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LE CITTA’ DELL’APOCALISSE – LAODICEA.

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lunedì, Aprile 21, 2025
Laodicea, il Tempio A.

Con Laodicea arriviamo all’ultimo capitolo che conclude la serie dedicata alle “Città dell’Apocalisse”. E’ stato un entusiasmante progetto editoriale che ha arricchito sicuramente il suo Autore (e si spera anche i lettori) e che ha potuto vedere la luce grazie al supporto del Giornale Informazione Quotidiana e del suo Direttore Editoriale Angela Bernardo.

Città con il nome di Laodicea ve ne erano almeno sette. Quella che ci interessa nello specifico è Laodicea sul Lico, tra Colosse e Hierapolis. Deve il suo nome a Laodice I, moglie del re seleucide Antioco II. Essendo nel punto d’incrocio delle maggiori rotte commerciali della fertile valle del fiume Lico, Laodicea era situata in una posizione ideale con strade che la collegavano alle città di Efeso, Pergamo e Filadelfia, cioè l’altopiano anatolico e il bacino egeo.

Inizialmente rimase una cittadina di secondaria importanza ma, con la cessione del Regno di Pergamo ai Romani e la successiva stabilizzazione politica dell’Anatolia, seppe approfittare più che mai della sua posizione. Quest’ultima gli permise infatti di diventare rapidamente uno dei centri di tutto il commercio anatolico.
Fu un grande e ricco centro industriale attivissimo, noto per la lavorazione della lana nera e la sua scuola di oculistica, che preparava un ottimo collirio, tratto dalla macinazione di una pietra frigia e smerciato poi in tutto il mondo greco-romano. Laodicea era pure nota come un vivace centro bancario, che la faceva ricca e la rendeva superba della propria opulenza. Aveva un singolare problemino con l’acqua che sarà utilizzato, come vedremo, come esempio nell’Apocalisse. L’importanza di questa città oggi è duplice.

Per l’archeologia è un importante campo di studio e di ricerca, con i suoi templi, teatri e ninfei, e con un impianto urbanistico di grande rilevanza. Per il cristianesimo, Laodicea offre la possibilità di un ritorno alle radici. La città ricevette il cristianesimo sin dai tempi apostolici ed è una delle sette chiese citate nell’Apocalisse di san Giovanni, sede di una fiorente comunità cristiana. L’evoluzione dell’antica Laodicea sul Lico è fondamentale per comprendere la storia dell’Anatolia, territorio stracolmo di storia, troppo spesso dimenticata.

Laodicea è oggi uno dei siti archeologici più spettacolari della Turchia, ed è detta “la bianca” per il candido marmo di cui sono composi i suoi edifici. Andiamo dunque a visitare questa straordinaria città, oggi al centro di una attivissima campagna di scavo e di valorizzazione, in questo nuovo articolo della Rubrica “La Stele di Rosetta”, pubblicato in esclusiva per IQ. Buona lettura.

La “Via Siriana”.

INDICE DEI CONTENUTI:

LAODICEA SUL LICO

LA LOCALIZZAZIONE

IL NOME

LA STORIA

UNA CITTA’ FIORENTE

IL PROBLEMA DELL’ACQUA

LA CITTA’ DELL’APOCALISSE

IL CONCILIO DI LAODICEA

I PRIMI SCAVI

LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE

IL BILANCIO DEGLI SCAVI

CONCLUSIONI

LAODICEA SUL LICO

“Magnifica ed imponente con le sue sette moschee del venerdì, Laodicea possiede giardini stupendi, acque inestinguibili, fontane zampillanti e bei mercati. Quanto agli artigiani, quasi tutte donne bizantine, producono un eccezionale tessuto di cotone broccato d’oro, chiamato con il nome della città, che dura a lungo grazie alla qualità ed alla robustezza del filato.”

Ibn Battuta

Uno dei siti archeologici più spettacolari della Turchia è Laodicea, detta “la bianca” per il candido marmo di cui sono composi i suoi edifici. Sebbene Laodicea sorgesse sulla grande strada maestra all’incrocio di diverse importanti rotte, fu un luogo di scarsa importanza fino alla formazione della provincia romana dell’Asia nel 190 a.C. Poi divenne improvvisamente un grande e ricco centro industriale attivissimo, noto per la lavorazione della lana nera e la sua scuola di oculistica, che preparava un ottimo collirio, tratto dalla macinazione di una pietra frigia e smerciato poi in tutto il mondo greco-romano. Laodicea era pure nota come un vivace centro bancario, che la faceva ricca e la rendeva superba della propria opulenza. L’importanza di questa città oggi è duplice. Per l’archeologia è un importante campo di studio e di ricerca, con i suoi templi, teatri e ninfei, e con un impianto urbanistico di grande rilevanza. Per il cristianesimo, Laodicea offre la possibilità di un ritorno alle radici. La città ricevette il cristianesimo sin dai tempi apostolici ed è una delle sette chiese citate nell’Apocalisse di san Giovanni, sede di una fiorente comunità cristiana. L’evoluzione dell’antica Laodicea sul Lico è fondamentale per comprendere la storia dell’Anatolia, territorio stracolmo di storia, troppo spesso dimenticata.

LA LOCALIZZAZIONE

Laodicea al Lico (in greco Λαοδικεία πρός τού Λύκου e in latino Laodicea ad Lycum) è un’antica città dell’Asia Minore, situata nella valle del fiume Lico (Lykos, oggi Çürüksu – letteralmente “acqua sporca”), un affluente del Meandro (il Büyük Menderes). A sud, questa valle confina con le due maestose catene montuose di Honaz e Babadağ. E a nord si trova il monte Büyükcokelez, più basso e dolce. La valle in sé non è così piatta, ci sono alcune basse colline e alture. E le persone che fondarono Laodicea scelsero una di queste alture, nel mezzo della valle. Nella geografia antica, Laodicea si trovava al confine di Frigia, Caria e Pisidia.

