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IL CIRCO MASSIMO, DOVE BEN HUR E STORIA SI INCONTRANO. (Prima Parte)

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giovedì, Aprile 18, 2024

Tra gli innumerevoli edifici dell’antica Roma, il Circo Massimo occupa un posto speciale per le sue enormi dimensioni e per la quantità di monumenti decorativi che occupavano la struttura. In essa si svolgevano le spericolate corse dei carri, ognuno appartenente ad una squadra che aveva il suo bel seguito di accaniti tifosi. Divisi in partiti (factiones) ognuno con un determinato colore, essi rasentavano il fanatismo e facevano salire alle stelle la popolarità dei guidatori dei carri, gli aurighi, che arrivavano anche a guadagnare cifre favolose. Oggi ci immergeremo in questa dimensione, attraverso un viaggio in due puntate nel Circo Massimo e le origini religiose di tali giochi, ascolteremo le testimonianze degli scrittori antichi, vedremo come era strutturata una corsa e anche quali attività contornavano l’evento principale. Quindi, è proprio il caso di dire: pronti alla partenza?

Plastico della Roma imperiale, con il Circo Massimo in primo piano. Roma – Museo della Civiltà Romana.

Panem et circenses
Il Circo Massimo si inserisce in un più ampio contesto, un sistema che prevedeva una moltitudine di strutture atte ad espletare una parte importante del concetto di “panem et circenses”, come scrisse Giovenale. Alcuni autori antichi, infatti, parlavano di “pazzia” degli spettatori, altri di “eccessivo amore per l’ippica”, altri ancora di incredibile fanatismo. Questa situazione già da sola ci fa comprendere la grande rilevanza politica degli spettacoli del circo: anche l’imperatore più inetto non sarebbe mai arrivato al punto di trascurare questo fenomeno non tenendone conto nella sua strategia politica. E così, la dinamica dello sviluppo dei giochi dell’arena funzionò anche per gli spettacoli circensi, che divennero sempre più lunghi e fastosi. Per citare Livio, partendo da premesse positive si arrivò ad un sistema che sfiorava la pazzia.

Origine religiosa degli spettacoli
In questo caso, le premesse positive poggiavano sull’origine religiosa degli spettacoli del circo. Già al tempo dei Re di Roma esistevano le “feste pubbliche” (feriae publicae), nel corso delle quali si svolgevano anche corse di carri e gare d’atletica. Secondo la tradizione Tarquinio Prisco, quinto dei leggendari sette Re di Roma, avrebbe dato inizio ai ludi maximi, fissando anche il luogo in cui doveva sorgere il primo circo. Tarquinio era di origini etrusche, non romane, ed è significativo il fatto che la passione dei Romani per le corse dei carri derivasse dai loro maestri etruschi. Il carattere religioso dei giochi rimase sempre presente, codificato nel rituale, le cui regole venivano scrupolosamente osservate.

Il legame esistente tra la religione di Stato e i giochi era integrato anche da una componente legata alla rappresentanza dello Stato stesso. Infatti, il rito dell’allestimento dei giochi prevedeva anche un corteo (pompa circensis) che si snodava dal Campidoglio fino al Circo Massimo. A condurlo era il funzionario responsabile dell’organizzazione che, in piedi su un alto carro, era vestito come un condottiero reduce da un trionfo. Alcuni studiosi pensano che in origine i giochi potessero essere celebrazioni di vittorie ottenute durante le campagne militari, teoria che non contraddice affatto il carattere religioso degli stessi in quanto venivano considerati come un ringraziamento dovuto agli dèi.

Il circo come redditizio business
Nel corso del tempo sorsero vere e proprie imprese specializzate nel rifornimento di tutto l’occorrente per gli spettacoli. Si trattava di “società” nate a scopo di lucro le cui quote erano in mano a membri del ricco ordine equestre che volevano investire il loro denaro in modo redditizio. Man mano che il calendario delle feste si arricchiva di nuovi giochi e gli spettacoli si facevano più dispendiosi, tali società crebbero d’importanza fino a divenire giganteschi apparati con volumi d’affari dell’equivalente di svariati milioni di euro e con diverse centinaia di persone al loro servizio. La maggior parte del personale impiegato era costituito da schiavi, ma venivano assunti anche parecchi uomini liberi. Nei libri paga di queste imprese figuravano aurighi e capimagazzino, stallieri e agenti preposti al rifornimento di cavalli da ogni parte dell’Impero. In servizio presso le grandi società delle corse (factiones) si trovavano inoltre messaggeri e cantinieri, medici e veterinari, allenatori, calzolai, sarti e costruttori di carri. Veniva poi impiegato personale specializzato per cucire perle nell’addobbamento dei cavalli, per aprire la porta dei box all’inizio della corsa e perfino per rinfrescare i cavalli e raffreddare le ruote dei carri con spruzzi d’acqua.
A capo di queste organizzazioni stavano direttori, i domini factionum, con i quali doveva trattare chiunque volesse o dovesse allestire spettacoli circensi. Le questioni discusse con l’organizzatore degli spettacoli e l’amministratore di queste società vertevano sul numero dei cavalli occorrenti, sulla paga degli aurighi, sulle quotazioni dei cavalli favoriti del pubblico, sulla scadenza per i preparativi delle corse, etc.
Le società addette alle corse erano nate come imprese capitalistiche e tali rimasero fino al Basso Impero.

