Riprendiamo la nostra analisi sul concetto di proprietà, percorrendo il tracciamento effettuato dalla sua origine alla formazione della società degli Stati moderni, avvenuta successivamente all’illuminismo ed alla rivoluzione francese.
Abbiamo visto che la proprietà privata trovava originariamente fondamento in una attribuzione connessa alla posizione ed al censo della persona, un diritto ritenuto sacro e legato al rispetto ed al riconoscimento dell’ordine politico e sociale.
La proprietà è stata dapprima riconosciuta come diritto concesso dall’autorità investita da una legittimazione divina (Faraone, o Re legittimato dalle divinità) successivamente come diritto concesso dalle autorità pubbliche di governo, avente sempre natura e legittimazione derivata dalle autorità (divine o politiche) operanti e non originaria. La convergenza tra il potere esercitato sul territorio e sulle risorse, e l’origine del diritto di proprietà, conferiva al potere stesso l’autorità di distribuire e disporre di tale diritto, rivendicando nell’interesse dello Stato l’origine della legittimazione sia della proprietà pubblica sia della proprietà privata.

Lo strappo dato dall’illuminismo e dalla rivoluzione francese ha configurato il diritto di proprietà come diritto sacro ed inviolabile; ricordiamo il testo dell’art. 17 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, “La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga e sotto condizione di una giusta e preventiva indennità”.
La proprietà come diritto inviolabile e sacro ha trovato una sua evoluzione naturale nella rivoluzione industriale e nella trasformazione dell’economia nell’economia di mercato. Si apriva in quel contesto la stagione della produzione industriale e del commercio dei beni, si aprivano i collegamenti tra i vari mercati, ed il mondo diventava terreno di contesa e conquista commerciale e finanziaria.
La proprietà privata come diritto inviolabile e sacro dell’individuo viveva il pieno riferimento antropocentrico ed individualista, in un connubio che vedeva il riconoscimento dell’uomo come individuo, associato al concetto di libertà di dignità e di proprietà, concetti che ne definivano il confine della collocazione esistenziale, sociale e normativa.
Tuttavia già dalla prima enunciazione ci si rese conto che il controllo della libertà della dignità e della proprietà non poteva essere lasciato all’individuo stesso, generando così una situazione fuori controllo di diffusa anarchia e ingovernabilità (erano ancora bene impressi gli effetti collaterali della rivoluzione francese e della guerra civile americana), quanto piuttosto doveva essere affidato ad un organismo super partes che ne potesse garantire l’imparziale ed equanime riconoscimento scongiurando gli abusi e le discriminazioni.
Questo organismo era ed è lo Stato Costituzionale, ovvero l’autorità territoriale politicamente organizzata, il cui ordinamento è disciplinato dalla Costituzione e dai diritti nella stessa riconosciuti.
È compito dello Stato Costituzionale garantire il riconoscimento e l’applicazione dei diritti dell’uomo declinati nella dichiarazione universale del 1789 e ripresa poi dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, con piena responsabilità anche di fronte alle organizzazioni ed alle comunità internazionali.
Nella formale costruzione giuridica, quindi, lo Stato Costituzionale avrebbe dovuto garantire la proprietà privata come diritto inviolabile e sacro dell’individuo. La storia ci insegna che le cose sono andate diversamente, ed il diritto di proprietà privata ha subito una progressiva ed inesorabile erosione, frutto di uno svuotamento dall’interno e di normative di riduzione ed adeguamento del diritto stesso.
La dematerializzazione del rapporto con i beni
La rivoluzione industriale e l’avvio di attività di commercio su larga scala, hanno cambiato il passo e la velocità del mondo reale rispetto a quello consolidato nelle formule di diritto.
La proprietà privata e gli istituti ad essa connessi, mal si conciliavano con l’acquisita e progressiva velocizzazione dello scambio di beni e servizi. Il commercio iniziava a sviluppare delle proprie forme di trasferimento dei beni, che avveniva non più in forma “reale” (con la trasmissione materiale del bene) ma attraverso la trasmissione di titoli e credenziali.