I suoi resti si trovano a circa 6 km a nord-est del principale centro residenziale, la città di Denizli (nella provincia di Denizli in Turchia), deviando a sinistra dalla strada che va verso Pamukkale, in corrispondenza dei moderni villaggi di Eskihisar, Goncali e Bozburun.

Laodicea si trovava in mezzo ad altre due antiche città (a circa 12 km da ciascuna di esse). La prima di queste città era Colosse, situata appena a nord del Monte Honaz. E la seconda era Hierapolis (alla cui “Porta degli Inferi” abbiamo dedicato un articolo, questo il link per approfondire), situata in una delle destinazioni più famose della Turchia, il fantastico fenomeno naturale di Pamukkale, uno dei migliori punti di bellezza naturale della Turchia sud-occidentale, all’estremità settentrionale della valle.

Vista panoramica delle terrazze di travertino a Pamukkale.

IL NOME

In età antica molti centri portarono il nome di Laodicea. Soltanto durante il regno seleucide (312-63 a.C.) se ne contano almeno sette. La Laodicea biblica (la Bibbia riporta il toponimo greco Laodicea cinque volte: tre nella Lettera ai Colossesi, due nel Libro dell’Apocalisse) è individuata dal toponimo latino Laodicea ad Lycum.
Il nome della città (che in precedenza aveva i nomi Diospolis – “città di Zeus” – prima e di Rhoas poi) risale alla regina Laodice, prima moglie del re seleucide Antioco II che, stando a quanto tramandano le fonti, ricevette in sogno un oracolo del dio Apollo, che comanda di fondare la città. Cosa che avvenne tra il 261 e il 253 a.C.

Tetradramma raffigurante Antioco II di Siria. Zecca di Antiochia, 261-246 a.C.

Laodice I
Un discreto interesse suscita la figura di Laodice: fu la prima moglie, e probabilmente la cugina, di Antioco II. Come parte del trattato di pace con Tolomeo II Filadelfo d’Egitto nel 250 a.C., Antioco sposò la figlia di Tolomeo, Berenice, dalla quale ebbe un figlio, ripudiando quindi Laodice. Berenice convinse Antioco a impedire ai figli della prima moglie di succedere in favore del proprio. Tuttavia, alla morte di Tolomeo II nel 246 a.C. Antioco ripudiò Berenice per risposare Laodice, la quale riuscì a convincere Antioco a recarsi a Efeso, dove potrebbe essere caduto vittima dei suoi intrighi (si dice che lei lo avesse avvelenato). In seguito, Laodice ordinò l’assassinio di Berenice e di suo figlio, che avevano cercato rifugio a Dafne, vicino ad Antiochia in Siria. Questo atto portò alla Terza guerra siriaca (246-241), iniziata dal fratello di Berenice, Tolomeo III Evergete, contro Laodice e suo figlio, Seleuco II. Dopo un’energica organizzazione della resistenza, Laodice scomparve nel corso della guerra. Il profeta Daniele menziona questi fatti in Daniele 11:6.

LA STORIA

Il territorio era stato abitato già in epoca calcolitica (metà del VI millennio a.C.).
Fondata, come abbiamo visto, da Antioco II, venne da questi popolata con siriani e con ebrei che furono trapiantati da Babilonia nelle città di Frigia e Lidia. Questo fatto influenzò moltissimo l’insediamento, specie, come vedremo più avanti, con l’arrivo del cristianesimo.

La città fu coinvolta nelle lotte tra Seleuco III e Attalo I: dopo l’assassinio di Seleuco, il suo generale Acaio, che inizialmente aveva supportato il suo successore Antioco III, vi si proclamò re nel 222 o 221 a.C.
Venne poi sconfitto e ucciso da Antioco nel 213 a.C. e rimase ai Seleucidi fino al 188 a.C., quando passò al regno di Pergamo. Come tutto il territorio pergameno, fu lasciata in eredità ai Romani nel 133 a.C., entrando a far parte della nuova provincia di Asia.

Periodo romano
Le iscrizioni funerarie, a partire dal III secolo a.C. citano i monumenti che dovevano essere presenti nella città ellenistica (e che oggi non sono più visibili in quanto le strutture emerse risalgono tutte al periodo romano), come un mercato, uno strategeion, un ginnasio e un teatro. In età romana si sviluppò come centro per la produzione e il commercio della lana e l’industria tessile.

Medaglia romana in bronzo (45 mm, 45,6 g) raffigurante su un lato il ritratto di Caracalla e sull’altro l’imperatore accolto dai cittadini nell’Agorà durante la sua visita a Laodicea ad Lycum (216/217), davanti a un tempio a due colonne con soldati schierati su entrambi i lati.

Dopo il terremoto del 60, che devastò le città della valle del Lico, i cittadini furono in grado di ricostruire la città senza aiuti imperiali, che furono invece necessari per Hierapolis.
Secondo altre fonti più attendibili venne ricostruita da Augusto col nome di Cesarea.

Il retore Marco Antonio Polemone (88-144), che visse tra Smirne e Laodicea, ebbe sotto Traiano il privilegio di viaggiare gratuitamente per tutto l’impero.

Fu visitata da Adriano nel 129, da Caracalla nel 215 e da Valente nel 370.
I vari tipi di tessuti e vesti che vi erano prodotti sono citati nell‘Editto dei prezzi dioclezianeo.

