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La valorizzazione dei borghi e degli insediamenti rurali come strumento per il riequilibrio e la coesione territoriale.

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venerdì, Aprile 19, 2024

Architetto, lei che da tempo è impegnato nella definizione e implementazione di strategie e politiche di sviluppo urbano integrato e sostenibile, come valuta la diffusa opinione secondo cui l’attuale pandemia avrebbe ulteriormente messo in evidenza gli impatti negativi dei crescenti fenomeni di urbanizzazione, che molti al contrario avevano ritenuto paradigma inevitabile dello sviluppo demografico ed economico?

Il fenomeno dell’urbanizzazione è stato assunto come inevitabile, a partire dai principi enunciati quasi un secolo fa nella ‘Carta di Atene’ (1931), e successivamente accettato dalle principali agenzie di sviluppo internazionali, tra esse UN-HABITAT, le cui proiezioni relative al 2050, elaborate nel decennio scorso, prevedono urbanizzato il 70% dell’umanità (l’aggiornamento di dati e analisi porta tale percentuale a oltre l’80%). Solo di recente, a seguito della conferenza di Quito di UN-HABITAT del 2016, e dell’adozione dell’AGENDA ONU 2030 e la definizione dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (sustainable development goals), è stato avviato un profondo processo di riflessione.

Tra questi obiettivi, alcuni, soprattutto l’obiettivo n. 11: “Make cities inclusive, safe, resilient and sustainable forniscono indicazioni e direttive per un approccio integrato e una rinnovata visione dei processi di urbanizzazione. Le aree metropolitane sono tra le principali cause dell’uso smodato del suolo, della progressiva riduzione delle risorse naturali, dell’incremento dei fattori inquinanti responsabili dell’aumento della temperatura globale.

Quali sono a suo avviso gli impatti della pandemia sullo sviluppo urbano / territoriale?

A mio avviso, è opportuno avviare una nuova riflessione sui molti aspetti negativi dei processi di urbanizzazione, determinati da esigenze prettamente economiche e condizionati da istanze speculative, spesso senz’alcun rispetto per l’ambiente e la società. L’improvviso diffondersi, a causa della attuale emergenza pandemica, di nuove tecnologie e modalità quali: home-working, educazione a distanza, telemedicina, acquisti online, etc., ha accelerato in modo esponenziale processi che si prevedeva si sarebbero avverati in un arco temporale di 15/20 anni. Questi cambiamenti influiscono profondamente sull’intero schema della vita quotidiana di ciascuno di noi e sono destinati a persistere nel tempo.

Le motivazioni sanitarie, la necessità di disporre di alloggi più grandi, maggiori spazi verdi, luoghi di aggregazione accessibili e quant’altro, stanno spingendo, in tutto il mondo, quote crescenti di ‘cittadini’ ad allontanarsi dai grandi centri urbani. La possibilità di risiedere ovunque, grazie agli avanzamenti tecnologici, rappresenta un’opportunità unica per una rivalutazione del ruolo dei borghi e dei centri rurali quali poli di aggregazione sociale che possono offrire migliore qualità di vita.

Quali rilevanza ha assunto o potrebbe assumere tale orientamento per l’Italia?

L’Italia dispone di un numero assai rilevante di centri e borghi, di cui oltre 5800 con meno di 5000 abitanti, e potrebbe avviare in tempi brevi una riduzione sostanziale dei fenomeni di urbanizzazione, favorendone il recupero, l’adeguamento e la rivitalizzazione attraverso la riduzione dell’attuale gap nell’accessibilità e nei servizi rispetto alle grandi agglomerazioni urbane.

Si tratta di avviare un profondo cambiamento dell’intero modello di sviluppo territoriale, non solo per gli aspetti insediativi, ma anche per quelli ambientali, sociali, economici, infrastrutturali, produttivi, turistici. Occorre quindi un approccio olistico con la partecipazione di tutti gli attori per gestire e direzionare una domanda crescente. In questa prospettiva, appare prioritario valorizzare gli elementi specifici delle risorse delle singole realtà territoriali, per attivare una strategia di crescita di lungo periodo che includa agricoltura, artigianato, tecnologia avanzata e ogni attività legata alla cultura e alla tradizione locale. Un tale approccio consentirebbe anche di superare gli squilibri tra piccoli centri, borghi e aree rurali circostanti, che verrebbero considerate un ‘unicum’ strettamente complementare da tutelare.

