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Quali sono le alternative alle grandi mostre?

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Una delle più grandi opportunità che abbiamo, oggi, è quella di comprendere che ci troviamo a esistere in un periodo ad elevato livello di incertezza. E che comprendere realmente quest’affermazione non significa limitarci a esserne consapevoli, ma implica il nostro impegno concreto a strutturare il nostro pensiero e la nostra routine in virtù di questa consapevolezza.
Che siano periodi incerti lo sanno tutti. Eppure, ad agire in modo differente rispetto al passato sono in pochi.
Questa condizione è naturale: viviamo di “pattern” che ci rendono difficile immaginare una condizione completamente differente dallo scenario contingente. Sono certezze che spesso ci rendono davvero difficile mettere in discussione elementi che rappresentano, in fondo, credenze diffuse e condivise a tutti i livelli sociali. Difficile, certo, ma non per questo meno essenziale. Perché dalla capacità di apprezzare e al contempo mettere in discussione l’ovvio possono derivare importanti opportunità di crescita e di sviluppo.
Nel mondo culturale ad esempio una delle credenze più diffuse prevede che le mostre siano più attrattive delle collezioni permanenti. Si tratta di una credenza ben fondata: il settore delle mostre è cresciuto in modo considerevole negli ultimi anni, divenendo sempre più appetibile sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista dell’offerta culturale.
Gli ultimi anni, però, hanno presentato non pochi shock esogeni, i cui effetti di medio periodo potrebbero anche riguardare la composizione della domanda culturale, sia in termini di caratteristiche del target, sia in termini di bisogni fruitivi da parte di cittadini e turisti.
Si pensi, ad esempio, alla grande attenzione mostrata, durante gli ultimi anni, al territorio. Si tratta di un trend in atto già da tempo, che il Covid ha però reso molto più evidente.

Durante l’anno delle chiusure, soprattutto a causa della quasi totale assenza di turisti stranieri, abbiamo riscoperto l’importanza, economica ma non solo, del turismo domestico e di prossimità. Persone che, per una serie di fattori oggettivi (impossibilità di viaggiare all’estero) e soggettivi (preferenza a restare in patria anche quando sono state riaperte le frontiere) hanno iniziato a viaggiare alla scoperta di mete nazionali prima non considerate.Inversione di tendenza sicuramente momentanea, ma che si aggiunge anche ad altri piccoli segnali di medio-lungo termine.

Tra questi, merita una particolare segnalazione la progressiva riscoperta dei borghi. Sebbene tali centri siano prevalentemente percepiti come elemento di attrazione turistica, lo sviluppo delle nuove tecnologie, l’auspicabile incremento della dotazione infrastrutturale, l’altrettanto possibile incremento del livello di diversificazione delle attività produttive, le esigenze relative a un riutilizzo del patrimonio costruito, nonché le correlate necessità di un incremento demografico, sono fattori che possono determinare un incremento dell’attrattività dei piccoli comuni, qualificandoli come luoghi in cui vecchi e nuovi cittadini possano perseguire e/o sperimentare nuovi modelli di vita.
Accanto a questo macro-trend potenziale, ci sono poi anche altri fattori che vanno presi in esame: la diffusione di una cultura manageriale all’interno delle organizzazioni culturali e delle Industrie Culturali e Creative si associa a un incremento del livello qualitativo dell’offerta culturale locale; gli investimenti infrastrutturali finanziati in parte dal PNRR permetteranno di rinnovare alcuni luoghi della cultura; il crescente interesse che organi di stampa e prodotti editoriali autonomi mostrano nei riguardi dei territori potrà avere degli effetti diretti sugli interessi dei cittadini; sviluppi digitali in grado di incrementare i canali di distribuzione di esperienze e prodotti dello spettacolo potrebbero permettere una distribuzione più capillare dell’offerta culturale, raggiungendo anche luoghi attualmente distanti dal centro urbano; l’esigenza, sempre più evidente, di coinvolgere sempre più cittadini in consumi culturali, che potrebbe divenire prioritaria da un momento all’altro in un confronto con le statistiche legate al consumo culturale presenti negli altri Stati membri.
Nessuna di queste evidenze è, oggi, a un punto di maturità tale da lasciare presuppore una sostanziale modifica delle preferenze di consumo culturale, eppure l’insieme di queste evidenze può contribuire a creare un sempre maggiore interesse verso le collezioni permanenti.

MOSTRE E CONSUMO CULTURALE

Stimolato a conoscere il proprio territorio, il cittadino potrebbe così percepire come più rilevante e appagante comprendere la propria storia locale, preferendo quindi una visita al Museo Civico vicino a casa piuttosto che a una mostra internazionale.
Potrebbe scoprire, ad esempio, che approfondire temi generalmente considerati meno appetibili (come ad esempio la storia delle meridiane nel proprio territorio), pur presentando un livello di soddisfazione minore durante la fruizione, presenti invece benefici più importanti durante la post-fruizione, riuscendo a riconoscere nei palazzi e nelle architetture della propria quotidianità segni e significati prima misconosciuti.
Sicuramente un passaggio di questo tipo non è imminente e non comporterebbe un crollo totale dell’interesse nei confronti dei grandi artisti internazionali.- Potrebbe però erodere un po’ del vantaggio comparativo tra mostre e collezioni permanenti: incrementando i consumi locali, l’investimento in mostre potrebbe risultare quindi un po’ meno appetibile.
La risposta potenziale sarebbe dunque un progressivo spostamento del volume di fatturato totale derivante dal consumo culturale a favore delle gestioni e delle concessioni, o la creazione di mostre che, pur presentando il carattere temporaneo e tutte le caratteristiche tipiche che hanno sinora fatto del prodotto-mostra una soluzione vincente, dedichino però maggiore attenzione al territorio. In questo senso, si potrebbe anche assistere a mostre più composite, che, pur presentando una tematica unitaria, allestiscano opere differenti per ogni occasione, declinando quindi il macro-tema di studio associando a un core espositivo una serie di manufatti artistici e culturali territoriali.
Riflessioni di questo tipo sarebbero forse oziose se applicate ad altri comparti. Acquisiscono invece un ruolo rilevante nella cultura che, malgrado sia ancora da molti vista come un comparto di serie B, è invece chiamata ad anticipare cambiamenti ben più sostanziali della preferenza tra differenti gusti di chewing-gum o tra differenti dimensioni dello schermo di uno smartphone.
Essere in grado di anticipare tali cambiamenti, e di preparare una strategia già prima che questi avvengano, è il ruolo dei manager che si occupano di attività culturali. In determinati campi è possibile agire reiterando semplicemente il passato. È possibile anche in quello culturale. Ma i risultati, poi, sono ben più evidenti.

di Stefano Monti– Fonte: Artribune

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