In epoca tardo-imperiale fu metropoli della provincia di Phrygia Pacatiana.
Nel 395 fu circondata da mura, che restrinsero l’area occupata dalla città ellenistica e romana.

La Phrygia Pacatiana.

Nel 494 fu distrutta da un devastante terremoto e non venne più del tutto ricostruita. Gli abitanti si spostarono a Denizli-Kaleiçi, che ebbe nel VII secolo il nome di “Ladik”.

In mano ai Turchi
I problemi, tuttavia, sopraggiunsero nel Medioevo, periodo in cui si ritrovò ad esser terra di confine fra le forze turche e Bizantine. La cittadina sarà infatti più e più volte al centro di conquiste e ciò la spingerà in breve tempo a spopolarsi. Nel 1071 Laodicea fu presa dai Selgiuchidi; nel 1119 fu riconsegnata ai cristiani da Giovanni Comneno e nel XIII secolo cadde infine nelle mani dei turchi. Nel 1402 fu praticamente rasa al suolo dai mongoli. Ad oggi, di Laodicea sul Lico rimangono solo rovine, “infelice fra tutti, miserabile, povera, cieca e nuda.

Denizli, la nuova Laodicea
I Selgiuchidi spingeranno allora gli abitanti di questa città e di Hierapolis a recarsi in una città lì vicino, conosciuta oggi con il nome di Denizli, che vuol dire “marino”, in virtù delle tante acque che la circondano. Tale insediamento, in realtà, venne fondato dai greci con il nome di Attouda ma, anche in periodo romano, era rimasto all’ombra delle sue più celebri sorelle.

La città di Denizli.

Con l’unione dei due grandi centri, Denizli riuscì a crescere rapidamente in ricchezza e benessere, tanto da colpire sia Ibn Battuta che Evliya Çelebi per fasto e grandezza. La sua posizione gli permetterà inoltre di non soffrire particolarmente alcun conflitto, riuscendo a donare agli abitanti la pace che avevano perso.

UNA CITTA’ FIORENTE

Essendo nel punto d’incrocio delle maggiori rotte commerciali della fertile valle del fiume Lico, Laodicea era situata in una posizione ideale. C’erano strade che la collegavano alle città di Efeso, Pergamo e Filadelfia, cioè l’altopiano anatolico e il bacino egeo.
Inizialmente rimase una cittadina di secondaria importanza ma, con la cessione del Regno di Pergamo ai Romani e la successiva stabilizzazione politica dell’Anatolia, seppe approfittare più che mai della sua posizione. Quest’ultima gli permise infatti di diventare rapidamente uno dei centri di tutto il commercio anatolico.

Era una città molto prospera con estese operazioni bancarie. E quella prosperità era condivisa da una numerosa popolazione ebraica della diaspora babilonese. Indice di questa ricchezza è il fatto che quando il governatore Flacco ordinò la confisca della contribuzione annua destinata al tempio di Gerusalemme, l’oro sequestrato ammontava a oltre dieci chili.

Nell’anno 60 d.C., la città fu quasi interamente distrutta da un terremoto, ma i suoi cittadini erano così ricchi che rifiutarono orgogliosamente l’aiuto offerto da Roma e la ricostruirono rapidamente a proprie spese riuscendo ogni volta a tornare più ricchi e colti di prima.

Grazie allo straordinario benessere, si sviluppò un profondo gusto per scienza, letteratura, arte e medicina greca, tanto che a lungo le sue scuole divennero fra le più prestigiose in assoluto. Sotto i Romani, venne inoltre considerata città libera e gli venne quindi concesso di battere moneta, privilegio riservato a pochissimi centri abitati.

Il dio frigio Men, esposto al Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara.

Nei pressi di Laodicea c’era anche un famoso tempio dedicato al dio lunare Men Karou, dio primordiale della valle, il cui santuario rappresentava un centro amministrativo, commerciale e religioso. Sotto l’egida di questo dio si teneva un mercato, forse all’interno del cortile del tempio, presso il quale la gente della valle si incontrava e trafficava.

L’industria manifatturiera
L’attività bancaria e quella manifatturiera contribuirono alla ricchezza della città. È proprio la lavorazione della lana a costituire la base della fiorente industria tessile della valle del Lico. La flora locale forniva coloranti naturali per tingere i tessuti e incrementare così il ricco mercato del distretto, comprendente anche i territori di Colosse e Hierapolis. Plinio il Vecchio affermava che la lana era tinta di rosso o di viola mediante la Rubia tinctorum, una pianta erbacea perenne dalle cui radici si estrae l’alizarina, una sostanza colorante utilizzata nella preparazione di una lacca di colore rosso violetto. La tintura ottenuta dalla robbia era simile alla porpora, ma molto meno costosa.

Laodicea esportava i suoi prodotti lanieri in tutto il bacino del Mediterraneo, Roma inclusa, con notevole successo. Famosa era una particolare specie di pecora, dal caratteristico vello nero corvino, che forniva una lana alquanto soffice, lucente e raffinata, come attestano sia Strabone sia Vitruvio. È possibile che il nero fosse il colore naturale di un particolare tipo di pecora. O può darsi che Laodicea fosse nota per la speciale tinta nera che produceva.

La produzione tessile laodicese vantava un piccolo mantello, fissato sulle spalle con delle fibule, conosciuto come laodicia o laodikene e l’economica trimita, un tipo di tunica che diede a Laodicea una certa fama, tanto che negli elenchi del concilio di Calcedonia del 451 la città fu ricordata con l’appellativo di “Trimitaria”.