Lei ha sottolineato in alcuni suoi scritti la necessità di approfondire caso per caso la conoscenza di una molteplicità di componenti quali, da un lato, ecosistema, flora, fauna, regime idrico, dall’altro, risorse storiche, archeologiche, artistiche, architettoniche, industriali, agricole, commerciali e sociali. Il rinnovato uso delle aree rurali e una loro manutenzione permanente ridurrebbero infatti anche i rischi di disastri naturali.

Sì, certo, e queste sono le ragioni dell’iniziativa ‘Pagus – Program Alternative Growth Urban Settlements’, una proposta per avviare un’azione comune di revisione del modello insediativo ai fini della rivitalizzazione delle aree marginali presenti in tanti paesi europei. Per realizzare le richieste modifiche sostanziali nell’assetto territoriale a scala nazionale e regionale, è necessario un grande sforzo operativo congiunto a tutti i livelli e in tutte le fasi, dalla programmazione alla progettazione all’implementazione e alla gestione nel tempo. I soggetti beneficiari finali, ossia i borghi e i centri minori, devono essere gli attori fondamentali, ma, data la carenza di tecnici e personale qualificato, hanno bisogno del supporto delle amministrazioni regionali e nazionali e anche di investimenti in partenariato con il settore privato, in un quadro di chiara definizione di competenze e responsabilità.

In effetti, anche si dovesse considerare inevitabile il processo di urbanizzazione, sarebbe ancora possibile varare e attuare misure volte a ridurne gli effetti negativi su clima, biodiversità, uso del suolo e risorse naturali, rafforzando il ruolo dei borghi e centri rurali in modo tale da evitarne l’abbandono e rendendoli anzi attrattivi per nuovi residenti permanenti. Per attivare queste complesse azioni, che coinvolgerebbero molte autorità e avrebbero implicazioni in una molteplicità di settori – lei parla di ambiente, agricoltura, beni culturali, infrastrutture, educazione – sarebbe necessario disporre di un preciso e dettagliato quadro giuridico- normativo.

Sì, e in Italia già vi sono diverse leggi e piani che possono essere utilizzati, come la Strategia Nazionale delle Aree Interne – SNAI, la Legge sui Borghi (misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli Comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi Comuni – L. n. 158 del 6 ottobre 2017), ma anche la Legge Banda Larga, il Piano Sud 2030 – Sviluppo e coesione per l’Italia, i Piani nazionali scuola digitale, etc. Peraltro, tali leggi e piani andrebbero implementati evitando dannose sovrapposizioni, nell’ambito di un quadro legislativo chiaro e completo e di una programmazione complessiva di riferimento. Sarà compito delle amministrazioni locali sviluppare i singoli interventi e progetti, ma è indispensabile che tali amministrazioni dispongano di risorse tecniche e umane adeguate e porre rimedio alle loro attuali carenze strutturali.

Architetto, lei che ha sempre seguito un approccio olistico non solo tecnico, ma anche economico-finanziario, a quali risorse finanziarie pensa si potrebbe attingere?

Le risorse disponibili sono collegate alle diverse leggi che indicavamo e sarebbe quindi opportuno definire una governance nazionale con eventuali interventi ad integrazione del vigente quadro normativo attraverso la creazione di un ‘Laboratorio’ o ‘Osservatorio’ ad hoc e l’eventuale istituzione di un’apposita Agenzia o Cabina di Regia.

Inoltre, ribadisco, per accedere ai finanziamenti, nelle tempistiche ravvicinate richieste, le amministrazioni dei piccoli centri devono poter disporre di adeguate risorse umane. A quest’esigenza si potrebbe far fronte con la costituzione di un apposito Fondo nazionale in grado di finanziare la formazione del personale tecnico / amministrativo indispensabile per l’implementazione delle varie azioni.