L’esaltazione dei Romani per i colori delle squadre
Un effetto collaterale e incredibile che produssero queste società fu che esse divennero oggetti di identificazione, assurgendo ad un ruolo che può essere tranquillamente associato a quello oggi rappresentato dalle squadre di calcio: erano divenute dei “club” che potevano contare ciascuno su decine di migliaia di fanatici tifosi.

Il simbolo di identificazione originario era il colore della tunica indossata dall’auriga ingaggiato da una società. Nel I secolo d.C. esistevano quattro colori (e altrettante squadre): bianco (factio alba), rosso (russata), verde (prasina) e azzurro (veneta).

Le factiones erano “partiti” di spettatori i cui membri erano uniti da passione agonistica, mania per i cavalli, spirito di parte e ambizioni politiche. Non è esagerato parlare di una “furia” e di una “collera dei colori” presso il pubblico, perché uno sguardo al comportamento degli spettatori dell’epoca pare confermare quanto queste espressioni possano corrispondere alla realtà.

Mosaico raffigurante le quattro factiones di Roma, risalente al III secolo d.C. Roma, Palazzo Massimo – Museo Nazionale Romano.

Un fanatismo assoluto e irrazionale
Infatti, alcuni comportamenti di cui siamo a conoscenza dalle fonti antiche ci lasciano alquanto sconcertati. Il primo è riportato da una notizia del 77 a.C. e mostra quali emozioni fosse in grado di scatenare il fanatismo di parte. Ai funerali di un auriga della squadra rossa, un tifoso addolorato per la morte del suo idolo si gettò a sua volta nel rogo. Colpiti da tale gesto di fedeltà “esemplare” nei confronti dell’auriga morto, i tifosi della squadra avversaria (bianca) affermarono che il suicida doveva essere rimasto inebetito dagli effluvi delle essenze bruciate e non si era quindi gettato nelle fiamme di sua spontanea volontà. Con una simile spiegazione speravano di negare al gesto il carattere di sacrificio o di omaggio all’auriga defunto, sminuendone così la gloria. A nessuno, però, venne in mente che si potesse trattare semplicemente del gesto di uno squilibrato…

Per indebolire la squadra avversaria ogni mezzo era lecito, compreso quello della magia nera. Nascoste in alcune tombe sono state ritrovate delle tavolette di piombo – le cosiddette tavolette defixiones, di cui abbiamo già parlato in un precedente e fortunato articolo – sulle quali venivano evocati i demoni di quei luoghi affinché intervenissero sul tal cavallo e il tal cavaliere durante le corse e li facessero cadere. In un’altra tavoletta si legge che un auriga “domani nell’arena dovrà essere legato come è legato questo gallo; piedi, mani e testa”, il che ci rivela anche il destino infelice di alcuni sfortunati animali. Contro tali magie, gli aurighi portavano amuleti e campanelli per cercare di proteggere sé stessi e i cavalli.

I protagonisti del circo: gli aurighi
E vediamoli, allora, questi aurighi, dal momento che così tanto li nominiamo. Erano essi le star assolute delle corse. Come accadeva presso i gladiatori, anche fra questi atleti si era formata un’élite di cui tutti conoscevano i nomi e di cui i poeti celebravano la bravura e la fama. Ma con una differenza: contrariamente ai combattenti degli anfiteatri, i guidatori professionisti del circo godevano di una considerazione sociale maggiore, perché l’antichissima disciplina sportiva di condurre i carri era una pratica che anche uomini liberi non si vergognavano di svolgere.

Gli aurighi particolarmente bravi non guadagnavano solo fama e prestigio, ma anche somme favolose, perché ogni gara vinta procurava loro premi elevati. È per questo che nella Roma imperiale la corsa con i carri era uno sport riservato esclusivamente ai professionisti.

