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Oltre 16mila violenze ai sanitari, arrivano i corsi di difesa.

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lunedì, Aprile 21, 2025

Contro l’emergenza delle aggressioni a medici e infermieri c’è chi istruisce il personale ospedaliero attraverso corsi di difesa personale: è il caso del Policlinico Umberto I di Roma, dove il tema è talmente sentito da diventare anche argomento di una tesi di laurea.

Intanto l’Istituto Superiore di Sanità annuncia la nascita di un progetto europeo di contrasto alle violenze in corsia: si chiama Brawe-Wow, coinvolgerà anche l’Italia e si avvarrà dell’aiuto dell’Intelligenza Artificiale. E che occorre mettere in campo attività mirate lo dimostrano i numeri: nel 2023, nelle strutture italiane, ricorda l’Iss, sono stati segnalati oltre 16mila episodi di aggressione nelle strutture sanitarie pubbliche italiane che hanno interessato circa 18mila persone, ma si tratta solo delle denunce emerse.

Le infermiere sono le vittime più frequenti, mentre tra i luoghi più esposti vi sono i pronto soccorso e unità psichiatriche. Al Policlinico Umberto I di Roma già da mesi si praticano, su base volontaria, corsi di autodifesa tenuti da esperti esterni, dove si insegna a mettersi in sicurezza, senza recare danno a chi si ha di fronte. Le lezioni prevedono una parte teorica, che sensibilizza a captare la violenza sul nascere e a mettere in atto tecniche di de-escalation dell’aggressività, e una parte di addestramento.

“Abbiamo già riscontri dal personale che ha usato le tecniche insegnate”, afferma il professore Giuseppe La Torre, direttore della Scuola di specializzazione di Medicina del Lavoro dell’Università La Sapienza di Roma. C’è stato, ad esempio, il caso di un operatore, tirato per i capelli, che è riuscito in poche mosse a bloccare l’aggressione. “L’obiettivo del corso è difendersi e scappare, senza far male”, spiega l’istruttore Adolfo Bei, docente di discipline del combattimento presso l’Università di Cassino e istruttore in palestre e ospedali. Il tema delle aggressioni ai sanitari è finito anche al centro di una recente tesi di laurea magistrale in Scienze delle professioni sanitarie della prevenzione. A scriverla Beatrice Bottini, ora giovane neolaureata, medico assistente sanitario.

Il ciclo dell’aggressività, spiega, ha una curva conosciuta: si comincia a livello verbale e può proseguire con la minaccia e la violenza fisica. Le tecniche di de-escalation devono intervenire subito. Dalla tesi è emerso che una parte dei sanitari, seppur minoritaria, concepisce ancora la violenza come “normale” (funzionale, anziché disfunzionale, come dovrebbe essere) all’interno di una situazione di stress come può essere quella in un nosocomio. La normalizzazione delle aggressioni è la stessa dei casi di violenza domestica e di genere. Laddove si normalizza una situazione violenta, la stessa viene accettata, compresa, non denunciata. 

C’è poi anche qui un divario di genere per le aggressioni in ospedale, perché le donne sono più esposte rispetto ai colleghi. Beatrice Bottini racconta di sentirsi più a rischio in quanto donna, ovunque e specialmente in una struttura sanitaria. Nonostante la giovane età, ha assistito ad episodi di violenza e aggressività verbale: nel suo caso è accaduto nel periodo Covid, in un’altra struttura sanitaria, durante la somministrazione dei vaccini.

Il problema delle aggressioni in ospedale riguarda anche il resto d’Europa ed infatti del nascente progetto Brave-Wow, oltre all’Italia con dieci ospedali sul territorio, ne faranno parte Portogallo (Paese capofila), Spagna e Slovenia. L’obiettivo è trovare anche strategie, protocolli, metodi e strumenti di lavoro comuni contro l’emergenza delle aggressioni ai sanitari.

Fonte: ansa.it

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