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Il crollo del cavalcavia

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La telecamera installata sul tetto dell’auto di servizio del cantoniere Tindaro Sauta riprende la campata del ponte che precipita sulle auto che si incolonnano sull’unica corsia aperta della Superstrada 36 dopo che gli agenti della Stradale e i «sorveglianti» dell’Anas hanno piazzato una fila di birilli per circoscrivere la caduta dei calcinacci. Questo filmato è una delle prove più importanti nelle mani degli investigatori che indagano per omicidio e disastro colposo. Non solo perché si vede l’esatto istante nel quale il tir della Nicoli trasporti attraversa il cavalcavia e la carreggiata crolla sotto il peso delle sue ruote in una nuvola di polvere e cemento, ma perché riprende l’intero intervento dei cantonieri dell’Anas sulla Statale 36, l’arrivo dei colleghi della Provincia, il sopralluogo della Stradale sul ponte e le discussioni nell’attesa di bloccare al traffico la provinciale. Un documento centrale per stabilire l’esatta catena delle responsabilità. E per capire cosa non ha funzionato.

Per ricostruire la catena di errori, incertezze, tentennamenti, bisogna partire dal primo dato di questa storia: la chiamata di un’automobilista alla polizia stradale nella quale viene segnalata la caduta di calcinacci dal cavalcavia all’altezza del chilometro 41.900 della superstrada Milano-Lecco. Il ponte è quello della strada provinciale 49, la Molteno-Oggiono. Un minuto dopo la centrale delle polstrada di Seregno avvisa la sala radio dell’Anas che invia il «sorvegliante» Tindaro Sauta. Agenti e cantoniere arrivano praticamente in contemporanea e vedono le macerie lungo il bordo della carreggiata. Vengono avvisate le rispettive centrali e l’ingegner Giovanni Salvatore (capo di Sauta), che parte da Milano per raggiungere Lecco.

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