo mi sono formato anzitutto umanamente, perché ho conosciuto storie vere, capriole nella vita, salti nel vuoto di chi non riusciva a campare. A tutti ho tentato di dare una mano, pochi hanno detto grazie, ma non fa niente. Chi ha coscienza, sa che il dovere che si compie e’ intimamente legato ai valori che porta con se’.
Ho governato la regione con onore, aprendo ospedali che erano sbarrati al popolo, ed ormai annoia persino la balla del debito, visto che la Corte dei Conti manco una domanda sul tema m’ha mai fatto…
Un saluto rispettoso a Zingaretti e al presidente del Consiglio regionale Leodori, per non avermi fatto mancare stima in questi anni di opposizione e auguri per il loro lavoro. Un abbraccio ai colleghi con i quali ho condiviso, tra alterne vicende, la battaglia di opposizione alla Pisana.
Non mi sono candidato ne’ qui ne’ al Parlamento.
In politica ho avuto gioie – servire la mia terra, servire il mio Paese, dare vita alla comunità de La Destra le più belle – e dolori, perché ventitré anni di inchieste e processi non li auguro a nessuno, anche se tutti a lieto fine. Ma è stata durissima.
Oggi vedo una politica ostile, anche quelli che sembravano più vicini – chi ho aiutato a raggiungere ruoli istituzionali di assoluto rilievo come chi ho letteralmente resuscitato dalla tomba in cui era precipitato – sono distanti, sleali, egoisti. Fatti loro.
Paradossalmente ho trovato più vicini Salvini e Meloni, che pure non hanno certo debiti nei miei confronti.
Comunque, non mi lamento, perché sono stato più fortunato di altri. Da ragazzo mi sono beccato una gragnuola di pallottole a via Acca Larentia (l’anno dopo la strage), le fiamme dell’auto di mia madre e il fuoco che arse la casa dove abitavo con i miei genitori.
Mi tengo l’affetto di chi ancora mi vuole bene, scrivo fino a che resiste la cassa del Giornale d’Italia, mi godo la mia bella famiglia, magari in Sicilia, assieme a qualche amicizia.
E mi tengo il mio carattere. Che tocca sopportare pure a me.
Grazie a tutti.

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