Home ATTUALITÀ E EDITORIALE Henry Kissinger, un europeo alla corte della Casa Bianca.

Henry Kissinger, un europeo alla corte della Casa Bianca.

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Nato in Germania nel 1923 Kissinger giovanissimo è costretto con la famiglia ad emigrare negli Usa a causa delle leggi razziali. Si mantiene gli studi lavorando come operaio e nel 1943, in piena seconda guerra mondiale, decide di prendere la cittadinanza americana, quella delle grandi opportunità, e arruolarsi come soldato semplice. Grazie alla sua conoscenza del tedesco entra nel controspionaggio e diventa uno dei primi cacciatori di nazisti. Promosso sergente, torna civile riprendendo gli studi fino ad ottenere un dottorato in relazioni internazionali all’università di Harvard. Sempre nello stesso ateneo diventa ricercatore e poi docente di ruolo. Negli anni 50 ottiene grande successo con un saggio sull’uso delle armi nucleari.

Amante del potere, stringe rapporti con il mondo che conta tra cui Nelson Rockefeller, repubblicano miliardario, che lo vuole dirigente nella sua fondazione e lo presenta a Eisenhower. Da quel momento fino al 1977 è consigliere di tutti i presidenti degli Stati Uniti. Schlesinger Jr. lo fa entrare nello staff di Kennedy ma le sue tesi iperealiste non convincono l’entourage democratico. Confermato da Johnson, è con Nixon che raggiunge la notorietà. Prima consigliere per la Sicurezza Nazionale e poi segretario di stato, resta alla guida degli esteri anche con Ford. Insieme a Nixon riesce a porre fine alla guerra del Vietnam e condiziona l’Urss riconoscendo la Cina di Mao. Per gli accordi di Parigi vince il premio Nobel per la pace. Cerca di dare ordine al Medioriente e appoggia golpe anticomunisti. Affascinante ma troppo complesso e aristocratico per il secolo della democrazia di massa, Kissinger venne attaccato dalla destra, che gli rimprovera la politica di equilibrio, e dalla sinistra, che lo accusa di cinismo. Per la vulgata dell’epoca è il repubblicano dall’ accento tedesco, il dottor Stranamore, lo spietato “ consigliori” dei bombardamenti del Vietnam e dei golpe anticomunisti tra cui quello del Cile. Un po’ come il nostro Andreotti viene accusato di tutto, persino della morte di Moro. Eccessi a parte, a cui però il personaggio, amante della diplomazia segreta, si presta non senza civetteria. Quando negli anni 80 i repubblicani tornano al potere, Kissinger ricopre incarichi secondari. Reagan denuncia pubblicamente la sua politica ostile ad uno scontro frontale con l’Urss “impero del male”, ma Kissinger “ il professore” non polemizza e vive tranquillo la sua terza vita come eminenza grigia. Membro permanente della Trilaterale, si contenta di pochi altri incarichi tra cui la guida della commissione nominata dal presidente Bush jr per far luce sugli eventi dell 11 settembre e la presidenza della commissione per organizzare i campionati mondiali di calcio nel 1994. Ricco grazie alle sue superconsulenze, ammirato memorialista ,fino all’ultimo ricopre il ruolo del vecchio saggio, stimato da tutti anche dai nemici che ne rispettano la profonda intelligenza politica e la saggezza mostrata nei suoi anni di governo e come analista.

Uomo più d’accademia che di comunicazione, lento nell’eloquio, monocorde e professorale, colpiva per l’ intelligenza e per la sua non comune cultura storica che lo portava ad essere al tempo stesso spregiudicato e felpato stratega della politica internazionale. Aveva l’alone solfureo dei gran visir e senza esagerazione trovava in Mazzarino, Talleyrand e Metternich i suoi gemelli storici. Europeo per cultura e stile, americano per pragmatismo; Kissinger non aveva l’umorismo di Machiavelli ma sapeva essere lucido consigliere dei principi, scrittore brillante e saggista acuto. Sensibile alle belle donne, al lusso e al gioco del calcio, era un estimatore in particolare dell’abilità tattica dei nostri azzurri in cui trovava qualcosa del suo amato “segretario fiorentino”.

Totalmente immune alle ideologie e ai populismi, che considerava senza demonizzarli tecniche di propaganda, fu sostanzialmente rispettoso e attento verso Trump, mostrando anche in ciò molta più intelligenza politica rispetto anche ad altri repubblicani. Gli si rimprovera di essere stato incline ad assecondare se necessario svolte autoritarie all’estero. La critica è giusta ma per essere onesta va estesa a tutti i governanti americani, democratici compresi. Senza ipocrisie puritane Kissinger era coerente alle logiche di Yalta. Considerava il mondo diviso in due grandi imperi che avevano diritto all’occorrenza di intervenire sui paesi vassalli anche con le “cattive”. Nella sua logica tuttavia esisteva rispetto per gli avversari che andavano però combattuti in maniera solida, convinto che la forza sia la base principale su cui costruire un equilibrio internazionale stabile e funzionante. Avrebbe voluto la distensione tra i blocchi e fu da questo punto di vista uomo di pace molto più di Obama, Biden, Brzeziniski e Hillary Clinton.

Se fosse restato al potere negli anni 80 probabilmente l’Urss e il muro di Berlino, in piena involuzione economica e tecnologica, sarebbero caduti lo stesso ma in maniera più lenta e forse oggi la Russia sarebbe meno incline ad una politica muscolare. Se con un gioco ucronico volessimo estendere agli ultimi decenni la sua visione realistica alla politica internazionale ci è facile immaginare che una nuova Yalta avrebbe regolato la fine della guerra fredda e l’inizio della globalizzazione e che magari non ci sarebbero state “primavere arabe” o “guerre per esportare la democrazia”. Forse l’Europa sarebbe stata più pragmatica quindi efficiente, il Medioriente più stabile e la Cina più contenuta e meno corsara, esattamente come Kissinger avrebbe voluto l’Urss negli anni 70, usando però stavolta Putin nel ruolo di Mao.

Chiariamoci Kissinger non era né santo né eroe e il suo conservatorismo è ampiamente criticabile. Kissinger però ha avuto il merito di essere un realista , capace di calcolare come nessuno i rapporti di forza per poter poi negoziare e attuare equilibri solidi basati sul buon senso. Da questo punto di vista è un modello né umano né civile ma di un modo intelligente e serio di fare politica; cosa che, in epoca di politicamente corretto e di fanatismo da videogame, nel nostro povero occidente è tutt’altro che scontata. Fu un grande nei mezzi, intesi come criteri di analisi e metodi di azioni, ma scegliendo la difesa dell’ordine a scapito della crescita e del rispetto dell’umanità, ebbe paradossalmente il suo limite forse proprio nei fini.

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