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Caso Aldrovandi. Condannati tre agenti

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Federico_Aldrovandidi Stefania Paradiso

Il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha deciso che andranno in carcere Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri, tre dei quattro poliziotti condannati in via definitiva a tre anni e sei mesi per l’uccisione di Federico Aldrovandi. Il pg Miranda Bambace aveva chiesto il carcere. I difensori avevano chiesto l’affidamento in prova ai servizi sociali, per il periodo di sei mesi, e in subordine i domiciliari.

 Il Tribunale ha così deciso perchè da parte dei tre agenti condannati “non si è dato registrare un atto concreto che indichi effettiva comprensione della vicenda delittuosa e presa di distanza dalla stessa. Nessuna manifestazione esplicita e concreta di resipiscenza; non un gesto anche solo simbolico nei confronti della vittima o dei suoi familiari, cui peraltro, il risarcimento è stato pagato solo dallo Stato; non un gesto di riparazione sociale, e tanto meno di ricordo manifesto e di monito rispetto al ripetersi di simili comportamenti da parte di altri”. La decisione del tribunale di Sorveglianza di Bologna, secondo Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, è “un segnale di civiltà”. “Era quello che mi aspettavo, non posso dire di essere felice perchè la felicità mi è stata tolta da questi quattro individui il 25 settembre 2005” è invece il commento di Lino Aldrovandi, papà di Federico. Esulta anche Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà, che su twitter ha scritto: “Alla famiglia di Aldrovandi un grande abbraccio: da loro in questi anni gesti e parole di grande dignità. Ora il nuovo Parlamento che verrà faccia diventare reato la tortura anche in Italia”. Federico Aldrovandi aveva 18 anni, li aveva compiuti il 17 luglio. All’alba del 25 settembre, una domenica mattina, è morto. La polizia: “E’ morto di overdose”. I testimoni: “No, lo hanno pestato loro”. E’ vero, Federico aveva preso qualcosa: una smart drug, naturale e non proibita più un “francobollo” di Lsd. Nel suo sangue sono state trovate tracce di oppiacei e chetamina,, ma nulla che giustificasse un’overdose o un comportamento aggressivo. La versione della polizia è che alle 5.47 una volante sarebbe stata avvertita da una donna  preoccupata dalla presenza di un ragazzo che, forse, camminava in modo strano, forse cantando. La polizia chiama il 118 e otto minuti dopo l’ambulanza lo trova già morto, a terra, con le manette ai polsi. Qualcosa o qualcuno ha causato l’arresto respiratorio che ha bloccato per sempre il cuore di Federico. A casa nessuno sa ancora nulla. Solo verso le 11 si presenta una pattuglia e avverte gli Aldovrandi dicendo dhe Federico, forse, “Ha preso qualcosa che gli ha fatto male”. Il viso sfigurato, il sangue alla bocca e un’ecchimosi all’occhio destro fanno venire però dei dubbi. Poi si saprà di due ferite lacero-contuse dietro la testa, dello scroto schiacciato e di due lividi da compressione sul collo. Le indagini partono dal medico di famiglia a cui verranno chieste notizie sul “drogato”, lo stesso si cercherà di fare con i compagni di Federico, convocati dalla narcotici e dalla mobile e torchiati con domande da film. Un giornale azzarda dei dubbi ma la questura riesce a far calare il silenzio. Il procuratore capo dirà che la morte non è stata causata dalle percosse anticipando l’esito di una autopsia non ancora resa nota. La perizia tossicologica, però, smentisce la polizia.  E si inizia a parlare di manganelli rotti e di finte percosse ai poliziotti. Qualcuno ha visto Federico immobilizzato, a terra, col ginocchio di un agente puntato sulla schiena e un manganello sotto la gola mentre l’altra mano del tutore dell’ordine gli tirava i capelli. Gli Aldrovandi sperano che il clamore della notizia su questo e altri giornali faccia tornare la memoria a qualcuno. Ed è grazie alla non arrendevolezza della famiglia che oggi si è arrivati a questa sentenza. Nessuna pace ci sarà per i cuori infranti dei genitori e di chi amava Federico, ma almeno ci sarà giustizia. Quando si uccide una persona, sia che lo faccia un cittadino sia che lo faccia un poliziotto, dal punto di vista della pena non dovrebbero esserci differenze. Persone che lavorano per difendere la nostra incolumità non dovrebbero mai essere violenti al punto tale da uccidere un ragazzo. Laddove lo fanno vanno considerati al pari degli altri cittadini e condannati per i reati previsti e con le giuste pene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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