Anche la stessa moneta, intesa come forma di pagamento dei beni e dei servizi con un controvalore riconosciuto in molteplici contesti e avente validità incontestata negli stessi (esempio l’oro e l’argento, con il sistema gold standard introdotto nel Regno Unito nel 1815 e successivamente esteso negli altri Stati). I sistemi delle lettere commerciali, dei titoli azionari e delle lettere di credito, consentivano il trasferimento di beni e servizi e la disposizione e circolazione dei titoli di proprietà su determinati beni.
Soltanto alcuni tipi di proprietà (quali ad nell’ambito fondiario, agrario ed edilizio, e alcune tipologie di beni mobili) continuavano a conservare una materiale relazione tra proprietario e bene, dovuta al tipo di utilità e di utilizzo dello stesso.
Un processo che potremmo associare ad una dematerializzazione del rapporto di fatto con i beni ed i servizi, accentuato ancora di più nell’evoluzione della società avvenuta nella cosiddetta era della digitalizzazione.
Una sostanziale contraddizione rispetto ai presupposti di partenza, ovvero il concetto di proprietà come diritto fondamentale dell’individuo, come estensione ed estrinsecazione della sua persona e del ruolo assunto nella società e nello Stato.
Questa forma di astrazione dei contenuti della proprietà rispetto alla situazione di fatto ha seguito peraltro da vicino la totale astrazione delle norme di diritto rispetto ai contenuti della vita reale.
Le norme di diritto, poste a tutela dei diritti riconosciuti dall’ordinamento, hanno subito e ancora subiscono una costante erosione applicativa che tende a tagliare ogni forma di vincolo e di legame tra le situazioni previste dalle norme e l’applicazione delle stesse ai casi concreti.
Nel caso della proprietà, ad una progressiva erosione dei confini esterni del diritto riconosciuto si è verificata, in corrispondenza, uno svuotamento dei contenuti del diritto dall’interno, attuato, come vedremo, con l’adozione di una serie di vincoli normativi che ne hanno ridimensionato nettamente i profili sostanziali.
Questa evoluzione ha visto protagonista lo Stato costituzionale, inteso come unico organismo legittimato a guidare questa evoluzione e questo cambiamento del concetto di proprietà: non più un diritto naturale e assoluto preesistente alle organizzazioni politiche e istituzionali, ma un diritto declinato all’interno dei rapporti giuridici, economici e sociali interni al tessuto dello Stato e dallo stesso disciplinati e controllati.
Gli interessi economici, commerciali e finanziari connessi e derivanti dalla disciplina della proprietà privata hanno assunto un ruolo di primo piano anche in relazione allo sviluppo ed alla crescita economica e finanziaria dei singoli Stati nazionali.
L’attacco alla proprietà

Il ridimensionamento, il contenimento e lo svuotamento della proprietà è avvenuto progressivamente, in seguito alla ridefinizione degli assetti degli Stati nella fase successiva alla fine del secondo conflitto mondiale.
In un clima di ricostruzione politica ed economica, e di spartizione dei ruoli nello scenario internazionale, il prevalente impulso è venuto dagli interessi commerciali e finanziari legati alla produzione industriale ed alla conquista dei mercati di allocazione dei beni.
Si era già creato, nel tempo, un netto distacco tra il mondo agricolo e fondiario, e il mondo industriale; la produzione agricola basata sulla stagionalità, e sui tempi e le capacità produttive della terra, non corrispondeva alla velocità produttiva dell’industria, legata ad un diverso tipo di mercato e di esigenze di consumo, esigenze legate alla crescente capacità produttiva e distributiva del settore.
La proprietà privata, ove non inserita nel ciclo produttivo e nelle dinamiche sociali degli Stati, diventava un vero e proprio ostacolo alla crescita economica, al concetto di equità distributiva delle risorse e alla circolazione dei beni.
Gli ordinamenti statali hanno quindi iniziato a promuovere normative di contenimento del diritto di proprietà, operando in due distinte direzioni: una prima direzione intrapresa è stata quella di spostare il focus della proprietà da diritto inviolabile dell’individuo a funzione sociale; una seconda direzione intrapresa è stata quella di promuovere normative di impatto diretto sulla proprietà privata, sotto il profilo della tassazione, della conformità normativa, delle limitazioni di utilizzo e di esercizio delle facoltà ad essa connesse.
Per quanto concerne le normative di tassazione, basti considerare il regime di tutte le imposte degli enti amministrativi territoriali sui beni immobili e sui beni mobili registrati.
