Home LAPIS IN FABULA Per concludere un ragionamento: sovranità, diritto liquido e democrazia dispersiva.

Per concludere un ragionamento: sovranità, diritto liquido e democrazia dispersiva.

«Stato» si chiama il più freddo di tutti i mostri. È freddo anche nel mentire; e la menzogna ch’esce dalla sua bocca è questa: «Io, lo Stato, sono il popolo!». (Fredrich Nietzesche, Così parlò Zarathustra)

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Le trasformazioni dello Stato Italiano maturate negli ultimi cinquant’anni, determinate ed influenzate anche dalle trasformazioni geopolitiche e sociali a livello internazionale, hanno inciso profondamente nella struttura dello Stato stesso, nelle sue istituzioni, nella rimodulazione dei diritti e nei contenuti essenziali del patto sociale.
L’adesione ai trattati internazionali, l’integrazione nell’Unione Europea, i processi di trasformazione economica dovuti alla globalizzazione ed alla delocalizzazione della produzione industriale, hanno ridisegnato un nuovo scenario in cui si inserisce la struttura dell’organismo statale ed il rapporto con i propri cittadini.
Per certi versi è come se l’organismo statale, monade istituzionale e sovrana, si fosse frammentato, inserendo questi frammenti come tessere di un mosaico più ampio.
Ad una evidente esternalizzazione produttiva, economica e finanziaria, ha corrisposto una non meno impattante esternalizzazione politica, istituzionale e normativa.
Vediamo di seguito il fenomeno nelle sue manifestazioni e nei suoi contenuti.

Limitazione e cessione di sovranità

La realizzazione dei trattati istitutivi degli organismi comunitari, e la regolamentazione delle materie delegata a tali organismi, è stata attuata nei propri contenuti vincolanti attraverso la cessione della sovranità dello Stato in ordine alla materia attribuita alla competenza dell’organismo sovranazionale.
Secondo la prevalente letteratura giuridica, limitazione e cessione della sovranità sono concetti equivalenti e spesso usati come sinonimi.
Sul punto non siamo assolutamente d’accordo, proprio per quanto espresso dal testo costituzionale e dal significato intrinseco dei due termini che esprimono concetti essenzialmente diversi.
Anzitutto il concetto di limitazione implica l’esistenza di una restrizione, di un perimetro entro il quale si può manifestare un determinato potere.
Ciò viene espresso il sede costituzionale, ad esempio nell’articolo 1 della Costituzione in cui si enuncia che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione, oppure nell’articolo 11 della Costituzione in cui viene stabilito che “ L’Italia….omissis…. consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni…”.
La limitazione di sovranità nel primo caso è determinata dai principi fondamentali della costituzione che sono quelli essenziali e costitutivi del patto sociale esistente tra Stato e cittadini, tra cui i principi di libertà, uguaglianza, dignità sociale ed economica, partecipazione alla vita politica ed istituzionale.
Il concetto di cessione è cosa ontologicamente diversa dalla limitazione, e semmai la ricomprende come elemento di effetto caratterizzante.
La cessione implica un atto di disposizione di un privilegio, di un diritto o di una prerogativa, con il quale un determinato soggetto giuridico si spoglia del proprio diritto in favore di un altro soggetto.
Da questa attribuzione, e per effetto di questa attribuzione, deriva una limitazione del soggetto cedente relativamente al diritto ceduto.
Poiché lo Stato è un organismo originario, mentre le limitazioni alla sovranità del popolo rappresentano una scelta operata in seno all’Assemblea Costituente, e quindi rientrano nel patto sociale originario formulato nella disciplina costituzionale che lo descrive, la cessione della sovranità relativamente a determinati settori ed ambiti costituisce un atto di disposizione successivo.
La questione rilevante diventa quella di stabilire quale organo istituzionale, in base a quale potere e con quale delega rappresentativa, può effettuare questa cessione di sovranità.
Gli articoli 80 e 87 della Costituzione stabiliscono rispettivamente l’uno che “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri delle finanze o modificazioni di legge” e l’altro che “Il Presidente della Repubblica….. omissis….. accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere”.
Ci viene subito da considerare che per la limitazione della sovranità (che ridefinisce un nuovo perimetro del patto sociale tra Stato e cittadini) è necessaria la manifestazione espressa della volontà in tal senso, aderendo a quanto previsto dall’art. 138 Cost. per il procedimento di revisione della Costituzione e delle leggi costituzionali.

