Sono tutte esaurite al Teatro alla Scala le cinque rappresentazioni del Nome della rosa, la nuova opera tratta dall’omonimo romanzo di Umberto Eco che il Teatro milanese ha commissionato a Francesco Filidei insieme all’Opéra national de Paris. Lo spettacolo, in scena dal 27 aprile al 10 maggio, è coprodotto dalla Scala con l’Opéra e con il Teatro Carlo Felice di Genova. Il nome della rosa, pubblicata da Casa Ricordi, è la terza opera di Filidei dopo Giordano Bruno, su libretto italiano di Stefano Busellato (Oporto, Casa da Musica, Teatro Valli di Reggio Emilia 2015, presentato al Piccolo Teatro di Milano nel corso del Festival Milano Musica dello stesso anno), e L’inondation, su libretto francese di Joël Pommerat (Parigi, Opéra Comique 2019). Questa volta i librettisti sono lo stesso compositore e Stefano Busellato con la collaborazione di Hannah Dübgen e Carlo Pernigotti; hanno lavorato su due versioni, italiana e francese, per le prime a Milano e Parigi. Il nome della rosa è il secondo progetto realizzato dal Teatro alla Scala in collaborazione con la SIAE – Società Italiana Autori ed Editori nell’ambito del Concorso per compositori, librettisti e coreografi iscritti alla SIAE. La prima edizione, riservata alla coreografia, aveva sostenuto la creazione di Madina, coreografia di Mauro Bigonzetti e musica di Fabio Vacchi, andata in scena nel 2021.
Il nome della rosa, diretto da Ingo Metzmacher, va in scena con la regia di Damiano Michieletto, le scene di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti, le luci di Fabio Barettin, la drammaturgia di Mattia Palma e la coreografia di Erika Rombaldoni.
In scena un nutrito cast formato da artisti di rilievo nel panorama operistico odierno: i due protagonisti, il novizio Adso da Melk e l’ex inquisitore francescano Guglielmo da Baskerville sono Kate Lindsey en travesti e Lucas Meachem. Il bibliotecario cieco e nemico del riso Jorge de Burgos è Gianluca Buratto; l’Inquisitore Bernardo Gui è Daniela Barcellona, anche lei en travesti; l’abate del monastero Abbone da Fossanova è Fabrizio Beggi; la sventurata ragazza del villaggio (ma anche la statua della Vergine) è Katrina Galka; l’ex dolciniano Salvatore (“Penitenziagite!”) è Roberto Frontali; il cellario ex dolciniano Remigio da Varagine è Giorgio Berrugi; il bibliotecario Malachia è Owen Willetts; l’erborista Severino da Sant’Emmerano è Paolo Antognetti. Carlo Vistoli presta la sua voce all’aiuto bibliotecario Berengario da Arundel e al miniatore Adelmo da Otranto (la prima vittima); Leonardo Cortellazzi al traduttore Venanzio e a Giovanni Dalbena; Adrien Mathonat a Girolamo Vescovo di Caffa e al Cuciniere. Infine, Cecilia Bernini è Ubertino da Casale; Flavio D’Ambra è il capo della delegazione imperiale Michele da Cesena; Ramtin Ghazavi è il Cardinal Bertrando; Alessandro Senes è Jean d’Anneaux. La voce di Adso Vecchio è restituita dal Coro diretto da Alberto Malazzi, mentre le Voci bianche del Coro dell’Accademia dirette da Bruno Casoni sono i Novizi.
Il nome della rosa sarà ripreso dalle telecamere di Rai Cultura. La prima del 27 aprile sarà trasmessa in diretta da RAI Radio Tre.
Liana Püschel terrà una conferenza introduttiva per il pubblico di ciascuna rappresentazione nel Ridotto dei Palchi un’ora prima dell’inizio.
Il 34° Festival Milano Musica, che si terrà dal 26 aprile al 6 giugno 2025, tornerà ad avere carattere monografico e sarà dedicato a “Francesco Filidei. Fiori, tempo, respiro”.
