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Intervista al Dottor Angelo Deiana, il Presidente di CONFASSOCIAZIONI, la “rete delle reti”, in continua crescita tra impegno attivo e fattivo per il bene del Paese e proposte concrete sulle tematiche di stringente attualità.

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giovedì, Aprile 25, 2024

La nostra testata IQ ha oggi il grande piacere di ospitare il Dottor Angelo Deiana, il Presidente di CONFASSOCIAZIONI, “la rete delle reti”, come egli stesso l’ha definita, una grande rete professionale che dalla sua nascita nel 2013 ad oggi ha raggiunto 1 milione e 240 mila iscritti diretti, di cui più di 213 mila imprese con 5,2 dipendenti medi e che è caratterizzata dall’inizio per il suo radicamento nell’associazionismo professionale con 715 organizzazioni aderenti. In riferimento specifico, poi, alla conferenza stampa programmatica di CONFASSOCIAZIONI tenutasi al Senato le scorse settimane per annunciare le novità e i super ingressi del nuovo organigramma per il 2022 vogliamo citare le quattro fondamentali ed attualissime tematiche del lavoro, della sicurezza, del Fattore D – Donne e Disabilità e del Reddito di Cittadinanza che in tale occasione sono state affrontate ed approfondite e a queste riallacciarci nella nostra intervista.

1) Dottor Deiana, come incipit Le chiederei di trattare della tematica del lavoro nelle sue varie declinazioni, in un mercato anestetizzato e non privo di contraddizioni ed emergenze, che cerca la sua stella polare da seguire in un mare magnum di instabilità.

Grazie per la domanda perché focalizza bene la fase attuale. Noi siamo ancora in un mercato del lavoro che sta uscendo dall’era Covid e però è ancora anestetizzato da due grandi fattori: il primo fattore è la cassa integrazione Covid che è estesa anche a livelli di impresa che prima non ne usufruivano. Il secondo fattore è la coda del blocco dei licenziamenti che finirà il 31 ottobre e che riguarda alcuni settori, il tessile, la ristorazione, il turismo ed altri che sono in realtà quelli più colpiti.

Quindi ancora noi non vediamo gli effetti concreti in termini quantitativi dell’impatto dell’uscita da questa terapia intensiva del mercato del lavoro. Per questo dobbiamo prendere una serie di provvedimenti che devono certamente liberare il mercato dall’anestesia perché le imprese devono avere la possibilità di ristrutturare e di riadeguarsi all’economia post Covid. Ma, nel contempo, è anche vero che senza una forte rivisitazione degli ammortizzatori sociali rischiamo una situazione problematica per le persone e per le famiglie sia in termini di disoccupazione che di redditi.

D’altra parte, stiamo aspettando da molti mesi una riforma degli ammortizzatori sociali, una riforma complessiva, un ammortizzatore sociale universale da parte del ministero del Lavoro. Probabilmente, stanno aspettando la Legge di Bilancio che deve essere presentata in questi giorni. Ma sarà assolutamente strategico capire quali sono gli strumenti nuovi che vengono messi in campo dal governo e quali impatti economici avranno su imprese e lavoratori. Senza poi dimenticare che il mercato del lavoro ha visto l l’impatto della pandemia ma vedrà in forte accelerazione l’era della sostituzione tecnologica ovvero un’era in cui algoritmi e robot sostituiranno una serie di lavoratori. L’Istat stima che nei prossimi tre/cinque anni milioni di lavoratori verranno sostituiti da macchine e bisogna però preoccuparsene adesso per capire non solo come accompagnarli verso forme di outplacement ma anche formarli per essere ricollocati.

2) Coniugare la sicurezza con settori produttivi non ancora in piena ripresa come ad esempio quelli della ristorazione e del turismo: una sfida possibile o un imperativo categorico? Quali sono le Sue opinioni e suggestioni al riguardo?

E’ una sfida difficile perché è chiaro che alcuni effetti del Covid si dispiegheranno anche nel medio periodo. Pensiamo ad un certo tipo di distanziamento, oppure ad alcuni settori che sono stati colpiti in maniera più profonda, lo spettacolo, la ristorazione, il turismo. Chiaramente, non c’è una soluzione definitiva, nel senso che bisogna capire come si evolverà la situazione economica del Paese. Dopo il rimbalzo molto forte del 2021 bisogna cercare di mettere in campo strumenti di incentivazione alla crescita che non devono essere solo una crescita del fatturato ma anche una crescita dimensionale ed organizzativa.

3) Parliamo del cosiddetto Fattore D, che sta per Donne e Disabilità, in un contesto futuro prossimo che preveda una revisione intelligente e lungimirante del welfare sociale e nello specifico degli ammortizzatori sociali, ricordando che CONFASSOCIAZIONI si è sempre impegnata su questi temi fin dalla sua costituzione, quali nuove proposte intende rilanciare in questa fase post Covid dove c’è ancora più bisogno di merito e solidarietà?

