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Il Progetto CISAS -‘Centro Internazionale di Studi avanzati su Ambiente, ecosistema e Salute umana’

Oggi la nostra rubrica ospita con piacere l'interessante intervista al Dottor Mario Sprovieri, Coordinatore del Progetto e Dirigente di Ricerca dell’Istituto per lo studio degli Impatti Antropici e Sostenibilità̀ in ambiente marino del Consiglio Nazionale delle Ricerche(IAS-CNR).

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Il Dottor Gianfranco Tamburelli.

Il Progetto CISAS “Centro Internazionale di Studi avanzati su Ambiente, ecosistema e Salute umana” è stato finanziato nel 2016 dal Ministero dell’Università e Ricerca attraverso il Fondo integrativo speciale per la ricerca – FISR, che supporta la realizzazione di specifici interventi di particolare rilevanza strategica, indicati nel Programma Nazionale delle Ricerche – PNR. Coordinato dal Dipartimento di ‘Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente’ del CNR e di durata quinquennale, il Progetto si è concluso ora, con la presentazione al CNR dei risultati delle ricerche svolte. Dott. Sprovieri, può illustrarci i principali obiettivi, le finalità di questo importante Progetto?

Certo, il Progetto CISAS, che ha utilizzato per intero il budget FISR di 6,5 milioni di euro, ha avuto come focus centrale lo studio dei fenomeni di inquinamento ambientale e dei meccanismi di trasferimento dei contaminanti nelle diverse matrici ambientali (acqua, aria, sedimenti, suolo), nonché l’impatto di tali contaminanti sull’ecosistema, con effetti rilevanti sulla biodiversità e la salute della persona in alcune aree particolarmente problematiche del nostro territorio. Tre dei 42 Siti di bonifica di interesse nazionale (Priolo, Milazzo/Pace del Mela e Crotone/Cerchiara) hanno infatti rappresentato una sorta di laboratorio naturale per le indagini e le attività di ricerca ad ampio raggio previste dal Progetto (dal settore della biogeochimica ambientale, all’epidemiologia eziologica e molecolare, alla biologia dei sistemi integrati, alla biomatematica, etc.).

È da tener presente al riguardo che il Progetto ha richiesto un ampio coinvolgimento del CNR, dell’Istituto Superiore di Sanità, di altri enti pubblici di ricerca (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – ENEA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ISPRA, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – INGV), di Università con competenze specifiche nei diversi ambiti di interesse, di alcune Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente – ARPA; complessivamente, oltre 150 esperti coinvolti nelle diverse discipline ambientali e sanitarie.

Sì, e questo è apparso evidente quando, lo scorso 3 dicembre, avete tenuto la giornata conclusiva del progetto alla presenza del Presidente del CNR Maria Chiara Carrozza e di numerosi rappresentanti di ministeri e enti pubblici di ricerca. Può spiegarci come le attività volte alla raccolta e all’analisi di dati sono state poste in relazione alle condizioni di salute delle popolazioni locali?

Un elemento di forte caratterizzazione del Progetto ha riguardato il design e la strutturazione di tre coorti di nascita, più precisamente un totale di più di 850 coppie bimbo-mamma arruolate su base volontaria nei tre siti indagati. Si è così seguito un metodo innovativo per lo studio dei meccanismi di esposizione all’impatto della contaminazione, che ha dato ottimi risultati.

Inoltre, l’utilizzo di nuovi biomarcatori d’effetto (per biomarcatori intendiamo molecole sentinella che consentono di rilevare e predire lo stato di salute in persone o popolazioni) in grado di misurare l’impatto delle diverse miscele di contaminanti su delicati sistemi di regolazione cellulare e metabolica, ha permesso di individuare fenomeni di interferenza specifica tra inquinanti e diversi comparti del metabolismo umano. I dati sono stati poi utilizzati per lo sviluppo di modelli biomatematici volti alla comprensione quantitativa dei processi.

Può rappresentarci questo percorso? Prendiamo ad esempio una delle tre aree da lei indicate, quella di Priolo, tornata in questi mesi sotto i riflettori dell’opinione pubblica per la persistente, pluridecennale difficoltà di porre in essere adeguate azioni di ripristino ambientale, economico e sociale.

