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La riforma delle pensioni è uno dei capisaldi della manovra.

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 La riforma delle pensioni con l’introduzione di «quota 100» è uno dei capisaldi della manovra. Fortemente voluto dalla Lega è il provvedimento che, abbinato al reddito di cittadinanza, ha condizionato l’impianto della legge di Bilancio, poiché richiede 3,9 miliardi di euro per il 2019, una dote destinata ad essere aumentata di ulteriori 1,3 miliardi nel 2020 e di 1,7 miliardi l’anno successivo, per un totale di 5,6 miliardi nel 2021.

Il meccanismo ormai noto è quello che consente di anticipare la pensione a chi combina il doppio requisito di 62 anni di età con 38 anni di contributi. Consentendo così un’uscita anticipata dal mondo del lavoro, che sarà al massimo di 5 anni rispetto alla pensione di vecchiaia, fissata a 67 anni di età. Il provvedimento tuttora non è pronto ed è destinato ad essere definito con un decreto legge nelle prime settimane di gennaio. La legge di bilancio riporta infatti solo i saldi delle risorse necessarie a finanziare l’operazione. Per chi deciderà di utilizzare quota 100 non ci saranno penalizzazioni, salvo il fatto che l’assegno pensionistico sarà inferiore in virtù del minore numero di anni di contribuzione. La norma conterrà però una serie di paletti. A cominciare dalle cosidette finestre. In pratica, una volta raggiunta quota 100 il primo assegno con la pensione verrà percepito dopo tre mesi, una dilazione che potrebbe salire fino a sei mesi se il numero di domande per anticipare l’uscita dal lavoro dovesse essere superiore alle stime. Nel caso dei dipendenti pubblici la finestra è comunque di sei mesi, per effetto del preavviso di tre mesi. Un ulteriore vincolo consiste nel divieto di cumulo, ossia l’impossibilità di sommare alla pensione altri redditi da lavoro che superino il valore di 5 mila euro lordi all’anno. Il divieto di cumulo avrà una durata pari agli anni di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia a 67 anni. In caso, per esempio, di uscita a 63 anni (4 anni in anticipo) non sarà possibile cumulare per 4 anni. Secondo le previsioni del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, nel 2019 dovrebbero essere 315 mila i lavoratori che andranno anticipatamente in pensione, ossia l’85% degli aventi diritto.

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