E’ una domanda importantissima perché il tema del Fattore D – Donne e Disabilità – è strategico nell’ambito dell’asset di questo Paese. Ci sono almeno tre motivi: il primo, noi siamo un Paese in inverno demografico, facciamo mediamente 1,22 figli contro un tasso di sostituzione medio che dovrebbe essere di 2,1. Andiamo quindi verso un’implosione demografica con tutte le conseguenze che si possono avere sulle pensioni e sul mercato del lavoro. Da questo punto di vista il futuro di questo Paese e del mondo è un futuro fatto del primo grande Fattore D che è quello delle Donne, il nuovo driver di sviluppo e di crescita a livello mondiale , di più nei Paesi industrializzati ed avanzati, un po’ meno ma con livelli di crescita significativa anche negli altri Paesi.

Quindi dobbiamo capire come trovare un equilibrio tra la logica demografica e la logica della donna come acceleratore del processo di sviluppo, trovando momenti e strumenti di conciliazione fra la funzione della maternità e la funzione altrettanto importante che è quella del lavoro. C’è uno studio di Bankitalia che dice che se l’Italia portasse il livello occupazionale femminile , che in questo momento è attorno al 48% a un 60% (ed è un parametro più o meno comune a livello comunitario), questo Paese a regime guadagnerebbe un punto di PIL all’anno in situazione pre Covid, quindi farebbe circa 18 miliardi di euro in più all’anno. Cifre importantissime.

Come conciliare però la logica della maternità con la logica dello sviluppo? La proposta centrale di CONFASSOCIAZIONI è molto semplice: quando una donna va in maternità in realtà lo Stato non si fa carico del 100% dei costi relativi a questa maternità ma soltanto all’incirca del 66%. Questo vuol dire che un terzo dei costi rimangono a carico del datore di lavoro. E questo è un disincentivo importante all’accesso al mercato del lavoro per le donne perché il datore di lavoro opportunista sceglie un uomo perché se la donna va in maternità sopporta il 33% dei costi.

La proposta di CONFASSOCIAZIONI è che si potrebbe mettere la maternità tutta a carico dello Stato, incentivando le donne a fare figli e naturalmente accompagnando questo processo con strumenti di conciliazione di vita-lavoro e famiglia-lavoro come i buoni voucher per gli asili nido. Una serie di strumenti che aiutino le donne, dopo aver fatto il figlio, a riprendere l’attività lavorativa, a dare il contributo al PIL e al contempo a curare la famiglia. Il nostro Centro Studi stima che per coprire questo 33% ci potrebbero volere tra i 7 e i 9 miliardi all’anno. Una cifra importante ma con l’obiettivo sopraindicato di guadagnarne praticamente il doppio.

Per quanto riguarda, poi, la disabilità, il ragionamento è molto semplice: questo Paese ha circa sei milioni di diversamente abili su sessanta milioni di cittadini. Una fascia di persone spesso fuori dai dibattiti che, invece, offre un contributo importante. Noi riteniamo che, in questa logica del Fattore D, così come abbiamo messo una quota alle donne nei Consigli di Amministrazione , anche per i diversamente abili ci voglia una quota di soggetti che arrivino direttamente in Consiglio di Amministrazione e non passino dal solito canale delle categorie protette. Le categorie protette hanno sicuramente un accompagnamento facilitato al lavoro però poi non arrivano mai nei posti decisionali, quelli nei quali si prendono le decisioni, ad esempio, per abbattere le barriere architettoniche o per fare tutto quello che è necessario affinché queste persone vivano una vita come tutte le altre.

4) Quali soluzioni si prospettano a Suo avviso per una riformulazione ottimale del Reddito di Cittadinanza, che oramai con evidenza necessita di passare dal livello di mero sostegno economico per categorie in difficoltà lavorativa a quello di sviluppatore di nuovi stimoli, competenze e mete?

E’ chiaro che in questo momento eliminare una formula di sostegno alle persone in difficoltà come il Reddito di Cittadinanza sarebbe difficilissimo. Però possiamo eliminare le distorsioni dell’attuale formulazione del RdC. Quali sono? In questo momento le politiche attive collegate al RdC non funzionano. E allora la proposta di CONFASSOCIAZIONI per evitare la sterile polemica dei lavoratori sul divano, è molto semplice: se queste persone percepiscono il RdC , al di là del fatto che i centri per l’impiego trovino loro un posto di lavoro di un altro tipo di soddisfazione dal punto di vista del reddito, devono comunque dare il loro contributo perché prendono una sorta di retribuzione da parte dello Stato.

A nostro parere, quindi, devono essere assunti a tempo dallo Stato per tutto il periodo in cui rientrano nelle condizioni del RdC, facendo fare loro lavori socialmente utili nei comuni e attività dignitose e regolari in tutti gli altri uffici pubblici. Quanto devono lavorare questi soggetti? Il conto non è difficile perché la direttiva sul salario minimo legale di derivazione comunitaria prevede un importo pari a 9 euro lordi l’ora. Appunto, basterebbe prendere il RdC, mettiamo 750 euro che è il massimo, e dividerlo per 9, in maniera tale che si capisce quante ore il soggetto deve lavorare. Una persona che prende 750 euro dovrebbe lavorare circa 83 ore in un mese. Queste persone, dunque, prenderebbero il loro RdC in attesa che il centro per l’impiego trovi loro un lavoro decoroso. Chiaramente, come in tutte le soluzioni pragmatiche, un eccesso di assenze da queste funzioni porterebbe alla perdita del RdC.

In ogni caso, in questo modo, lo Stato e, soprattutto, i nostri comuni che hanno sofferto moltissimo la pandemia, troverebbero una serie di risorse per supportare la propria attività.

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