Il SIN di Priolo è caratterizzato da una contaminazione storica che ha coinvolto tutte le matrici ambientali. Abbiamo studiato la distribuzione degli inquinanti e le modalità del loro trasferimento, attraverso il cibo, alla popolazione residente. Abbiamo quindi analizzato la presenza di un ampio numero di contaminanti nel sangue delle mamme e del cordone ombelicale per verificarne il passaggio dall’ambiente all’uomo.

Ancora, abbiamo studiato alcune molecole sentinella per verificare l’impatto dell’inquinamento sulla salute della coorte bimbo-mamma selezionata. I risultati hanno confermato un effetto significativo della miscela dei contaminanti presenti nell’ambiente sulla salute dei gruppi di persone coinvolte. I dati raccolti sono stati comunicati durante la fase di acquisizione alle autorità competenti e sono tutti in fase di pubblicazione. Sulla base di questo primo screening ad ampio spettro stiamo ora pianificando azioni di approfondimento per identificare e valutare con sempre maggior precisione effetti ed impatti dell’inquinamento ambientale sulla salute delle popolazioni residenti.

Molto chiaro. Quindi, il Progetto ha permesso di analizzare nel tempo e nello spazio un ampio spettro di fenomeni di impatto antropico di diversa natura e dimensione.

Sì, mi scusi se utilizzo un linguaggio un po’ ‘tecnico’, ma possiamo senz’altro affermare che il Progetto ha consentito di analizzare tali fenomeni dalla scala cellulare fino a spazi di chilometri quadrati, dalle rapidissime risposte dei sistemi biologici alle tempistiche che caratterizzano la cinetica di processi chimici e biochimici e la contaminazione decennale.

Sono stati inoltre esplorati approcci innovativi offerti dalla bioeconomia circolare per il recupero efficace e sostenibile di aree – come quelle considerate – caratterizzate da elevato rischio ambientale. Si pensi ad esempio alla creazione di impianti integrati di bioraffinerie già progettati e in fase di realizzazione avanzata nelle aree SIN di Gela e Taranto.

Immagino che tali attività abbiamo suscitato l’attenzione degli enti e delle popolazioni locali. Avete svolto anche attività di public awarenesse public engagement?

Le attività di public awareness facevano parte integrante, tutt’altro che secondaria, del Progetto. Numerosissime sono state le iniziative dedicate alla divulgazione e anche alla formazione, comprese iniziative concernenti comunicazione e governance del rischio; il tutto promuovendo un’ampia partecipazione pubblica, con esperienze significative di citizen science e di confronto con i responsabili delle decisioni.

Nelle vostre relazioni, è sottolineato come oltre alle attività di ricerca realizzate per lo sviluppo della conoscenza dei fenomeni che regolano le interazioni tra contaminanti nell’ambiente e salute dell’ecosistema e della persona, il CISAS sia stato rivolto alla definizione di metodi e strumenti per la soluzione di problemi di inquinamento che comportano gravi conseguenze socio-economiche e sanitarie. Può spiegarci meglio?

La ricerca scientifica ha rappresentato il fil rouge tra conoscenze e azione supportando approcci innovativi a soluzioni tecnologiche efficaci e moderne finalizzate alla mitigazione degli impatti e al recupero dei territori contaminati. Non solo, è stata prestata grande attenzione anche ai danni derivanti dal mancato utilizzo di porzioni significative del territorio del nostro Paese, questione opportunamente rilanciata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR, in particolare attraverso la Missione 2, su ‘Rivoluzione verde e transizione ecologica’ e gli investimenti per la bonifica dei c.d. siti orfani.

Può indicarci qualche proposta operativa da voi formulata sul tema, delicatissimo e strategico, ‘Ambiente e salute nelle aree a forte impatto antropico’?

Gliene indico molto volentieri due: i) un’azione più decisa per il controllo della filiera alimentare ed un controllo più efficace dei prodotti alimentari di origine locale che arrivano sul tavolo del consumatore; ii) un coinvolgimento pieno delle popolazioni residenti perché siano protagoniste di un futuro in cui salute e lavoro non rappresentino più contrapposizioni necessarie, ma combinazioni che puntano allo sviluppo sostenibile. Siamo stati poi coinvolti dal Ministero per la Transizione Ecologica – MiTE nella definizione dei valori di intervento relativi ai singoli contaminanti presenti nei sedimenti della rada di Augusta; tali valori (indicativi delle soglie di concentrazione ammissibili) rappresenteranno il punto di riferimento che, una volta superato, imporrà l’attivazione di azioni di bonifica specifiche.

Il Dottor Mario Sprovieri.

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