Confrontando quanto sopra espresso, ben si comprende che le decisioni relative alla cessione della sovranità dello Stato italiano in determinate materie sono state assunte in palese difformità rispetto alle procedure di revisione previste.
In Italia, infatti, l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione dei Trattati istitutivi delle Comunità europee (come anche di tutti quelli modificativi) sono stati dati con legge ordinaria, non costituzionale, essendo difficile l’adozione di quest’ultima a causa di una forte opposizione ostile, all’epoca, all’integrazione europea (legge 25 giugno 1952 n. 766 di ratifica ed esecuzione del Trattato CECA, legge 14 ottobre 1957 n. 1203 di ratifica ed esecuzione del Trattato CEE e del Trattato CEEA; infine, il Trattato di Lisbona del 2007 è stato ratificato ed eseguito in base alla legge 2 agosto 2008 n. 130).


E’ pertanto lecito chiedersi chi in Italia ha ridefinito il patto sociale Stato/cittadini, chi ha disposto di parte della sovranità, e con quale legittimazione e copertura sono state effettuate queste operazioni. La sentenza della Corte Costituzionale n. 14 del 1964 caso Costa c/ Enel, che ha trovato fondamento nell’art. 11 della Costituzione per l’affidamento dell’adesione ai trattati avvenuta con legislazione ordinaria, nonché la tardiva modifica del titolo V della costituzione, e segnatamente dell’art. 117, non sono valsi a sopire del tutto le polemiche ed i dubbi legati ad un’iniziativa che ha ampiamente eluso i vincoli posti a garanzia del mantenimento della sovranità.

Le caratterizzazioni della sovranità dello Stato italiano

Quali implicazioni ha comportato per lo Stato Italiano la cessione di una parte della propria sovranità relativamente alle materie previste dal TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) negli art. 3 per la competenza esclusiva, e 4 per la competenza concorrente?
Le materie di competenza conferiscono all’Unione Europea un potere normativo e regolamentare, relativamente alle stesse, che vincola tanto lo Stato quanto direttamente i cittadini (come espresso dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 6/64 Costa c/ Enel e 26/62 VanGend &Loos).
Nei contenuti delle varie materie attribuite, di fatto l’Unione Europea partecipa alla vita dello Stato che ne entra a far parte.
Pertanto, relativamente alla sovranità ceduta, i contenuti, a seconda dei singoli Stati che prendiamo in considerazione, hanno una specifica valenza sia di carattere qualitativo sia di carattere quantitativo.
Da un punto di vista qualitativo l’Italia vanta un retaggio storico, culturale, artistico, giuridico e naturalistico-ambientale che non ha eguali non soltanto nell’ambito europeo, ma nell’intero panorama mondiale.
Da un punto di vista quantitativo lo Stato Italiano offre la centralità strategica nel Mediterraneo e nell’Europa, crocevia di scambi commerciali, culturali e turistici, un patrimonio artistico ed archeologico che racchiude circa il 70% del patrimonio mondiale, perno nevralgico nello scenario internazionale per il collegamento con l’est Europa, l’area mediorientale ed il nordafrica, nonché la terza riserva aurea del pianeta con 2452 tonnellate d’oro custodite (sul punto bisognerebbe aprire una riflessione,dopo che nel 1999 sono state conferite alla BCE 141 tonnellate d’oro. Attualmente la dislocazione delle risorse auree è la seguente: 1100 tonnellate depositate presso la sede della Banca D’Italia in Roma, via Nazionale n. 91; 1061,5 tonnellate depositate negli Stati Uniti; 149,3 tonnellate depositate in Svizzera; 141,2 tonnellate depositate nel Regno Unito ), dietro rispettivamente a Stati Uniti e Germania.