Alcune iscrizioni testimoniano di carriere favolose. Ad esempio, un certo Marco Aurelio Polinice – morto a trent’anni – conseguì ben 739 vittorie con le varie factiones, ottenendo tre volte 40.000 sesterzi e 26 volte 30.000 sesterzi – e questi erano solo i premi principali! E che dire del suo collega, lo spagnolo Caio Apuleio Diocle: egli, in 24 anni di carriera corse complessivamente 4257 volte, vincendo 1462 premi. La squadra rossa era riuscita a “catturare” Diocle con alti ingaggi e con questo colore egli vinse 1361 corse. Con non meno di nove cavalli vinse più di cento volte; uno, anzi, lo portò vittorioso al traguardo per ben 200 volte. I premi conquistati da Diocle battevano tutti i record, tanto più che egli si era specializzato in innovazioni di grande attrazione: una volta, per esempio, guidò un carro trainato da sette cavalli, trionfando sugli altri concorrenti, mentre in un’altra occasione rinunciò ad usare la frusta, assicurandosi un premio di 30.000 sesterzi. Quando all’età di 42 anni si ritirò a vita privata, Diocle, secondo l’epigrafe del monumento eretto dai suoi tifosi, aveva guadagnato nel corso della sua carriera una cifretta come 33.863.120 sesterzi, al cambio attuale corrispondente a oltre 152 milioni di euro: niente male, no?

Il Circo Massimo, il primo e il maggiore dei circhi al mondo
Filippo Coarelli, uno dei più autorevoli archeologi italiani viventi, ha definito il Circo Massimo “la maggior costruzione per spettacoli pubblici mai edificata”. E non a torto, viste le sue monumentali dimensioni. Il naturale avvallamento di forma oblunga tra il pendio del Colle Palatino a nord-est e l’Aventino a sud-ovest, situato nella cosiddetta Valle del Tevere, sembrava già nell’età arcaica quasi essere stato creato appositamente per disputarci delle corse con i carri, ed è ragionevole pensare che già all’epoca dei Re di Roma vi siano state allestite le prime competizioni, fra cui quegli spettacoli circensi che i Romani sfruttarono per aggredire le donne forestiere lasciate indifese dai loro parenti che assistevano affascinati alle corse. Sì, avete capito bene: in questo luogo avvenne il famoso ratto delle Sabine.

Il Circo Massimo nacque inizialmente come una semplice arena. Nei primi tempi, gli spettatori che volevano assistere alle corse con i carri si sedevano semplicemente sull’erba che ricopriva i pendii del Colle Aventino e del Colle Palatino, poi, nel corso degli anni, vennero costruite le tribune, dapprima in legno e poi in pietra. Dal momento che nel Circo vi si svolgevano anche combattimenti con le belve, si resero necessarie strutture protettive per garantire la sicurezza degli spettatori: la pista venne quindi schermata con un reticolato di ferro, che però non resse e venne sfondato in vari punti nel 55 a.C. da venti elefanti che, tentando la fuga, ferirono molti spettatori. Giulio Cesare fece quindi immediatamente costruire intorno alla pista un fossato pieno d’acqua e profondo tre metri.

Lo storico greco Dionigi di Alicarnasso, nella sua opera “Antichità romane”, ci fornisce un quadro dettagliato di come il Circo Massimo doveva apparire sotto il principato di Augusto. Secondo le sue indicazioni, l’imponente costruzione era lunga 650 metri e larga 125; oltre il fossato si alzavano le tribune divise in tre “ordini”, di cui l’inferiore offriva sedili in pietra e i due superiori sedili in legno, per una capienza di 150.000 posti a sedere.

La struttura andò in fiamme tre volte, per poi essere ricostruita più sfarzosa di prima. Già Augusto vi pose le mani per un restauro in seguito ad un incendio a cui seguì quello di Roma all’epoca di Nerone, che proprio da qui si propagò per tutta la città, devastandola in una tempesta di fuoco. Sotto Domiziano il fuoco, per la terza volta, distrusse alcuni punti del Circo.

Dopo le necessarie opere di restauro attuate da Traiano fra il 100 e il 104, il Circo Massimo assunse la sua definitiva fisionomia, raggiungendo l’impressionante capienza di 250.000 posti.

In epoca posteriore alcuni imperatori misero la loro ambizione al servizio dell’abbellimento della maggior pista sportiva del mondo. Anche le tribune furono probabilmente ampliate ancora: secondo le stime attuali, il Circo Massimo arrivò a contenere 300.000 spettatori: una quantità incredibile di persone che nessuna arena sportiva moderna sarebbe in grado di ospitare.

Ricostruzione del Circo Massimo.

Lo sfarzo delle decorazioni
Gli imperatori non badarono a spese nel rendere lussuosa addirittura la pista stessa, a partire dalle gabbie di partenza per i carri – i carceres – che già agli inizi dell’epoca imperiale erano costruiti in marmo, per finire con la spina, il basso muro che divideva in due la pista.
E proprio sulla spina erano collocati alcuni tempietti riccamente ornati, dedicati a divinità venerate nel circo e nelle sue prossimità, e inoltre statue in onore di atleti famosi ed emblemi di vittoria. Ad indicare al pubblico il numero del giro che stavano compiendo i carri in quel momento, esistevano già nel 174 a.C. sette grosse uova di legno applicate su un cavalletto a cui, nel 33 a.C., Agrippa aggiunse un secondo indicatore dei giri consistente in sette delfini ribaltabili. L’imperatore Claudio fece installare nuovi segnali di svolta – metae – che, dotati entrambi di una punta in bronzo dorato, segnavano le estremità della spina.