Per quanto attiene le limitazioni normative alla proprietà, ricordiamo nel nostro ordinamento statale, tra i tanti, i vincoli conformativi, i vincoli espropriativi, i vincoli ambientali ed i vincoli urbanistici.
Tutti questi vincoli normativi e regolamentari, le limitazioni e preclusioni stabilite, nonché i costi periodici e ricorrenti da sostenere legati alla titolarità della proprietà privata, impongono una diversa concezione della proprietà privata, una trasformazione ancora in atto.
La proprietà come diritto assoluto e fondamentale dell’individuo ha perso la propria caratterizzazione ontologica, fondata nella estrinsecazione e nella caratterizzazione dell’individuo all’interno del sistema normativo e sociale.
Non è più l’individuo, in quanto titolare del diritto, a connotare il diritto di proprietà con la caratterizzazione data dalla propria volontà di utilizzo, di disposizione, di relazione con il bene, quanto è piuttosto lo Stato a concedere e consentire, a certe condizioni, l’utilizzo, la disposizione e la relazione del soggetto con il bene.
Se è dunque lo Stato a concedere un diritto, a definirne i contenuti ed a limitare in un contesto sociale l’esercizio dei diritti e delle facoltà derivanti e connesse alla proprietà privata, in che termini possiamo ancora parlare di proprietà privata?
Esiste ancora una proprietà privata?
E se la proprietà costituisce un diritto fondamentale dell’individuo e una forma di estrinsecazione della sua essenza e permanenza nel contesto sociale, in quali termini l’individuo viene connotato dalla proprietà di beni?
Da diritto sacro e inviolabile a diritto in “concessione”

Entrando nella casistica concreta della configurazione della proprietà nel nostro contesto politico e sociale, ci rendiamo più agevolmente conto della situazione.
Abbiamo visto che l’articolo 812 del codice civile definisce ed identifica i beni che possono formare oggetto di diritti nel nostro ordinamento.
Prendiamo il caso di un bene immobile, nello specifico di un edificio abitativo.
Ebbene il suddetto edificio per essere considerato legalmente esistente deve essere conforme alla normativa edilizia e urbanistica e regolarmente censito. Ove non lo fosse, sarebbe soggetto a demolizione ovvero a regolarizzazione nei termini della concessione di una sanatoria. L’immobile, seppure di proprietà privata, è soggetto al pagamento di imposte quali ad esempio l’IMU (imposta municipale propria); “è l’imposta dovuta per il possesso di fabbricati, escluse le abitazioni principali classificate nelle categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9, di aree fabbricabili e di terreni agricoli ed è dovuta dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale…” (definizione tratta dal Dipartimento Delle Finanze).
Il trasferimento della proprietà dell’immobile deve avvenire per atto pubblico (o può avvenire per sentenza nei casi di acquisto a titolo originario o di sentenza ai sensi dell’art. 2932 codice civile) ed è soggetta a tassazione (imposta di registro, imposta catastale, imposta ipotecaria) nonché a trascrizione ai fini dell’opponibilità del diritto nei confronti dei terzi.
Qualora, invece, considerassimo il caso di un terreno edificabile, l’esercizio della facoltà di costruzione sulla proprietà di un suolo è soggetta ad autorizzazione che viene rilasciata con permesso di costruire sulla base dello strumento urbanistico adottato dall’Ente territoriale competente. Il permesso di costruire viene rilasciato sulla base del rispetto degli oneri di concessione e di urbanizzazione, sulla base dell’assenza di vincoli cosiddetti ambientali (paesaggistici, idrogeologici ecc.) e nel rispetto delle normative edificatorie della zona (antisismica, tipologia delle costruzioni ecc..).
Se spostiamo l’attenzione dai beni immobili ai beni mobili registrati (autoveicoli, motoveicoli, imbarcazioni) la proprietà di tali beni, il loro utilizzo e l’esercizio dei diritti derivanti dalla proprietà è vincolato e condizionato al rispetto di determinati requisiti di omologazione, dotazioni di bordo, assicurazione obbligatoria, regolarità della carta di circolazione, registrazione presso i registri dei veicoli o delle imbarcazioni nei casi previsti, nonché una serie di altri vincoli specifici.
Anche i beni mobili nel nostro ordinamento trovano una loro disciplina normativa che ne definisce limiti di utilizzo (si pensi alle merci) o di circolazione (si pensi al denaro o ai valori).