Appare evidente che è stato, e continua a rimanere, maggiore l’interesse dell’Europa ad acquisire l’ingresso in Italia piuttosto che l’inverso.
Avere accesso alle prerogative, ed alle specificità italiane, significa acquisire il ruolo di protagonista nello scenario mondiale, ed avere accesso alle ricchezze in essa contenute, ricchezze che potremmo definire più di dotazione che di produzione, e pertanto destinate a perdurare nel tempo.
In considerazione di queste oggettive circostanze, ancora oggi siamo a chiederci come sia stato possibile obbligarci a staccare il biglietto di ingresso in Europa a condizioni così penalizzanti (con il cambio euro/lira pari a 1=1936,27), e come sia stato possibile successivamente a tale ingresso consentire una sistematica ed inesorabile spoliazione di ogni forma di ricchezza e di patrimonio appartenente al popolo italiano, compresi da ultimo i beni/rifugio costituiti dai risparmi e dalla casa di proprietà.
Tutto è accaduto per assecondare politiche finanziarie, commerciali, e produttive dettate dalle multinazionali, alle quali la nostra inadeguata ed impreparata classe politica, non ha saputo opporsi.
I cittadini italiani, oggi più che mai, sono consapevoli del fatto che grazie alle ricchezze naturali, storiche, artistiche e culturali del loro territorio, avrebbero dovuto vivere e prosperare con la commercializzazione turistica e culturale delle loro ricchezze.
Ed invece, grazie alla inadeguatezza ed alla incapacità della politica interna di imporsi sul piano internazionale e di sottrarsi al guinzaglio comunitario, lo Stato italiano sta dilapidando le proprie fortune e dotazioni in spregio alla volontà sovrana del proprio popolo.
La situazione dello Stato Italiano che dilapida le proprie fortune, ci riporta alla memoria la figura del prodigus del diritto romano, la cui capacità di agire era ritenuta del tutto mancante.
Tale situazione di depauperamento e spoliazione è nettamente avvertita dai cittadini comuni i quali da padroni di casa si sono trasformati in ospiti in casa propria.

