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Nuove ammissioni sullo scandalo Datagate

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datagateDi Sergio Altizio

15/06/2013 – Nuove ammissioni sullo scandalo Datagate

Che la Rete sia un posto dove incappare in trappole subdole e continue, lo sa anche un bambino. Anzi, in questi anni di accelerazione informatica, lo sanno meglio i bambini e gli adolescenti che molti degli adulti che ancora non si abituano a pensare con la velocità e la superintegrazione dei dati di Internet. Certo, però, risulta assai ironico che proprio l’azienda che programma il vostro Windows Update (che puntuale ogni mese vi chiede di scaricare i propri aggiornamenti per “difendere il vostro computer da minacce indesiderate”), ammetta ora di essere coinvolta nella più grande violazione della privacy mai effettuata da quando esiste Internet.

Tutti noi immaginavamo che di certo qualcun altro oltre a noi potesse avere un occhio sui nostri profili Facebook, i nostri utilizzi di Windows, i programmi più scaricati o più usati. I dietrologi lo dicono da anni, che ci sono i satelliti spia, i microchip impiantati a nostra insaputa, le scie nel cielo che ci controllano con l’emissione di gas neurolettici (ahimè, la realtà è sempre molto più banale, e assai più efficiente, dei complotti). Non siamo certo così naïve da cadere dalle nuvole; certo, rimane l’amarezza di notare quanto i diritti elementari delle persone siano calpestati senza grossi problemi quando sia necessario.

Microsoft oggi ammette di aver passato al governo USA dati di 31.000 persone; Facebook ne ammette tra i 18 e i 19 mila. E questa è soltanto la punta dell’iceberg: pare che queste aziende addirittura abbiano emesso questi dati sensibili per “tenere a bada” in qualche modo le continue richieste del governo, a cui questi dati non bastano mai. “Spesso respingiamo queste richieste in maniera definitiva, oppure chiediamo al governo di ridurre le sue richieste. Oppure possiamo dargli meno dati rispetto a quelli richiesti”, ha spiegato l’avvocato Ted Ullyot, legale dell’azienda, precisando di rispondere soltanto all’interno del quadro previsto della legge. Tra le altre società che hanno ricevuto richieste di informazioni ci sono anche Apple, AOL e PalTalk, così come YouTube e Skype, che sono di proprietà di Google e Microsoft, rispettivamente Pare che solo nella seconda metà del 2012, Facebook abbia ricevuto tra le 9 e le 10 mila richieste da parte del governo. Parliamo di 50 richieste al giorno, signori, una ogni due ore. A distanza di anni e anni dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla Guerra Fredda, dal Watergate e dalla crisi della Baia dei Porci, il governo degli Stati Uniti non perde la sua pervasiva e intima sensazione di superiorità, di giustizia e di grandezza. Chi sa cosa avrebbero detto loro, se questo fosse accaduto in altri paesi del mondo. Probabilmente avrebbero inviato delle truppe per qualche missione di pace, a garantire la democrazia.

Non è neppure la prima volta che i governi mettono il naso nella privacy dei loro cittadini. Lo crittografia, che vanta una storia millenaria, oggi rischia di impantanarsi nella sua stessa perfezione: i codici sono troppo complessi per poter essere svelati. Perciò, l’anello debole di chi voglia decifrare diventa non più il messaggio in codice, non più la sfida intellettuale a capire la logica del crittoanalista, ma piuttosto l’uomo: le debolezze psicologiche della sua natura (quanta gente ha la grande paura che la propria carta di credito sia clonata, ma poi scioccamente viene circuita da una e-mail fraudolenta?), e quindi le debolezze psicologiche dei suoi sistemi elettorali e governativi (le mille leggi sulla privacy, che nei fatti vengono calpestate). In Gran Bretagna, nel 2000, il governo laburista di Tony Blair fece approvare già una legge, la Regulation of Investigatory Powers Act, che conferisce allo Stato il diritto di costringere chiunque utilizzi la cifratura PGP (tra le migliori e le più comuni su Internet) a cedere le proprie chiavi a qualunque forza di polizia.

Allora, la questione si sposta a questo punto. Non interessa più di tanto se aver messo l’occhio indiscreto sui fatti altrui sia stato “legale”, “rispettoso della Costituzione” o “necessario per la sicurezza nazionale” (parole del Presidente Obama, Premio Nobel per la Pace 2009); questo passa in secondo piano rispetto ad altri quesiti, più filosofici. Vengono a galla interrogativi sul nostro posto nel mondo, e quando dico nostro, intendo di noi cittadini “comuni”; le persone che fanno il loro lavoro, tornano a casa, hanno qualche idea a volte buona a volte cattiva, ma non hanno alcuna aspirazione di riuscire a fare qualcosa di rilevanza nazionale. Siamo noi qui, i deboli; quelli che la legge dovrebbe proteggere, e che invece vengono fatti a tranci, sezionati e categorizzati, analizzati e indicizzati, come un tonno su un mercato del pesce informatico. Ancora più importante, ci viene l’interrogativo (e qui inizia anche la rabbia) che queste aziende vengano pagate, e quanto vengano pagate, per venderci al mercato. E infine, ma qui c’è solo amarezza, la certezza che mentre utilizziamo i loro servizi (e lì ci chiamano utenti), siamo e restiamo pedine di una complessa danza di interessi assai più grandi di qualsiasi cittadino medio.

In un mondo dove la giustizia regnasse sovrana, queste aziende verrebbero boicottate in massa e fallirebbero, colpevoli di aver mancato proprio dove l’utente dava loro fiducia. La cosa, ovviamente, è impossibile; perché se dovessero fallire tutte le aziende nominate, la Rete non cesserebbe di esistere: si riprogrammerebbe per far nascere nuovi colossi che prendano il loro posto. Non possiamo combattere ad armi pari in questo campo, perché è una legge di natura. Ciò però non significa che dobbiamo rassegnarci a ingoiare le loro violazioni come se fossero diritti. La nostra prima arma è l’informazione: quella libera, quella obiettiva, quella che espande la consapevolezza di sé e del mondo, senza toglierci nulla in cambio. Altrimenti, nasconderemo solo la testa sotto la sabbia, rendendoci complici di un crimine contro un nostro fondamentale diritto, quello alla privacy, pari in importanza a quello alla vita, alla salute o alla felicità. Come diceva Phil Zimmermann, creatore dell’algoritmo di cifratura PGP: “proiettando nel futuro le nostre tecnologie, se chi è in carica ha sull’opposizione questo genere di vantaggio politico, e si insedia un cattivo governo, esso potrebbe essere l’ultimo che eleggiamo”.

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