Home Cronaca Nathan Labolani scambiato per un cinghiale: ucciso

Nathan Labolani scambiato per un cinghiale: ucciso

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L’uomo che tremava non ha ancora un nome, anche se tutti sanno come si chiama. È un operaio di 29 anni, vive e lavora a Ventimiglia. Due mesi fa ha rinnovato per la terza volta il patentino per la caccia al cinghiale. Quella di ieri era la sua prima battuta stagionale. Alle 8 del mattino la sua squadra, Camporosso 137, è arrivata alle porte di Apricale. Nel bosco che dalle pendici al fondo copre tutta la montagna, all’altezza di Villa Margherita, una storica dimora oggi trasformata in bed and breakfast, c’è la piazzola dove si appostano i cacciatori, completamente coperta dalla vegetazione, che oscura anche il sole. L’attesa è durata dieci minuti. G.I. ha sentito un rumore, ha lanciato il richiamo senza ottenere risposta, così raccontano i suoi compagni. E ha sparato. Un colpo solo. Il fucile è un carabina Winchester calibro 300 caricata con cartucce a lunga distanza per la caccia a cinghiali e altri ungulati.

L’uomo che piangeva si chiama Enea Labolani ed era il padre di Nathan. Suo figlio era uscito di casa alle 7 con Pippo e Masha, i suoi cani. Alla fine del prossimo mese avrebbe compiuto 19 anni. Sul suo profilo Facebook alla voce «Ha lavorato» aveva scritto «A non fare un c…». Ma non era vero. Subito aveva aggiunto «muratore», e molto altro ancora. Lavorava un sacco. Nell’azienda agricola fondata dal nonno, era quello che faceva le consegne, olio per i clienti da Ventimiglia a Imperia, legna per i ristoranti con il forno e nelle case private. È stato colpito a distanza quasi ravvicinata. Non più di venti metri, secondo i carabinieri. Alla schiena. I primi ad accorrere sono stati l’operaio di Ventimiglia e il cacciatore che faceva coppia con lui. Le urla, le bestemmie, la disperazione, i pianti e i vigili del fuoco e il 118, l’elisoccorso da Cuneo che ha calato quattro medici in quella zona impervia. Tutto inutile.

«Aveva diciotto anni, punto». Siamo saliti ad Apricale anche per provare a raccontare chi era e cosa faceva la vittima di questa tragedia così priva di senso. Era nato e cresciuto qui, la sua famiglia è una delle più antiche del paese. Nel negozio del nonno, all’inizio della salita che porta alla piazzetta, sono esposti come trofei gli attrezzi contadini del passato, la defogliatrice degli anni Trenta e macchina per raccogliere le olive del 1950. Non sognava di andare via, gli bastava quello che aveva, un lavoro, un futuro sicuro. Ma ha ragione Nancy, la barista dell’Apricus, uno dei due bar di questo borgo famoso in tutto il mondo per la sua bellezza. Una volta scoperto che tifava Juventus e aveva una moto da Enduro, faceva il volontario alla Protezione civile, andava ogni tanto per funghi, la sostanza non cambia con i dettagli. Quello che Nathan Labolani era e sognava di essere, ora non è più.

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