La “polvere frigia”
Un prodotto d’eccellenza della regione poi, era uno speciale collirio. La vallata del Lico era infatti un importante centro di scuole mediche e di laboratori farmaceutici, specializzati in oftalmologia. Poiché Laodicea era situata nella Frigia, può darsi che il medicamento per gli occhi detto “polvere frigia” (un impiastro che si applicava sugli occhi ed esportato sotto forma di morbidi panetti) fosse prodotto in quella città. Non sorprende dunque se l’adorazione del dio della medicina Esculapio, fosse molto diffusa a Laodicea.

Il culto di Esculapio.

Non è dunque un caso che l’autore del libro dell’Apocalisse abbia fatto ricorso all’immagine del collirio – come vedremo più avanti – come terzo e ultimo rimedio consigliato ai laodicesi dal Risorto per tornare a vedere.

IL PROBLEMA DELL’ACQUA

Nonostante i vantaggi commerciali, Laodicea aveva il problema dell’approvvigionamento idrico. La città non aveva sorgenti calde famose per le loro virtù terapeutiche, come la vicina Hierapolis. Né aveva una provvista di ristoratrice acqua fresca, come la vicina Colosse.

Un mini-canyon del torrente Aksu a Colosse.

In epoca ellenistica, romana e all’inizio di quella bizantina, l’acqua veniva portata dalle pendici del Salbakos, a circa 18 chilometri di distanza. Dalla sorgente di Başpınar, nel tratto iniziale l’acqua era convogliata in un acquedotto e poi, più vicino alla città, attraverso blocchi di pietra di forma cubica. Questi blocchi erano stati forati nel centro e poi cementati insieme. Era poi immagazzinata in bacini e trasportata a Laodicea, ai due centri di raccolta e distribuzione dell’acqua all’interno della città, attraverso un sistema che incorporava una rete di canali aperti, acquedotti e tubature.

I resti delle antiche tubazioni di Laodicea.

Un’altra risorsa della regione poi, dovuta alla sua natura tettonica, erano le diciassette sorgenti calde di Hierapolis, da cui scaturivano acque a una temperatura tra i trentacinque e i novantacinque gradi, dunque particolarmente adatte per l’istallazione di bagni termali.
Anche Laodicea vi attingeva, attraverso un sistema di tubi e condotti, sebbene l’acqua – ricca di idrocarbonato, calcio, biossido di carbonio, ferro e zolfo – si intiepidisse durante il percorso, fosse maleodorante e sgradevole al gusto.

Né calda, né fredda
L’acqua bollente proveniente dalle fonti di Hierapolis, come abbiamo visto, si intiepidiva durante il percorso verso Laodicea, ma i depositi calcarei che conteneva le davano un sapore sgradevole. L’acqua con carbonato di calcio ha un cattivo sapore e ha proprietà emetiche. Viceversa, le fresche acque sorgive di Colosse, provenienti dal vicino monte Cadmo, quando raggiungevano Laodicea, avevano perso la freschezza e quindi erano prive delle loro proprietà dissetanti. Questa caratteristica dell’acqua di Laodicea è stata poi ripresa dall’autore dell’Apocalisse per i suoi rimproveri, come vedremo più avanti.

Resti di una conduttura per portare l’acqua a Laodicea. Sono evidenti i depositi di incrostazioni calcaree.

Fonti antiche affermano esplicitamente che l’acqua di Laodicea era piena di sedimenti minerali (Strabone, Georg., XIII, 4, 14; Vitruvio, De Architectura, VIII, 3); per tentare di ovviare all’inconveniente, gli ingegneri romani installavano dei filtri che limitavano l’accumulo di calcare, evitando che le tubature si otturassero. Per ridurre al minimo le probabilità che queste scoppiassero, si cercava di dare al flusso idrico una velocità uniforme, con vari sistemi di incanalamento e trasporto, come la creazione di archi.

L’importanza dell’acqua per l’industria laodicese
A Laodicea l’acqua aveva un’importanza vitale anche per motivi economici: per il mantenimento della fiorente produzione agricola – soprattutto grano, frutta, ortaggi, olio e vino, mentre oggi il cotone la fa da padrone – e l’allevamento degli armenti, specialmente ovini. La sua alcalinità, inoltre, la rendeva ideale per il candeggio dei tessuti e il trattamento delle pelli.

LA CITTA’ DELL’APOCALISSE

Laodicea è particolarmente celebre nella letteratura sacra cristiana dei primissimi periodi, tanto da essere citata più volte nella “Lettera ai Colossesi” di Paolo di Tarso, in alcune versioni greche della “Prima lettera a Timoteo” dello stesso autore e, ovviamente, nell’Apocalisse di Giovanni. L’Apocalisse è l’ultimo libro della Bibbia.

Sebbene oggi il termine “apocalisse” sia considerato “la fine del mondo” (a causa di terribili disastri), il suo significato originale è semplicemente “rivelazione”, una profezia per il futuro. E sì, parla della fine di questo mondo, ma anche dell’inizio di un mondo nuovo e perfetto.
Questo libro è strutturato come una complessa profezia in più parti, data all’apostolo Giovanni intorno al 95 d.C., mentre era in esilio sull’isola di Patmos in Grecia. Questa profezia rivela segreti per il futuro (dal punto di vista di Giovanni) – dal I secolo d.C. all’eternità. Inizia con un’introduzione in cui Gesù Cristo rivela a Giovanni. Segue la prima parte principale del Libro dell’Apocalisse: i messaggi alle Sette Chiese d’Asia.