Si propone quindi di costituire un ‘Laboratorio’ ad-hoc sul tema della riduzione degli squlibri aree urbane e centri minori, che elabori proposte integrate di intervento analizzandone i principali aspetti (socio-economici, ambientali, patrimoniali, infrastrutturali, legislativi etc.), al fine di individuare gli opportuni strumenti operativi e ottimizzare il ricorso alle fonti di finanziamento esistenti, per lo più settoriali e scollegate tra loro.

L’occasione rappresentata dai finanziamenti europei per il prossimo periodo 2021-2027 è unica e da non perdere. Con l’obiettivo di un’Europa più ecologica, digitale e resiliente, sono state messe in campo risorse imponenti con il Quadro finanziario pluriennale – QFP,il Piano per la Ripresa / Next Generation EU, il Programma quadro dell’UE per la ricerca e l’innovazione (Horizon Europe), lo Strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza (SURE), etc. Destinare una percentuale congrua delle quote italiane a un’azione di riequilibro territoriale attraverso la rivitalizzazione dei centri minori è senz’altro possibile. Occorre delineare le linee guida prioritarie, considerando che si tratta di interventi di carattere strategico nell’ambito delle politiche e delle direttive UE.

I finanziamenti europei e i finanziamenti pubblici nazionali potrebbero inoltre attivare con un effetto leva rilevanti investimenti privati in molteplici settori, attraverso progetti public-private partnerships (PPP) nei settori infrastrutture, reti energetiche e tecnologiche, adeguamento sismico ed energetico degli edifici, servizi e interventi ambientali, etc., con un rilancio di forme di stretta collaborazione fra tutti gli attori ai vari livelli.

Architetto, anche tenendo conto di un suo articolo su: Urbanization and Sustainability after the Covid-19 Pandemic (pubblicato nell’International Journal of Social Quality) che ho trovato di grande interesse, vorrei chiederle: quale metodologia ritiene possa consentire di utilizzare al meglio le risorse finanziarie al momento potenzialmente disponibili?

È indispensabile adottare un approccio integrato come il Social Quality Approach – SQA, elaborato a partire dagli anni’ 90, volto a superare la frammentazione delle attuali strategie mono – settoriali e che, a differenza di altri modelli, tende realmente a uno sviluppo territoriale equilibrato e sostenibile. La rivitalizzazione dei borghi rappresenta anzi un’opportunità per sperimentare gli strumenti del SQA nei tre campi della trasformazione delle complessità sociali, dei rapporti urbano-rurali, degli ecosistemi, tenendo conto dei profili relativi alle dimensioni socio-politica / giuridica, socio-culturale / assistenziale, socio-economica e socio-ambientale, oltre che degli indicatori relativi al benessere equo e sostenibile ( BES), all’interno di un quadro interdisciplinare in grado di armonizzare le tensioni esistenti tra lo sviluppo sociale in senso lato e quello meramente economico.

Attraverso quest’azione integrata sarà possibile dare un contributo rilevante al consolidamento degli abitanti nei borghi, nei centri minori e nei relativi territori marginali, ottemperando alle linee guida espresse dalla UE e alle indicazioni della SNAI.

Lei ritiene esistano le condizioni per realizzare quest’iniziativa, PAGUS, cui ha fatto riferimento?

Non è certo un’iniziativa facile, perché si tratta di rivedere i modelli di sviluppo sinora adottati o semplicemente considerati ineluttabili; ma la stessa Commissione Europea sta modificando le priorità delle sue politiche, con una maggiore attenzione alla protezione ambientale, alla valorizzazione del patrimonio culturale e al riequilibrio territoriale per uno sviluppo urbano / territoriale duraturo e resiliente, orientato al raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile affermati dall’Agenda 2030 e ribaditi dal Green Deal, da Next Generation UE e da tanti altri programmi internazionali ed europei.

L’Architetto Paolo Motta.

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