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Il ricordo di Paolo Borsellino, il magistrato al servizio dello Stato

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Riceviamo e Pubblichiamo

di Matteo Spagnuolo

Palermo e gli italiani ricordano oggi Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, uccisi 29 anni fa nella strage di via D’Amelio, sotto il palazzo dove all’epoca abitava la madre di Borsellino e la sorella Rita.

Con lui morirono uomini e donne al servizio dello Stato, lo stesso Stato che ad oggi deve ancora dare risposte concrete su un attentato che poteva essere evitato.

Nella coscienza e nella memoria di ognuno quella del 19 Luglio 1992 è una data drammatica, che resterà scolpita come testimonianza tangibile di un impegno comune nella lotta contro la mafia, una lotta capace di rinnovare la consapevolezza e la volontà di sradicare le mafie e la criminalità organizzata.

A causa del Covid-19 le varie iniziative organizzate nel resto d’Italia sono state dimezzate, tuttavia la necessità di ricordare uomini che hanno fatto la storia repubblicana è sempre impellente, al centro di ogni pensiero, tant’è che si desidera sempre di più arrivare ad una ricostruzione concreta dei fatti, poiché anche a distanza di 30 anni ancora la verità non è del tutto chiara.

Quanto è importante sensibilizzare l’umanità? Sensibilizzare l’umanità diventa un fatto umano, per certi versi non si deve per forza essere magistrati o uomini delle forze armate per servire lo Stato, basta semplicemente denunciare tutte quelle ingiustizie gravanti sulla quotidianità, a partire dalla famiglia, dai rapporti amicali e da quei clientelismi che offuscano l’immagine nitida delle persone oneste e ricolme di rettitudine.

Da non dimenticare l’importanza di alcune date al di là dell’effetto sconcertante, allorchè sia la morte di Borsellino che di Falcone hanno determinato una svolta epocale, un “no alla mafia” da parte delle città, dei borghi, dei paesini, delle località e della gente, che ha trovato la forza di ribellarsi a tutte quelle forme di stampo mafioso.

La risposta arriva dalla fede

Anche Papa Francesco denunciò le organizzazioni mafiose nel 2014 nella piana di Sibari, mettendo al centro della sua attenzione il binomio stato-mafia e si espresse così: “I mafiosi non sono in comunione con Dio”, un monito per riportare un clima di giustizia e bene tra l’umanità.

Anche i giovani hanno sentito il bisogno di creare una scala valoriale basata su una coscienza critica, sulla cultura dell’antimafia, forti del fatto che l’eredità lasciata da uomini morti a causa della mafia stessa abbia favorito l’incrementarsi di strumenti di contrasto di tutti quei fenomeni che attentano alla ricerca della verità.

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