L’imposizione normativa comunitaria

L’impatto e gli effetti dell’adesione dell’Italia all’Unione Europea ci sono chiari nel momento in cui prendiamo coscienza dei contenuti dell’articolo 288 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) che stabilisce espressamente:
Per esercitare le competenze dell’Unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri.
Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi.
La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi.
Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti”
.
Come si può facilmente capire, i contenuti di questa disposizione normativa (completati dai contenuti degli articoli 2, 3, 4, 5 e 6 del TFUE che definiscono i settori di competenza esclusiva e quelli di competenza concorrente, e completati dalle disposizioni dell’articolo 5 del TUE che delimita le competenze dell’Unione Europea fondandole sul principio di attribuzione, e delimitando l’azione della stessa Unione Europea nelle materie non di competenza secondo i principi di sussidiarietà e proporzionalità) ci indicano che nelle materie non soltanto di competenza esclusiva dell’Unione Europea, ma anche quelle di interesse comune per la realizzazione ed il raggiungimento degli obiettivi comuni, le fonti normative ormai si trovano al di fuori dello Stato e la produzione normativa viene direttamente erogata nel sistema giuridico statale, travolgendo tutte le disposizioni normative interne allo Stato ed esistenti in conflitto, ed adeguando progressivamente il sistema giuridico “ricevente” (quello statale) con un processo che è al tempo stesso di erosione e di modellamento del sistema statale a quello comunitario.
Come già evidenziato, già da un punto di vista interno il diritto alla tutela giudiziaria costituzionalmente previsto dall’art. 24 Cost. è stato ampiamente svuotato dai suoi contenuti, ostacolando in ogni modo l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini con l’esponenziale aumento dei costi di giustizia, e con l’introduzione di filtri che di fatto vanificano i contenuti normativi e precettivi delle disposizioni vigenti, facendo risultare di fatto impossibile il conseguimento della piena tutela giudiziaria. Ciò è avvenuto in nome di principi di economia processuale, deflazione del carico giudiziario e funzionalità della macchina della giustizia, per effetto dei quali il diritto alla tutela giurisdizionale (ovvero il fine per il quale esiste il potere giurisdizionale) è destinato a soccombere per garantire la sopravvivenza degli apparati di giustizia, per un’autosussistenza priva ormai del conseguimento dello scopo istituzionale.
Ancor più, in questo scenario, il diritto soggettivo e l’interesse legittimo sono destinati a maggior ragione soccombere e annegare dall’imposizione dell’interesse comunitario che è addirittura prevalente rispetto a quello statale.
Già nel nostro sistema interno, i fenomeni di elefantiasi burocratica ed amministrativa hanno frenato ogni velleità di iniziativa imprenditoriale e privata competitiva, azzoppando le capacità commerciali del nostro Paese; l’inefficienza giudiziaria e le disfunzionalità dei sistemi di tutela hanno, poi, dato il colpo di grazia ad ogni possibile paragone o allineamento con i sistemi appartenenti ad altri Stati.
Le norme comunitarie hanno avuto la capacità di far percolare nel nostro ordinamento principi normativi e giuridici che non appartengono al nostro tessuto socio-culturale, e che producono l’effetto di estraniarci ulteriormente dal contesto in cui viviamo.
Una volta introdotte nel nostro ordinamento, al fenomeno di “erosione dall’esterno” originato dalla diretta cessione di sovranità su determinate materie, si aggiunge il fenomeno erosivo interno, originato dall’adozione nel diritto interno di norme e principi comunitari che risultano direttamente applicabili.
Lo Stato subisce, quindi, modificazioni irreversibili per effetto delle quali il soggetto principale titolare del diritto alla sovranità, e destinatario delle tutele previste dal patto sociale, diviene invece lo strumento col quale l’organismo sovranazionale garantisce la propria autosussistenza, invertendo i termini di tutela del patto sociale stesso: è il popolo nazionale a garantire gli interessi ed il funzionamento dell’organismo sovranazionale ed i raggiungimento dei suoi obiettivi che, sovente, divergono ampiamente dalle esigenze espresse in sede nazionale.
Purtroppo è questo il drammatico effetto di quello che possiamo definire il nuovo diritto liquido, che siamo destinati a subire quale conseguenza del funzionamento dei meccanismi comunitari.