Appare del tutto evidente, quindi, che la concezione della proprietà come diritto naturale preesistente ed inviolabile dell’individuo e come connotazione dello stesso, ha mutato la propria configurazione ed i propri contenuti all’interno dei sistemi statali.
Possiamo certamente affermare che la proprietà privata costituisce un diritto concesso e riconosciuto dallo Stato all’individuo a determinate condizioni e con determinati requisiti.
La proprietà privata ha perso le proprie connotazioni di assolutezza e originarietà, per assumere i connotati di una concessione riconosciuta e tutelata nell’ambito normativo e vincolata al soddisfacimento delle condizioni normative richieste.
Si torna, in sostanza, indietro nel tempo ad un concetto feudale della proprietà, vista come concessione del re o dell’autorità territoriale preposta.
La differenza con l’attuale concezione della proprietà come concessione dell’autorità sovrana è data dalla legittimazione dell’autorità stessa: nella società feudale la legittimazione era considerata di origine divina e trasmessa per investitura; nella società contemporanea la legittimazione dell’autorità sovrana è ormai frutto del riconoscimento della sovranità degli Stati accreditata anche nel diritto internazionale.
Il conferimento ed il riconoscimento della proprietà privata, dunque, non appartiene più alla sfera dei diritti naturali, intesi come diritti fondamentali dell’uomo ed intrinsecamente connessi alla sua essenza, ma appartiene piuttosto ad una concessione legittimata dal diritto pubblico.
Questo discostamento di concezione rispetto alle previsioni contenute nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1789, appare evidente nella dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 come oggi vigente, e nello specifico nell’art. 17 in combinazione con l’art. 2 della dichiarazione stessa.
Vediamone brevemente il testo. L’articolo 17 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo prevede che: 1) Ogni individuo ha il diritto di avere una proprietà sua personale o in comune con altri. 2) Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà.
L’articolo 2 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo prevede che: Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.
Appare di tutta evidenza che le declaratorie contenute negli articoli della dichiarazione universale sopra riportati, ci restituiscono il riferimento a diritti diversamente inquadrati nel contesto sociale con il quale ci confrontiamo quotidianamente.

Diritti universali: proprietà e libertà come connotazioni dell’individuo concesse dallo Stato
Dobbiamo a questo punto rilevare che, differentemente da quanto enunciato nell’art. 2 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nella società civile agli individui non sono riservati tutti i diritti e tutte le libertà enunciate, ma sono invece diversamente declinati a seconda dei contesti politici e sociali di riferimento.
La questione si pone primariamente nella necessità di contemperare tutte le esigenze primarie: prendiamo ad esempio la libertà personale degli individui, che deve comunque trovare collocazione nell’ambito del riconoscimento degli uguali diritti di tutti e nelle esigenze della sicurezza pubblica.
I diritti riconosciuti subiscono una naturale compressione, frutto del loro inserimento nel contesto sociale. Maggiormente sentita nella società contemporanea è l’esigenza di tutelare e riconoscere i diritti delle minoranze dissenzienti, onde non cadere in situazioni discriminatorie. La frammentazione dei diritti e delle tutele così riconosciute è talvolta così ampia ed indeterminata che per riconoscere i diritti di tutti si finisce per non riconoscere i diritti a nessuno.
Nello specifico è lo Stato, come organismo sovrano, che incarna il responsabile ed il garante del riconoscimento dei diritti enunciati.
Tuttavia, malgrado la cultura civilistica e privatistica della disciplina dei rapporti tra i soggetti giuridici, già da tempo si naviga verso una piena gestione amministrativa e burocratica che costituisce la fonte di indirizzo, canalizzazione e governo dei rapporti tra agli individui, siano essi persone fisiche, persone giuridiche o enti.
È l’amministrazione dello Stato ad avere il timone ed il controllo sui diritti dei singoli e, di fatto, sul loro riconoscimento.
In questo modo, quindi, i diritti che definiscono gli individui quali la libertà e la proprietà costituiscono delle concessioni fatte dallo Stato all’individuo stesso.
La libertà di ingresso, circolazione e soggiorno, l’accesso agli studi, il riconoscimento del lavoro, l’abitazione e la famiglia, sono diritti non più e non soltanto connessi alla persona, ma attribuiti alla stessa per attività di concessione e di riconoscimento da parte dello Stato.