A metà del I secolo, l’apostolo Paolo arrivò a Efeso. Con lui si formò lì la prima comunità di cristiani. E grazie ai rapporti tra Efeso e le città dell’Asia Minore occidentale, il Vangelo di Gesù arrivò anche a Laodicea. Nacque così la Chiesa di Laodicea. E non solo a Laodicea, ma anche nelle due città vicine di Colosse e Hierapolis. Laodicea aveva una fiorente comunità cristiana, nata da un certo Epafra, un colossese forse convertitosi a seguito della predicazione di Paolo e divenuto suo assistente per quanto riguardava i rapporti tra lui e la Chiesa di Colosse. Da Colossesi 4,15 sappiamo che attorno al 60 d.C. la Comunità si radunava nella casa di un certo Ninfa.

La Settima Lettera
“All’angelo della Chiesa di Laodicea scrivi: Così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.
Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comprare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista. Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”.
(Ap 3,14-22).

Due angeli, ciascuno con una chiesa, Filadelfia e Laodicea – Cristo bussa alla porta.

Il significato
Dal testo citato risulta che verso la fine del I secolo d.C. il livello di vita cristiana della comunità laodicese era disastroso. Essa si trascinava in una tale mediocrità, soddisfatta di sé stessa, da porla in un’agonia prossima alla morte (vv. 15-16). Di qui l’energico e duro richiamo del profeta a nome di Cristo, che si presenta alla città dei compromessi come l’Amen, il Testimone fedele e verace (v. 14). Egli rinfaccia con sferzante ironia ai Laodicesi la loro ottusa presunzione, che in realtà nasconde solo povertà, cecità e nudità (v. 17), cose tutte che si pensavano prive di cittadinanza a Laodicea, dove abbondavano ricchezza, collirio e tessuti. Un fatto degno di nota è che San Giovanni si servì degli aspetti caratteristici di Laodicea per illustrare i bisogni della comunità. È chiaro che i cristiani di quel luogo erano partecipi della generale prosperità insieme agli altri cittadini. Ma la comunità, pur non essendone consapevole, era spiritualmente povera, cieca e nuda. Quindi, ciò di cui essa aveva bisogno non era l’oro maneggiato dai banchieri laodicesi. Non erano le vesti di lana nera confezionate localmente. Non era la “polvere frigia” prodotta dai medici. Non erano le calde acque medicamentose della vicina Hierapolis né le acque fresche di Colosse. Ma la comunità laodicese aveva invece bisogno di ciò che corrispondeva a queste cose in senso spirituale.

  • La prima cosa che Giovanni dice alla Chiesa di Laodicea è che è tiepida, né fredda né calda. Cosa significa? Ovviamente, l’autore dell’Apocalisse si riferiva all’acqua di Laodicea. Non era fresca e fredda come l’acqua di Colosse, né calda con proprietà curative come l’acqua di Hierapolis. Laodicea si trovava nel mezzo, e la temperatura della sua acqua era “nel mezzo”. Ed era di cattivo sapore. Così cattivo che si poteva buttarla via se si cercava di berla.
    Lo stesso accadde ai cristiani di Laodicea. A causa della loro ricchezza, erano diventati “di mezzo”, indifferenti alla parola di Dio. Avevano denaro e la loro missione cristiana era solo uno “sfondo”. Persero il loro “gusto spirituale” e divennero “cattivi”.
  • I cristiani di Laodicea pensavano di essere ricchi. Avevano denaro. E non avevano bisogno di Gesù. Quindi, l’Apocalisse fece riferimento al rifiuto dei Laodicesi di ricevere aiuto dall’imperatore Nerone dopo il terremoto. E in questo riferimento, disse loro che in realtà erano spiritualmente poveri, ciechi e nudi.
    Giovanni disse loro che avevano bisogno di qualcosa che non potevano acquistare dai mercati della loro città. Un oro spirituale – la loro fede, vesti bianche – le loro azioni giuste, e un collirio spirituale (il collirio era un prodotto con cui commerciavano) per poter vedere la verità spirituale. E queste tre cose potevano comprarle solo da Gesù.
    Giovanni li invitò al pentimento.
  • L’immagine successiva è quella di una casa con la porta chiusa a chiave. Gesù era fuori, bussando a quella porta. E se avessero aperto la porta, avrebbero potuto cenare con Lui, una cena speciale che non può essere paragonata a nulla al mondo.
    Questa casa era il loro cuore. Gesù era fuori dai loro cuori, ma era pronto a tornare se glielo avessero permesso. Ciò che offriva loro era un rapporto speciale, loro e Lui, personalmente.
  • Così si conclude il messaggio alla Chiesa di Laodicea. A chiunque si fosse pentito era stata promessa la vittoria come Gesù e la possibilità di sedere su un trono come Lui.
    E questo messaggio non era rivolto solo ai cristiani di Laodicea, ma era una profezia rivolta a tutte le altre chiese del mondo che nei secoli successivi si sarebbero trovate in una situazione simile.

IL CONCILIO DI LAODICEA

Non sappiamo se i cristiani di Laodicea si siano pentiti o meno. Forse alcuni sì, altri no. Quello che sappiamo è che la loro chiesa rimase stabile e crebbe. E, insieme alle altre chiese dell’Impero Romano, subì altre persecuzioni, ma sotto l’imperatore Costantino I il Grande, le persecuzioni terminarono e il cristianesimo divenne religione di stato in pochi passi. Laodicea divenne sede di alcuni dei primi vescovati in assoluto, trasformandosi successivamente persino in un’arcidiocesi metropolitana.

L’immagine raffigura il Concilio di Nicea, ma è rappresentativa di ogni Concilio.

Da un punto di vista teologico, il massimo traguardo della città venne raggiunto fra il 363 ed il 364, momento in cui ebbe luogo il Concilio di Laodicea. Si trattava di un sinodo regionale di circa 30 chierici dell’Asia Minore che proprio a Laodicea si riunirono. Le preoccupazioni principali del sinodo riguardavano la regolamentazione della condotta dei membri della chiesa. Il Sinodo ha espresso i suoi decreti, sotto forma di regole scritte o canoni, che ebbero notevole importanza per la storia della Chiesa.

