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LA TRASFORMAZIONE DEL TERZO SETTORE: UN IMPERATIVO CHE CHIEDE COMPETENZE E VISIONE E UN PASSO AVANTI.

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giovedì, Marzo 28, 2024

Questa settimana abbiamo intervistato Paola Palmerini vicina a CONFASSOCIAZIONI dalla sua nascita nel 2013 e primo Presidente della sua branch Terzo Settore. Una Professionista che affonda le sue radici in responsabilità manageriali sia per gruppi multinazionali che per realtà imprenditoriali in momenti di cambiamento di governance e di strategia, dedicata a coltivare da vicino esperienze nello sviluppo strategico e operativo di Enti del Terzo Settore e in campi in cui la responsabilità sociale trasforma il modo di fare business e di innovare.

Da oltre 15 anni ha sperimentato imprese e fondato propri nuclei di consulenza guidati dall’obiettivo che si possa coniugare privato-pubblico, business e innovazione sociale, organizzazioni che sanno generare risultati concreti senza compromessi tra profitto e azione sociale eticamente rilevante: la vera continuità di missione di ogni impresa – Mission Continuity.

Perché parlare di trasformazione in ambito del Terzo Settore ?

“In trent’anni di carriera mi sono sempre messa a confronto sui risultati oltre che sul come fare le cose e nel tempo i ruoli di responsabilità e di governance han contribuito a far emergere quanto fossero rilevanti per me per il successo di ogni trasformazione condotta in azienda non solo i momenti di successo e di risultato, ma anche tutti quei momenti in cui la trasformazione aveva dato un senso concreto ai valori delle persone, delle culture, delle diversità e dei territori a cui veniva applicata. Quando trasformi un servizio, un prodotto, una organizzazione per adattarsi ai fabbisogni del mercato e per raggiungere nuovi obiettivi, non puoi guardare solo a te stesso, ma devi guardare agli altri e con gli altri saper generare un risultato che costituisca il “bene comune”.

Ecco questo mi ha portato a pensare che solo conoscendo i due lati dell’impresa, quella del profitto per un shareholder e quella del profitto per un stakeholder , avrei potuto aiutare a percorrere sentieri comuni per progetti di vera trasformazione che non dimenticano alcuno, e che generano solo economie sostenibili e socialmente rilevanti, senza dimenticare per strada alcuno.

Gli Enti del Terzo Settore hanno obiettivi primari di efficienza ed efficacia nella realizzazione dei loro servizi, ma ancor più di ogni altra impresa non possono permettersi errori strategici o gestionali perché altrimenti nessun’altro manterrà la cura delle fragilità di persone e ambiente senza trade off , tra profitto e ben-essere.

Quindi è fortemente stimolante costruire competenze che permettano di fare esperienze progettando innovazione solo sociale, progettando azioni solo coordinate e volute da pubblico e privato, progettando azioni i cui risultati e impatti saranno nel tempo sostenibili e saranno i soli che permetteranno di generare economia veramente civile.

TUTTI dovremmo lavorare così e su questo creare le nostre competenze ed esperienze”.

Quali sono quindi le peculiarità della trasformazione nel Terzo Settore?

“Il Terzo Settore dispone di competenze, di capitale umano, relazionale e intellettuale. Può andar oltre alla sola capacità di fornire servizi efficaci ed efficienti. A mio parere deve farlo, guardando lontano per pensare e assicurare un ritorno di valore continuo. Quindi deve ragionare come fa chi non “gli basta mai”, e deve saper fare profitto per reinvestire e generare altro lavoro finalizzato alla cura di cui si occupa; deve guardar fuori, avere una visione della sua missione, essa stessa inclusiva: generare coesione sociale per includere chi non ha la sua missione ma tiene – come l’ente stesso – al bene comune.

Solo esempi virtuosi di cooperazione profit-non profit, di cooperazione pubblico-privato, di comunicazione estroversa ed introversa, di innovazione di processi o prodotti o servizi la cui anima sociale è integrata nel loro disegno e nel loro successo, creano le possibilità di aver nuove conoscenze che genereranno nuove competenze “perfette” per il mondo che ogni generazione deve lasciare alla successiva.

Per trasformare (e non semplicemente cambiare! e qui adatto a noi il pensiero di una cara amica filosofa Annarosa Buttarelli) bisogna saper andar oltre, non fermarsi agli impedimenti, avere visione e riferirsi sempre a quanto ha valore sempre e ha valore da sempre, e saper fare anche e comunque un passo avanti con autorevolezza: genealogia femminile nel governare – uomini e donne – con cura e fermezza.

Questo è trasformare il nostro fare e il nostro pensare ogni giorno, in ogni processo, in ogni produzione, in ogni cura mettendo al centro capacità multidisciplinari e multisensoriali: è una trasformazione per tutti perché tocca l’ “Umanità”.

E allora come ?

“Si deve puntare sul riconoscere che impatto abbiamo con i nostri processi: efficacia più che efficienza. Bisogna imparare a pianificare, programmare e gestire azioni complesse, molto complesse.