La tutela dei diritti nella democrazia dispersiva

Il quadro risulta essere particolarmente drammatico in relazione al concreto funzionamento dei principi di democrazia nell’ambito comunitario, e delle ripercussioni di tali principi sui singoli individui.
Il numero di eurodeputati eletti da ciascun paese dell’UE viene concordato prima di ogni elezione, ed è basato sul principio della proporzionalità degressiva, secondo cui un eurodeputato di un paese più grande rappresenta più cittadini rispetto a un eurodeputato di un paese più piccolo. Il numero minimo di eurodeputati per qualsiasi paese è 6 e il numero massimo è 96 (fonte Parlamento Europeo). L’Italia per le elezioni del 2024 disporrà di 76 eurodeputati, contro i 96 della Germania e gli 81 della Francia. Gli eurodeputati saranno, a questa tornata elettorale, in tutto 720 per 27 Paesi dell’Unione.
In questo contesto, su 448,4 milioni di abitanti nell’Unione Europea, sono chiamati al voto circa 359 milioni di elettori; in Italia parteciperanno al voto circa 47 milioni di elettori.
Si può facilmente comprendere come, nel frazionamento dei voti e degli interessi espressi dai cittadini dei singoli Paesi, l’apporto decisionale per le specifiche situazioni nazionali e territoriali sia destinato a soccombere davanti a quelli che verranno definiti “interessi comuni” o maggioritariamente prevalenti.
In aggiunta agli aspetti sopra rappresentati, occorre considerare che già attualmente, nel sistema di rappresentatività democratica interna, i cittadini elettori vivono una concreta emarginazione dalla partecipazione alle scelte ed agli indirizzi della politica, e quasi mai vedono rappresentati in Parlamento i loro interessi concreti.
La confluenza delle scelte e degli indirizzi politici nelle istituzioni europee ha notevolmente peggiorato questo aspetto, e l’interesse ed il diritto del singolo cittadino elettore viene annegato e disperso nel prevalente interesse delle scelte comunitarie sovranazionali.
La tutela del cittadino europeo è disciplinata dall’art. 24 del TFUE, che prevede il diritto di petizione ed il diritto di rivolgersi al mediatore, secondo le procedure previste dai successivi articoli 227 e 228 dello stesso TFUE.
Possiamo agevolmente renderci conto che se per il comune cittadino è già difficile far valere le proprie ragioni davanti agli organi giudiziari, o amministrativi, del diritto interno, tanto da percepire nettamente la vessazione delle procedure da azionare e dei costi da sostenere e la frustrazione legata al mancato raggiungimento del risultato della tutela, tanto più evidente e vessatorio risulterà il confronto con le norme comunitarie, di fronte alle quali il diritto del singolo perde i punti di ancoraggio ed i meccanismi di tutela che trovava disponibili nel diritto interno.
Questa dispersione dei diritti del singolo nell’ampliamento democratico della “europeizzazione” spinge il riconoscimento dei diritti soggettivi verso le enunciazioni di principio tipiche della declinazione dei diritti fondamentali. Enunciazioni di principio che restano prive di tutela effettiva, proprio perché relative a principi così generali e generalizzati, da poter essere tutelati solo nel caso di violazione non nei confronti del singolo individuo, ma nei confronti di una collettività.
Assistiamo inoltre ad un altro curioso fenomeno: nel panorama interno, la politica e le istituzioni si rendono conto che per tutelare i diritti dei singoli è necessario localizzare sul territorio l’esigenza specifica ed affrontarla con strumenti ad hoc. Per questo motivo si sono sviluppate le competenze delle autonomie regionali e locali e si registra una spinta al federalismo, nell’ottica di valutare nel contesto specifico le esigenze da affrontare e fornire, conseguentemente, gli specifici rimedi necessari e ritagliati su quella particolare esigenza.
Al contrario, in ambito comunitario si assiste ad un progressivo accentramento delle politiche, nel tentativo di conferire il carattere di uniformità agli interventi, in spregio alle esigenze specifiche locali e territoriali. Tendenza questa che allontana ancor di più le istituzioni comunitarie dalle esigenze dei cittadini.

EP Plenary session.- SOTEU 2022 – State of the Union speech

Conclusioni

Soltanto esaminando il percorso compiuto, la direzione seguita dal punto di partenza, e l’esame del nostro cammino, possiamo capire l’obiettivo da raggiungere.
Il percorso seguito dall’Italia appare segnato da elementi significativi che ne hanno progressivamente svuotato le ricchezze economiche, la capacità produttiva, la capacità di risparmio, l’iniziativa imprenditoriale, il peso sullo scenario internazionale, la capacità di difesa dei propri confini interni ed esterni, la capacità e l’efficienza istituzionale, e molti altri aspetti che sarebbe troppo lungo elencare in questa sede.
Il bilancio è dunque palesemente deficitario, e dalle ultime direttive ed indicazioni comunitarie sembrerebbe destinato a peggiorare ulteriormente.
Credo che sia giunto il momento di prendere piena consapevolezza delle risultanze di un’analisi oggettiva che ci suggerisce già da tempo di riprendere in mano il timone per evitare di incorrere in un disastroso naufragio che consegnerebbe il carico di tesori al primo degli avventurieri in attesa.

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