Concettualmente un vero e proprio ribaltamento delle concezioni portate avanti dall’illuminismo e dalla rivoluzione francese: i diritti dell’individuo come diritti assoluti preesistenti e prevalenti rispetto ad ogni forma di organizzazione politica e di governo, contro i diritti dell’individuo negli stati contemporanei, frutto di una concessione degli organismi politici e governativi aventi carattere di autorità sovraordinata e prevalente sui diritti dei singoli.
Nel preambolo della dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 troviamo le seguenti enunciazioni: “Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione”.
Nello stesso preambolo viene altresì affermato: “L’Assemblea Generale proclama la presente dichiarazione universale dei diritti umani come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.”
Il passaggio dei diritti universali da diritti preesistenti agli Stati a diritti concessi dagli Stati è evidente. Gli articoli 1 e 2 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 stabilivano quanto segue: Art. 1 – Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune; Art. 2 – Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.
E’ dunque all’interno di nuovi contesti politici, sociali ed istituzionali, che trova riconoscimento la proprietà quale diritto concesso agli individui ma subordinato a specifici contenuti e requisiti.
Verso l’abolizione della proprietà privata. La locazione e il noleggio dei beni.
I fenomeni evolutivi della proprietà hanno reso la realizzazione della stessa come un costo e un sacrificio non soltanto per conseguirla, ma anche e forse ancor di più per mantenerla.
La proprietà di un immobile o di un autoveicolo comporta una serie di vincoli e di costi tali da costituire un deterrente per gli aspiranti titolari del diritto.
Il tipo di organizzazione delle società contemporanee ha enfatizzato ed esaltato la proprietà sotto il profilo della utilità del bene e delle possibilità del suo impiego.
Un bene non utilizzato e/o non utilizzabile costituisce esclusivamente un costo non sempre sostenibile.
Con il concetto di utilità dei beni, declinato in un tipo di sistema economico e sociale votato al consumo, l’utilità e la disponibilità dei beni è stata sempre più associata alle figure della locazione e del noleggio.
Il pagamento di un canone non garantisce la titolarità del bene, ma garantisce lo sfruttamento della sua utilità per il tempo necessario e pattuito. Inoltre la locazione ed il noleggio rispondono a diversi requisiti richiesti dal funzionamento dei mercati e dalla circolazione dei beni.
Mentre la proprietà rappresenta un rifermento statico nella produzione e nello scambio dei beni, la locazione ed il noleggio meglio rispondono alle dinamiche commerciali di circolazione dei beni.
L’obsolescenza, l’adeguamento tecnologico, l’adeguamento in termini di efficienza e compatibilità ambientale, richiedono un diverso rapporto tra l’individuo ed i beni allo stesso riferibili.
La crescita economica e commerciale e la spinta evolutiva tecnologica richiedono all’individuo uno sforzo di adeguamento che la proprietà privata non è più in grado di assecondare. Ed anzi la proprietà privata costituisce di fatto un ostacolo alle politiche di adeguamento e di rinnovamento che gli Stati intendono adottare, dovendo anche valutare la futura crescita sociale in termini di sostenibilità e compatibilità rispetto alle risorse disponibili ed al contesto ambientale.
I vincoli normativi ed i costi economici imposti sulla proprietà privata costituiscono, quindi, un incentivo ad avvalersi della piena utilità dei beni senza averne la titolarità; d’altronde, a ben considerare secondo quanto già indicato, anche la proprietà privata è ormai da considerarsi una concessione dell’autorità statale sovrana.
La locazione e il noleggio garantiscono agli individui l’utilizzo dei beni e la loro disponibilità, consentendo la piena partecipazione e integrazione nelle dinamiche del contesto sociale.
Rimane, però, un dubbio circa la sorte del legame tra individuo e proprietà, tra diritti naturali preesistenti e ruolo sociale della persona.
Se la proprietà costituisce un legame statico, destinato ad essere accantonato dalle dinamiche evolutive, lo stesso vale per gli altri diritti fondamentali dell’individuo che ne caratterizzano l’essenza? Avremo libertà e uguaglianza in concessione adattate a profili di disponibilità di risorse e compatibilità ambientale?
La tendenza sembra essere proprio questa, ma soltanto la storia potrà attestarlo in futuro.