Se siamo un ente piccolo, una volta capito cosa occorre per fare un passo avanti, va cercato – subito – con chi farlo.

Diversamente non si generano risposte omogenee sui territori, si rischia di non fare a causa di “non-sostenibilità” o si rischia di non imparare-riconoscere dalle diversità.

Inoltre, mettersi in rete da un lato abbatte i costi, dall’altro aumenta le probabilità di riuscita e garantisce un’offerta più ampia. Per questo è meglio non sempre procedere da soli.

Ogni esperienza di co-progettazione di per sé – anche se non realizzata completamente – genera nuove discipline e nuova conoscenza. Quindi investire …investire in co-progettazioni e in innovazione sociale.”

In che modo può aiutare la riforma del Terzo Settore?

“La riforma prevede regole sul controllo e ha istituzionalizzato in qualche modo la co-progettazione. In più ha messo il dito e accompagna (non è solo un fatto di compliance pura da aspettarsi) in quelle aree fondamentali per il buon governo di progetti di sviluppo per il bene comune: trasparenza, controllo, coerenza nella identità nonché tra mission e organizzazione, trasformare, e generare progetti in rete. In una parola regola la governance a servizio della strategia del bene comune.

Quindi si deve sviluppare l’ente applicando il principio strategico che sta dietro alla norma. La riforma oggi può aiutare molto le associazioni non solo nell’adeguamento, ma a verificare in qualità e quantità che impatto si sia generato.

Certo nulla è perfetto, ma inizia ad essere un passo importante e va capito, perché cambia progressivamente con l’applicazione il panorama di questo mercato.”

Cosa è necessario per lo sviluppo del Terzo Settore?

” C’è un problema enorme di competenze “da impresa”. È necessario realizzare un mercato di professionisti e di competenze anche multidisciplinare, ma molto più variegato e diverso da ieri.

Servono più persone con capacità di project management, di strategia e di negoziazione, e capaci di valorizzare le diversità e la cultura.

Serve iniziare dalla scuola: “formare” queste competenze, potendo dimostrare che le competenze e le opportunità oggi esistenti e accessibili a tutti (dal digital alle possibilità certo maggiore del passato di fare esperienze) sono solo uno strumento più forte del passato per coltivarle ed applicarle sempre.

È importante saper stare al tavolo con altri soggetti – completamente diversi e con obiettivi o appartenenti a culture e territori diversi.

Lasciando indietro ogni autoreferenzialità (comunicando impatti e non quanto bravi siam stati) vanno cercati e promossi finanziamenti che sostengono le azioni che sanno generare competenze e i progetti di rete che sanno trasformare.

E’ importante che le istituzioni pubbliche non deleghino puramente l’esecuzione di servizi a enti del Terzo Settore (come a un fornitore più vantaggioso) ma ne condividano la responsabilità della qualità e della efficacia co-progettandone contenuti e impatti e facilitando/co-finanziando tavoli misti di competenze e advocacy”.

Quali sono le difficoltà che incontra oggi il mondo no profit?

” I soggetti del no profit sono sempre a corto di tempo, occupati e affannati sul quotidiano. Quindi finiscono spesso per usare strumenti non appropriati e non al momento opportuno. Sono più impegnati nel fare, nel breve, perché assorbiti nel processo, nel dare un servizio di qualità nell’assistenza.

Poi c’è il problema delle risorse economiche e della competizione. Per questo insisto sulla necessità di fare rete. Bisogna farlo con determinazione anche perché il compito di agire in rete non è delegabile, il Terzo Settore lo deve svolgere in prima persona.

Infine, c’è il problema del passaggio generazionale..molti enti del Terzo Settore sono guidati da sola persona/famiglia, che dimentica di creare le condizioni di autonomia al suo ente e dimentica di passare il testimone….esattamente come accade ed è accaduto in molte imprese PMI familiari”.

In questo panorama come vede il futuro?

” Il Terzo Settore sta attraversando un passaggio cruciale e i tempi di trasformazione sono lenti. Tuttavia sono ottimista: è un problema culturale.

Iniziamo a parlarne seriamente sin dalla formazione primaria, nel modo giusto, ma farlo. E nelle famiglie, che altrimenti perdono sempre più il proprio ruolo di trasformazione. Il modello di welfare generativo prefigurato da Stefano Zamagni comporta l’individuazione dei tipi di progetti operativi che permettono di generare, cioè, di trasformare costi in investimenti e la risorsa in lavoro. Questa non è un’operazione semplice, soprattutto per chi si è sempre dedicato al fare nell’immediato, ma su questo noi lavoriamo e sperimentiamo.

Gli enti del Terzo Settore hanno una straordinaria ricchezza nel capitale umano, sociale e relazionale, ma i paradigmi van modificati.

La pandemia e quanto stiamo vivendo ci ha fatto pensare, e molti Enti (come le imprese e con meno mezzi) nel cercar il modo di resistere han trasformato le proprie attività nei servizi della propria mission, nelle modalità di raccolta fondi e nei progetti e negli impatti che han sviluppato: trasformazione, sviluppo organizzativo e innovazione sociale”.

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