I Canoni Il testo dei sessanta canoni greci che noi possediamo è, secondo gli studiosi, un sunto dei canoni originali. In almeno cinque canoni è chiaro che sono riprodotte disposizioni disciplinari già sancite a Nicea. Le norme non vertono su questioni di fede e di dottrina, ma unicamente su questioni disciplinari e liturgiche. Ci si occupa di matrimoni, battesimi, confessioni, digiuni, eresie, rapporti con giudei e non cristiani. Alcuni canoni intendono reprimere pratiche idolatriche e magiche. Si prescrive che in chiesa si debbano proclamare solo i libri della Sacra Scrittura e se ne fissa il canone. Nello specifico:

  • Mantenere un ordine tra vescovi, clero e laici (canoni 3-5, 11-13, 21-27, 40-44, 56-57)
  • Far applicare un comportamento modesto dai chierici e laici (4, 27, 30, 36, 53-55)
  • Regolazione approccio con gli eretici (canoni 6-10, 31-34, 37), gli ebrei (canoni 16, 37-38) e i pagani (canone 39)
  • Bandire il mantenimento del sabato ebraico e incoraggiare la domenica (canone 29)
  • Struttura delle pratiche liturgiche (canoni 14-20, 21-23, 25, 28, 58-59)
  • Restrizioni durante la Quaresima (canoni 45, 49-52)
  • Ammissione e istruzioni per i catecumeni e i neofiti (canoni 45-48)
  • Definizione dei libri canonici che si possono leggere in chiesa (canoni 59-60)

Il canone 59 stabiliva che fossero letti in chiesa solo i libri canonici sia del Vecchio Testamento che del Nuovo Testamento.

Il canone 60 elencava questi libri. Il canone 60 stabiliva per il Nuovo Testamento 26 libri, omettendo l’Apocalisse di Giovanni, e per l’Antico Testamento i 22 libri della Bibbia ebraica più il Libro di Baruc e la Lettera di Geremia.
L’autenticità del canone 60 però è dubbio in quanto manca in vari manoscritti e perciò si ritiene una aggiunta postuma, elenco forse ripreso da Cirillo di Gerusalemme che intorno al 350 d.C. produsse un canone biblico che ha molte corrispondenze con quelle del sinodo di Laodicea, volto a dare dei riferimenti precisi alle disposizioni del canone 59 più che a stabilire un canone della Bibbia.

Il Sinodo stabilì anche per la prima volta nel cristianesimo la condanna esplicita dell’astrologia, proibendo ai sacerdoti di esercitarla (canone 36), una questione sulla quale teologi e legislatori non avevano ancora raggiunto un consenso.

I PRIMI SCAVI

Rovine di Laodicea, incisione di William Miller da T. Allom, 1847.
Fonte: Waverley Novels vol. XII (edizione Abbotsford). Walter Scott. Edimburgo e Londra: Robert Cadell, Houlston & Stoneman 1842-1847.

A detta di alcuni visitatori dell’800, nessuna delle Sette Chiese dell’Apocalisse giaceva così desolata e in rovina come Laodicea. Le rovine, oggi chiamate Eski Hissar, ovvero “vecchio castello” (un piccolo villaggio circondato da antichi resti archeologici), si trovano nei pressi dell’odierna Gonjelli, lungo la ferrovia, e hanno a lungo servito da cava di pietra per i costruttori della vicina città di Denizli. Tra di esse non è emerso nulla di anteriore al periodo romano.

Le vestigia della città furono viste da viaggiatori occidentali nel corso del XVII e XVIII secolo, che ne pubblicarono stampe e vedute. Una prima mappa dei resti della città fu disegnata da Georg Weber, che si occupò delle strutture di approvvigionamento idrico della città. Nel 1961-1963 l’Università del Québec condusse scavi nel ninfeo di Caracalla e nel 1992 il Museo di Denizli sulla via colonnata. Negli anni 1994-2000 Gustavo Traversari dell’Università Ca’ Foscari di Venezia condusse una serie di ricognizioni sul sito, i cui risultati furono pubblicati in una serie di volumi. Il sito continua a restituire meraviglie che stupiscono gli studiosi come i semplici turisti. Dal 2003 la locale Università di Pamukkale è titolare della missione.

LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE

Gli scavi stanno riportando in superficie il volto di un centro florido che si estendeva su un’area complessiva di cinque chilometri quadrati e che può vantare tra i suoi resti il più grande stadio antico dell’Anatolia, due teatri, quattro complessi termali, quattro agorà, sette ninfei, due porte monumentali, il bouleuterion, templi, chiese e ampie strade. In alcuni punti, si possono osservare cumuli di resti di condutture idriche con sedimenti al loro interno, residui delle cattive acque tiepide di Laodicea.
Il rigoroso rispetto dell’impianto ippodameo (un tipo di pianta architettonica in cui le strade sono disposte in modo tale da formare angoli retti alla loro intersezione e una serie di isolati quadrangolari) e i perimetri regolari delle strutture, arricchite da strade maestose e da traverse laterali, testimoniano una pianificazione urbanistica eccellente. Andiamo a vedere nel dettaglio i resti più significativi di Laodicea.

La “Via Siriana”

La “Via Siriana”.

