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Gian Arturo Ferrari rapito dagli alieni – Un pamphlet.

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libriIQ. 22/10/2013 – Gian Arturo Ferrari rapito dagli alieni

Un pamphlet

di Paola Del Zoppo

Sabato, a Francoforte, Gian Arturo Ferrari è stato restituito alla terra da una navicella aliena. Colpito dalla realtà in cui è capitato, ha denunciato sul Corriere della Sera ciò che i suoi occhi hanno visto alla Buchmesse. Quello che stupisce noi che sulla terra siamo rimasti anche negli ultimi venti anni, è la sua indignazione. La tiepida polemica che stenta a crescere anche sul web è espressione della situazione in cui siamo, che non riguarda solo il mercato del libro, ovviamente, situazione di cui Gian Arturo Ferrari non si è lamentato fino all’altroieri e che anzi ha contribuito a creare.

E mentre la Mondadori si occupava di decostruire programmaticamente l’idea di cultura (come dichiarato dallo stesso Ferrari in un’intervista al Giornale del 2005) in favore dell’idea di mercato, come se leggere – “un’attività asociale, faticosa e anche noiosa” – fosse un passatempo qualunque, non tutti hanno creduto questo “nuovo corso” essere corretto. Voci isolate si son levate e sono state soffocate, denigrate, sminuite, derise.

Adesso, questo sistema in cui e a cui Ferrari ha lavorato così alacremente negli ultimi anni sembra stia crollando. Cosa è successo negli ultimi anni? L’articolo di Ferrari manca di analisi e anche di proposte. E’, in sostanza, una lamentazione. Eppure nessuno potrebbe o dovrebbe saperlo meglio di lui, ciò che è accaduto, perché mentre navigavamo verso questo approdo, lui era al timone, o perlomeno ci ha detto di esserlo. Forse invece, era distratto a fare altro, o forse era stato già sostituito dai rapitori alieni.

Quello che ora ci resta è un’idea sfilacciata di cultura e di letteratura, poiché le case editrici “grandi” hanno avvolto in una nebbia di inconsapevolezza le idee stesse di arte letteraria, di progetto culturale, di vocazione editoriale, con lo scopo di raggiungere e controllare un monopolio a-culturale. Ci resta una più generale condizione italiana in cui l’etica, la morale, la purezza e anche semplicemente una distinzione di base su ciò che è scrittura e ciò che non lo è, ciò che è un “contenuto” e ciò che non lo è, o ancora, ciò che è un “pensiero” e ciò che non lo è, è sottoposta a logiche di potere e difesa della propria identità e posizione all’interno del panorama economico e non. Ancora, ci resta, la totale disonestà intellettuale con cui vengono proposti i libri – menzogne su dinamiche di ricezione all’estero, esaltazione di figure “alternative”, presentate come dirompenti, che non fanno altro che alimentare l’autorefenzialità del lettore e del mercato del libro, abbassando significativamente, in relazione a ciò, il livello dei libri pubblicati. Uno dei risultati è il soffocamento di professioni fondamentali e ad alta risonanza sociale come quella dei bibliotecari e dei librai – non si può dimenticare che la politica mondadoriana si coniuga perfettamente con l’assoluta mancanza di regolamentazione del mercato librario. Il libro non può e non deve essere trattato come un prodotto qualunque (la legge Levi lungi dall’intervenire sui meccanismi che hanno contribuito al dissesto del sistema culturale e librario italiano, ha di fatto avallato ildissestoadducendo disoneste giustificazionie etiche).

Una variabile contingente è l’asservimento della critica letteraria – in particolare sui giornali – al mercato ortofrutticolo dei volumi, alla mafia della “presentazione” giornalistica, uno sterile antiaccademismo che ancora una volta si coniuga spesso con un atteggiamento autodifensivo e non con una sincera preoccupazione per lo stato di stallo del pensiero intellettuale italiano. L’azzeramento del dialogo intellettuale sui media ha reso difficile ogni tipo di comunicazione culturale, e primo fra tutti ha reso impossibile la realizzazione della nobile arte della critica letteraria. Non è possibile stroncare un libro – non sta bene, non si fa, non è critica, ma solo pubblicità negativa.

