Home ECONOMIA Pensioni, quanto pesa la denatalità: ecco i dati Istat.

Pensioni, quanto pesa la denatalità: ecco i dati Istat.

Ci sono sempre più pensionati, si allunga il tempo medio di percezione degli assegni e diminuiscono i contributi versati da chi lavora.

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Sono i dati, in particolare quelli forniti dall’Istat, a spiegare quanto pesa la denatalità sulla sostenibilità delle pensioni. Il riferimento fatto dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti durante il suo intervento al Meeting di Rimini, “nessuna riforma delle pensioni può tenere con i numeri della denatalità che abbiamo oggi”, rimanda ai numeri e alle proiezioni che descrivono le conseguenze dello squilibrio demografico. Il Rapporto annuale 2023, nel dettaglio, fotografa una situazione in progressivo peggioramento: calano le nascite, sale il numero di over 65 in rapporto alla popolazione, diminuiscono gli individui in età attiva e più giovani. Gli effetti sulla tenuta del sistema previdenziale sono consequenziali: ci sono sempre più pensionati, si allunga il tempo medio di percezione della pensione e diminuiscono i contributi versati da chi lavora. Il risultato è un sistema che, in prospettiva, non può reggere.

Le nascite continuano a diminuire

Nel primo quadrimestre 2023 le nascite (118mila unità) continuano a diminuire: -1,1 per cento sul 2022, -10,7 per cento sul 2019. Il 2022 si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite (393mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400mila). Dal 2008, anno di picco relativo della natalità, le nascite si sono ridotte di un terzo.

Da cosa dipende il calo delle nascite

Il calo delle nascite tra il 2019 e il 2022 (27mila unità in meno) dipende per l’80% dal cosiddetto ‘effetto struttura’, ovvero dalla minore numerosità e dalla composizione per età delle donne. Il restante 20 per cento è dovuto, invece, alla minore fecondità: da 1,27 figli in media per donna del 2019 a 1,24 del 2022. L’evoluzione di periodo del numero medio di figli per donna in Italia continua a essere fortemente condizionato dalla posticipazione della genitorialità verso età più avanzate. L’età media al parto per le donne residenti in Italia, aumentata di un anno dal 2010 al 2020, è stabile negli ultimi due anni e pari a 32,4 anni.

Prosegue il processo di invecchiamento della popolazione

Nonostante l’elevato numero di decessi di questi ultimi tre anni, oltre 2 milioni e 150mila, di cui l’89,7 per cento riguardante persone con più di 65 anni, il processo di invecchiamento della popolazione è proseguito, portando l’età media della popolazione da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023. La popolazione over 65 ammonta a 14 milioni 177mila individui al 1° gennaio 2023, e costituisce il 24,1 per cento della popolazione totale. Tra le persone ultraottantenni, si rileva comunque un incremento, che li porta a 4 milioni 530mila e a rappresentare il 7,7 per cento della popolazione totale. Il numero stimato di ultracentenari raggiunge il suo più alto livello storico, sfiorando, al 1° gennaio 2023, la soglia delle 22 mila unità, oltre 2 mila in più rispetto all’anno precedente. Gli ultracentenari sono in grande maggioranza donne, con percentuali superiori all’80 per cento dal 2000 a oggi. Gli scenari demografici prevedono un consistente aumento dei cosiddetti “grandi anziani”. Nel 2041 la popolazione ultraottantenne supererà i 6 milioni; quella degli ultranovantenni arriverà addirittura a 1,4 milioni.

Diminuiscono individui in età attiva e i più giovani

Risultano in diminuzione tanto gli individui in età attiva, quanto i più giovani: i 15-64enni scendono a 37 milioni 339mila (sono il 63,4 per cento della popolazione totale), mentre i ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334mila (12,5 per cento). Al 1° gennaio 2023 si registrano 117,9 anziani di 65 anni e più ogni 100 giovani di 15-34 anni (erano 70,5 al 1° gennaio 2002).

Fabio Insenga

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