Il decumano (oggi Via Siriana) corre in senso nord-ovest – sud-est, per 902 metri tra la “Porta di Efeso“, e la “Porta Siriana“, suddivisa in due tratti paralleli collegati da due strade ortogonali ed è ampio 7,30 metri; mentre il cardo (Via dello Stadio) si estende verso sud per 288 metri.
Il tratto meridionale (“Via Siriana”) è dotato di un ampio condotto fognario sotterraneo. Il tratto settentrionale prende il nome di “Via di Efeso“. Entrambi i tratti sono fiancheggiati da portici con colonnati dorici, sopraelevati con due gradini, all’interno dei quali si aprono file di botteghe.

La “Porta di Efeso“, era a tre arcate e con torri rettangolari sporgenti alle estremità.
Venne costruita insieme alla “Porta Siriana” nell’84-85 dal proconsole Sesto Giulio Frontino e furono dedicate a Domiziano, come l’analoga “Porta di Frontino” a Hierapolis.
Si tratta probabilmente di un unico intervento urbanistico, insieme alla sistemazione della “Via Siriana”, che venne realizzato dopo le distruzioni del terremoto del 60.

A queste due porte si aggiungevano una “Porta di Afrodisia” a sud-ovest e una “Porta di Hierapolis” a nord-est.

Il Tempio A

La struttura si trova all’estremità nord del cortile rettangolare circondato da portici sul lato nord di Via Siria. Il tempio è un prostilo con quattro colonne scanalate a spirale nella parte anteriore. Fu costruito con blocchi di travertino su un alto podio e rivestito in marmo. Il recinto del tempio occupa l’area di due isolati secondo la pianta ippodamica. Costruito in età antonina (II secolo d.C.), il tempio fu ampiamente ristrutturato durante il regno dell’imperatore Diocleziano (284-305 d.C.). Gli scavi hanno dimostrato che l’edificio fungeva da archivio nel IV secolo d.C.

A Sul lato nord della “Via Siriana”, presso la “Porta Siriana” si trovano i resti di un recinto sacro (temenos) con porticati su tre lati di ordine corinzio e un piccolo tempio prostilo sul lato di fondo settentrionale (“Tempio A”).

Il tempio è stato identificato con il Sebasteion (tempio di culto imperiale) ricordato dalle fonti durante il regno di Commodo e di Caracalla, tra la fine del II e gli inizi del III secolo.

L’agorà romana

Sul lato sud della via si trova l’agorà romana, sulla quale si affacciava, un impianto termale suddiviso in cinque ambienti. Nel V-VI secolo parte di esso, con l’aggiunta di altri ambienti e di un’abside, venne trasformato in una chiesa (“Basilica delle Terme”), decorata con elementi di reimpiego e coperta da una massiccia volta. L’agorà romana fu trasformata con l’aggiunta di un porticato sui lati e davanti alla facciata della nuova basilica, pavimentato in opus sectile con marmi colorati.

Il ninfeo

Fontana monumentale all’incrocio tra Via Siria e Via Stadio, che conduce a sud. Trovandosi ad angolo, presenta due facciate e una pianta insolita. Fu costruita in onore e dedicata all’imperatore Caracalla (212-217 d.C.) in occasione della sua visita in città.

Un ninfeo (fontana monumentale) si trova all’intersezione tra la “Via Siriana” e una delle vie che la intersecavano in direzione sud-ovest. Collocata all’angolo dell’isolato, consiste in una piscina quadrata, fiancheggiata, sui lati nord ed ovest, da due altre vasche semicircolari. Venne costruito probabilmente in occasione della visita dell’imperatore Caracalla. Nel V secolo fu trasformato in battistero.

I teatri
La città ebbe due teatri, entrambi appoggiati sul pendio naturale della collina e successivamente inglobati nel percorso delle mura bizantine.

Il “Teatro Occidentale“, forse il più antico, ha un diametro di 85 m e poteva ospitare circa 15000 spettatori. Risalente a 2.200 anni fa, è una struttura interamente scavata nel terreno naturale, secondo la tradizione ellenistica, nel nord-ovest dell’antica città di Laodicea. Durante gli scavi effettuati nel teatro, sono state rinvenute 23 file di gradini nella sezione inferiore e 20 file di gradini in quella superiore. Le lettere sulla fronte dei gradini erano collegate alla disposizione dei posti a sedere con biglietti, come nei teatri odierni, ed era presente una loggia d’onore. Durante i lavori di scavo, è stato rinvenuto per la prima volta un posto d’onore semicircolare. Ciò dimostra che una sezione speciale del teatro era riservata agli amministratori e alle personalità di spicco della città. Le lettere sui gradini sono simili a quelle dei teatri odierni, in quanto rivelano il sistema di numerazione dei biglietti.

Il Teatro Settentrionale. Fu utilizzato fino al VII secolo, poi utilizzato come cava. Alcune file di gradini sono scivolate o scomparse a causa dell’attività estrattiva, ma molte rimangono ancora.

Il “Teatro Settentrionale” aveva un diametro di 110 m e poteva ospitare circa 20000 spettatori; conserva parte della scena, di epoca romana, con ampio nicchione centrale e in origine decorata da un colonnato su tre ordini.

Lo stadio

Lo Stadio.

Nella parte meridionale della città si trova uno stadio, appoggiato al naturale pendio della collina e disposto in direzione est-ovest (280 m x 70 m). Sul suo lato orientale si conserva un accesso con un’iscrizione di dedica al proconsole Marco Ulpio Traiano, padre dell’imperatore Traiano, che fu governatore della provincia d’Asia nel 79.

L’agorà cittadina

L’agorà centrale.