Il monumento più sontuoso fatto erigere da Augusto nel 10 a.C. proprio a metà della spina fu un obelisco alto oltre 23 metri risalente al XIII secolo a.C., proveniente dalla città egiziana di Eliopoli, che oggi possiamo vedere a Piazza del Popolo, dove Sisto V lo fece collocare nel 1587.

Nel 357 d.C. l’imperatore Costanzo II fece portare a Roma un obelisco che Thutmosi III aveva eretto nel tempio di Amon a Tebe (Karnak) nel XV secolo a.C. e, con l’aiuto di diverse migliaia di operai, lo fece collocare al centro del Circo Massimo, ponendo sulla sua estremità una sfera bronzea ornata con una lamina d’oro. Anche questo obelisco, alto oltre 32 metri, può essere oggi ammirato in Piazza San Giovanni in Laterano, dove fu fatto collocare dal solito Sisto V.

Obelisco di Tuthmosi III oggi in Piazza San Giovanni a Roma.

Venditori in agguato e personaggi invadenti
Ai bisogni “materiali” del pubblico del Circo Massimo provvedevano i negozi che correvano nelle volte sottostanti le arcate delle tribune degli spettatori. Lì si poteva comprare di tutto, dai generi alimentari ai pacchiani souvenir raffiguranti gli eroi della pista, effigiati su lampade, boccali o preziosi. Personaggi loschi come pseudo indovini e finti astrologi si aggiravano in attesa di accalappiare ricchi clienti creduloni: personaggi, questi, non molto differenti da quelli che abbiamo già visto in azione nelle terme.

Come altri luoghi frequentati da molte persone, anche il Circo Massimo era battuto da prostitute di tutte le “classi”. La prostituzione vi fioriva talmente che lo scrittore cristiano Cipriano affermò che l’ingresso al circo conduceva direttamente al bordello.

Per ottenere un posto gratuito al circo ci si muoveva fin dall’alba…
Gli spettacoli del circo avevano luogo molto spesso e ciò potrebbe far pensare che a questi assistesse un pubblico non troppo folto, e che fosse facile trovare un posto a sedere, ma non è così. In realtà la curiosità e la passione dei Romani erano così grandi che la gente si incamminava verso il circo già dall’alba del giorno fissato per lo spettacolo, se non addirittura durante la notte. Il rumore provocato da questa massa urlante, formata da migliaia di persone, era indescrivibile. Secondo l’Historia Augusta era una cosa comune vedere gli spettatori che di notte si affrettavano verso il circo per occupare i posti gratuiti. Davanti alle entrate, la ressa era un infernale caos: Giovenale, nelle sue Satire, raccomandava di fornirsi di due schiavi robusti, per poi raggiungere il posto a sedere, comodamente seduti sulle loro spalle.

…e qualche imperatore perdeva la pazienza
A causa della molesta confusione, è capitato che ad un paio di imperatori montasse il nervosismo. Racconta Svetonio che una notte, ad esempio, l’imperatore Caligola si svegliò per il baccano e sfogò la sua rabbia facendo disperdere la folla con dei bastoni, causando un bagno di sangue poiché la gente, in preda al panico, correva in tutte le direzioni: morirono venti cavalieri, molte donne sposate e numerose altre persone.

Questa reazione di Caligola può essere paragonata all’atteggiamento di Eliogabalo che, sempre secondo l’Historia Augusta, in un’analoga occasione, fece gettare delle serpi in mezzo alla folla che si dirigeva al circo, provocando una furia selvaggia, nella quale molte persone rimasero ferite.

Per ora ci fermiamo qui. Vi aspettiamo per la seconda parte, nella quale parleremo della sfilata d’apertura delle corse, della partenza, della gara, dei falli ed incidenti che accadevano, oltre a dare uno sguardo alla vicenda di Ben Hur e ai trucchi sleali a cui ricorse Messala, il suo ex amico. Parleremo dei premi a cui aveva diritto il vincitore, del giudizio degli scrittori dell’epoca riguardo la passione folle dei Romani per le corse, e per finire daremo un’occhiata al Circo Massimo come oggi appare.

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1 COMMENT

  1. Bellissima ricostruzione e narrazione ! grazie a presto con l’auspicio che IQ prima o poi possa promuovere
    un grande evento in quel luogo “ magico ed evocativo “

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