L’opera
Per impostare il lavoro compositivo, Francesco Filidei si è chiesto innanzitutto quale sarebbe stato il percorso narrativo di Eco se fosse stato un musicista invece che uno scrittore. Per rispondere è necessario analizzare la struttura narrativa del romanzo per tradurla in drammaturgia musicale. Un nodo centrale è la relazione che il testo intrattiene con il romanzo popolare ottocentesco, soprattutto francese (Il conte di Montecristo, I misteri di Parigi, ecc.), che Filidei estende all’opera popolare ottocentesca, soprattutto italiana (Don Carlos, Il trovatore). Eco stesso, spiega Filidei, indica la strada da seguire quando nelle Postille al Nome della Rosa parla di “un libro che assumeva una struttura da melodramma buffo, con lunghi recitativi, e ampie Arie”. Eco racconta inoltre di aver compiuto un lavoro analogo a quello realizzato da Mahler nelle sue sinfonie (e in questo senso non si può non ricordare la sua amicizia con Berio e il Terzo Movimento di Sinfonia, gravitante intorno allo Scherzo della Seconda di Mahler). Filidei sviluppa quindi il suo discorso musicale come una struttura portante di tipo sinfonico su cui si innesta una successione di arie e recitativi, quasi forme chiuse, il cui materiale è derivato principalmente dalla variazione di melodie gregoriane. È la dimensione del sacro a giustificare il passaggio dalla parola al canto. Drammaturgicamente l’opera, che ha la struttura di un autentico grand-opéra con oltre una quindicina di personaggi, sfrutta la struttura del romanzo, in cui i fatti sono sempre presentati “de relato”, per dare a ciascuno un’aria. Le riflessioni teologiche e filosofiche, inserite da Eco nel libro e difficili da tradurre in linguaggio teatrale, sono riflesse nella costruzione formale di alcune sezioni del lavoro, attraverso madrigalismi e strutture leitmotiviche associate alle varie tematiche proposte.
Filidei condivide la passione di Eco per la materia linguistica, si tratti di parole o di note, e il gusto per la struttura e la simmetria. Il nome della rosa è diviso in sette giornate, tre delle quali formano il primo atto e quattro (l’ultima è una chiusa di breve durata) il secondo. I due atti hanno forma simmetrica e le scene sono costruite ciascuna su una nota: do, do diesis, re bemolle, re… e poi specularmente fino a tornare al do. Ne consegue un’architettura formale rigorosa, ma anche la rappresentazione grafica di un labirinto, o dell’abbraccio dei petali: un’opera in forma di rosa.
Il romanzo
Quando Umberto Eco scrive Il nome della rosa, nel 1980, ha 48 anni ed è uno dei semiologi più influenti della scena culturale europea. Saggista di successo, Eco ritorna alla passione mai estinta per la filosofia medievale (si era laureato con Luigi Pareyson sull’estetica di Tommaso d’Aquino) per il suo primo e unico romanzo, edito da Bompiani, che vende oltre 50 milioni di copie imponendosi tra i libri più letti e tradotti della letteratura italiana del ‘900, anche grazie alla versione cinematografica di Jean-Jacques Annaud del 1986 con Sean Connery, F. Murray Abraham e Christian Slater.
La trama, che Eco finge di aver desunto dagli scritti dell’immaginario frate francescano Adso da Melk, è quella di un giallo, ambientato in un monastero cluniacense nel 1327 dove si verifica una serie di omicidi. L’autore mostra la sua dottrina e il suo gusto della minuta descrizione della vita medievale nell’ambientazione in cui ricorrono i topoi della biblioteca e del labirinto, ma la tensione narrativa è garantita, oltre che dalla ricerca degli assassini, dalla sottesa perorazione sul valore della conoscenza e della libertà. Chiave del mistero sarà il Secondo libro della Poetica di Aristotele, nella realtà perduto, in cui lo stagirita affronta il tema della Commedia.
Ulteriori informazioni: www.teatroallascala.org
Fonte: connessiallopera.it