Ci resta una letteratura completamente depotenziata, tanti libri “facili” o facilitati, for dummies, perché “il lettore non vuole fare fatica”: si è svenduta la letteratura (classica, di genere, tout-court) in copertine disoneste, ammiccanti, riduttive, affinché il lettore (insultato perché trattato sempre, comunque e solo da incurabile ignorante) si facesse abbindolare da immagini che solleticavano i suoi istinti più banali, o banalizzavano le sue inclinazioni più umane, senza mai proporre alcun tipo di elevazione o riflessione, negando, quindi, l’essenza stessa dell’arte. Cultura, poesia, impegno, critica e militanza sono diventati termini da censurare, dimenticare, eradicare dal pensiero comune. La strategia migliore è sembrata lo svuotamento di senso dei termini stessi, manipolazione che certo non attiene solo al mercato librario. Proprio il signor Ferrari, otto anni fa, dichiarava al Giornale il suo chiaro progetto anti-culturale, l’elenco punto per punto di ciò che sarebbe accaduto.

Ci restano degli autori illusi e auto-illusi di essere tali, una confusione di fondo tra scrittori e – e? opinionisti, arrivisti, diaristi autoreferenziali? – semplicemente non-scrittori. Pubblicità negativa che inficia anche i meccanismi del mercato estero. Autori che qui si danno per letterari devono essere proposti come letterari anche all’estero. Scrittori che qui hanno pubblicato perché “amici di” e perché “amici di” hanno buone recensioni, premi e riconoscimenti, all’estero devono essere tradotti e godere dello stesso status. Succede però che a Francoforte venga chiesta la letteratura italiana e non si sappia dove trovarla. Succede che la letteratura sia disseminata in case editrici piccole, magari piccolissime, che a Francoforte non possono permettersi uno stand, mentre succede che il grande gruppo occupi parecchi slot di pavimento, e rimanga vuoto, lasciando così contrito il signor Ferrari.

I piccoli editori in questi anni hanno dovuto scegliere, comprare, tradurre, pubblicare o apparire. Nelle librerie di catena le vetrine si pagano, la posizione si paga e non tutti possono permettersi certe cifre. E questo è solo un esempio. Ma l’editoria culturale c’è, e fa grandi libri. Alcuni piccoli editori riescono persino a comprare diritti di autori grandi – ma di quelli grandi davvero – ad anticipi bassi, perché i grandi gruppi li rifiutano, perché sulle schede si legge “ottimo autore, ma troppo letterario, non vende”, perché la traduzione di un testo di un certo livello richiede un traduttore di un certo livello, una cura del libro che i grandi non hanno da tempo, un impegno di tempo e risorse che alcune migliaia di euro non riescono a sostituire. Richiedono, i grandi libri, dei grandi lettori, che ormai i grandi editori non sono, e una grande competenza letteraria. Richiedono, i grandi libri, degli ideali, uno scopo, un progetto e un’idea che non siano manipolabili, il coraggio di rischiare davvero, e non solo per finta, la forza di resistere e la capacità di riconoscere e riconoscersi nello slancio.

E poiché noi piccoli editori siamo idealisti, vorremmo che i grandi autori e i grandi editori si incontrassero di nuovo, che la letteratura fosse di nuovo alla portata di tutti, servita a chiunque, vorremmo che i grandi editori smettessero di trattare da sciocchi i lettori e proponessero loro buoni libri, che li trattassero da ospiti di riguardo invece di servire i resti del pasto della sera prima. Vorremmo che le pagine culturali dei giornali, invece di fare “informazione libraria”, come si augurava il signor Ferrari nel 2005, tornassero a dirci se un libro è da leggere o meno. Smettessero di raccontarci la vita privata degli autori, alimentando un voyerismo culturale che ci fa guardare la letteratura solo dal buco della serratura, e parlassero una buona volta e ancora di valore, gusto e significato dei libri.

E poiché siamo idealisti, ci sembra incredibile che tutto questo sia accaduto per sciatteria e non per calcolo. Quasi vorremmo che ci fosse un programma, un disegno, e questo talvolta ci lascia confusi. Perché noi agenti di cultura in Italia non siamo una masnada di violenti prevaricatori, come riteneva il signor Ferrari, non guardiamo “con grande disprezzo a tutto ciò che non può essere rinchiuso nella cittadella fortificata che loro accuratamente difendono”. Siamo solo gente che ancora, sinceramente, è capace di desiderare.

 

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