Presso lo stadio si trovava una piazza, identificata come l’agorà cittadina, sul cui lato settentrionale si affaccia un Bouleuterion (un piccolo edificio con cavea semicircolare destinato alle riunioni del consiglio cittadino), di ordine composito e un edificio a pianta circolare di cui si è ipotizzata l’identificazione con un Prytaneion. Sull’opposto lato meridionale la piazza termina in un complesso termale (“terme meridionali”) che occupa uno spazio di 132 m per 75 m, con ambienti coperti a volta e rivestiti in origine di marmo. La pianta si articola in una stretta aula di ingresso centrale sulla quale si allineano ambienti disposti simmetricamente sui due lati. Secondo un’iscrizione l’edificio venne dedicato all’imperatore Adriano e all’imperatrice Sabina, in occasione della visita imperiale a Laodicea nel 129.

Le Terme Occidentali

Le Terme occidentali.

Un altro edificio termale (“Terme Occidentali”) si trova sul lato sud della “Via di Efeso”, con ambienti coperti a volta e rivestiti da lastre di marmo in origine, databile probabilmente al II secolo. Dopo il crollo nel terremoto del 494, le Terme svolsero altre funzioni fino all’abbandono della città all’inizio del VII secolo d.C.

La grande Basilica cristiana

Del 2011 è la scoperta più eclatante per il mondo cristiano. Fu ritrovata dal professor Celal Şimşek, capo della missione archeologica turca, la grande Basilica dell’antica Laodicea risale all’epoca bizantina. Essa presenta ancora il nartece (lo spazio posto fra le navate e la facciata principale della chiesa, ed aveva la funzione di ospitare catecumeni e soprattutto pubblici penitenti) il battistero, il complesso episcopale (residenza del vescovo, archivi, cucina) e una serie di dieci absidi lungo le fiancate laterali che conferiscono all’edificio uno stile piuttosto singolare. Oggi è coperta da un tetto in vetro per proteggerla dalle intemperie ed è ben restaurata.

IL BILANCIO DEGLI SCAVI

Veduta aerea dell’area archeologica di Laodicea.

Oltre 5.000 reperti storici sono stati rinvenuti in 21 anni di scavi a Laodicea
Si prevede che anche quest’anno l’antica città di Laodicea a Denizli, inserita nella lista temporanea del patrimonio mondiale dell’UNESCO e dove lo scorso anno il numero annuo di turisti ha superato per la prima volta i 100 mila, riceverà più di 100 mila visitatori.

Il Professor Celal Şimşek.

Sono trascorsi 22 anni dai lavori di scavo e restauro svolti sotto la direzione di Celal Şimşek a partire dal 2003.

Negli ultimi 22 anni sono state rinvenute magnifiche strutture risalenti a periodi diversi e numerosi reperti che illustrano la vita e la cultura dell’antica città.
I reperti storici più sorprendenti della città antica sono le vie “Siriana” e “dello Stadio”, i blocchi di travertino affrescati risalenti a 1750 anni fa, la statua dell’imperatore Traiano, alta 3 metri, la fontana di Traiano risalente a 2000 anni fa e la statua della testa del sacerdote che si pensa abbia 2000 anni.

Nello specifico, la Fontana di Traiano, ritenuta completamente distrutta dal terremoto del 610 d.C., è stata ricostruita dagli archeologi ed è tornata ad essere un centro di attrazione dopo secoli. Costruita 1910 anni fa, è uno degli esempi più rari al mondo. La statua dell’imperatore Traiano, alta 2 metri e 84 centimetri, è un esempio molto raro per le sue dimensioni e proporzioni gigantesche, in particolare per le raffigurazioni sull’armatura. L’area principale, sulla facciata anteriore, dove è collocata la statua, ha un’altezza di quasi 10 metri. L’area adiacente è alta circa 8 metri. La struttura, il cui restauro è stato completato, è diventata un’attrazione a Laodicea.

La testa di Igea al momento del ritrovamento.

Infine, è stata riportata alla luce la testa della statua attribuita a Igea, nota nell’antichità come la dea della pulizia e della salute.

Şimşek, che ha affermato che i lavori di scavo e restauro sono stati svolti per 12 mesi dal 2008, ha dichiarato: “Grazie a questi lavori, abbiamo ricostruito numerose strutture. Attualmente, Laodicea è conosciuta sia nel nostro Paese che nel mondo ed è uno dei siti archeologici più visitati del nostro Paese”.
Şimşek ha affermato che l’antica città di Laodicea è importante sotto ogni aspetto, in quanto luogo in cui si mantengono vivi il commercio, l’arte, la cultura, lo sport, la letteratura e la medicina risalenti a migliaia di anni fa e che anche l’interesse dei turisti per la città è in aumento.

CONCLUSIONI

Si conclude con questo articolo, il nostro viaggio attraverso le “Città dell’Apocalisse”, un viaggio grazie al quale abbiamo conosciuto ed ammirato alcune fra le più suggestive città dell’Asia Minore, città dense di storia…e di storie, la cui importanza archeologica si fonde con quella religiosa del primo cristianesimo, città rese immortali dal Nuovo Testamento. Da Efeso a Pergamo, da Sardi a Filadelfia, da Smirne a Tiatira e Laodicea, abbiamo conosciuto le caratteristiche peculiari delle comunità che vi dimoravano, i loro pregi e i loro difetti, l’ascesa e il tramonto inesorabile del mondo antico, spazzato via dall’evolversi degli eventi storici, ma che ha lasciato un’eredità che oggi, grazie ad una nuova sensibilità (che speriamo duratura) viene lentamente riscoperta e valorizzata.

Un doveroso ringraziamento va alla Direzione Editoriale di IQ per aver permesso la realizzazione di questo nuovo progetto, e un grazie speciale a tutti i lettori per aver seguito, numerosi come sempre, ogni episodio della serie.

“La Stele di Rosetta” tornerà con nuovi ed appassionanti articoli.

Il tramonto a Laodicea.

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