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MAGISTRATURA E SOCIETA’ NELL’ITALIA REPUBBLICANA

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Presentato con un convegno a Palazzo di Giustizia di Milano l’affascinante volume di Edmondo Bruti Liberati
MAGISTRATURA E SOCIETA’ NELL’ITALIA REPUBBLICANA 

Altrochè magistratura rinchiusa in una  torre d’avorio, avulsa dalla società sulla quale si erge: essa  non solo ne è l’espressione, ma, almeno dagli anni ’60, ne rappresenta la componente di punta  dell’Italia – nota al mondo per un certo lassismo nel rispetto di leggi e regole – che pungola ad affiancarsi ai Paesi più moderni e corretti.

E’ quanto abbiamo recepito al convegno “La giustizia in Italia. Il lungo viaggio nella democrazia” organizzato da ANM-Associazione Nazionale Magistrati e dall’Ordine degli Avvocati di Milano a Palazzo di Giustizia di Milano, nell’affollata Aula Magna testimone di molti importanti eventi, per la presentazione del libro di Edmondo Bruti Liberati “Magistratura e società nell’Italia repubblicana” (editore Laterza). I lavori sono stati introdotti da Marina Tavassi, presidente della Corte d’Appello di Milano e coordinati dal giornalista Gad Lerner. Interventi di Remo Danovi, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati; di Francesco Minisci, presidente dell’ANM; di Virginio Rognoni, già più volte ministro e vicepresidente del CSM; di Giuliano Pisapia, avvocato e già sindaco di Milano.   Solo un cenno sull’autore, rispettando la sua scelta di non-protagonismo (nel libro si cita solo pochissime volte, quando indispensabile), già procuratore della Repubblica di Milano ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Per la cronaca, applausi ad alcune personalità presenti –  tra cui  Teresa Pomodoro, prima donna in magistratura e Francesco Greco, procuratore capo di Milano – e ad un assente, Armando Spataro, procuratore capo di Torino oggetto di un recente attacco politico.

Nel libro Bruti Liberati si chiede: “La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere»: così recita la Costituzione. E nei fatti?”. La risposta traccia un quadro ampio e non privo di ombre del difficile percorso di attuazione dei valori democratici nella magistratura e nella società. Dalla caduta del fascismo all’entrata in funzione della Corte Costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura; dai difficili anni del terrorismo alla stagione di Mani pulite, per arrivare ai più recenti tentativi di riforma del sistema della giustizia.

Una vera e propria storia d’Italia dalla Liberazione ad oggi. Redatta senza nascondere le sue opinioni (Bruti Liberati è tra i leader di Magistratura democratica, la corrente progressista dei giudici e dei pm) da  autentico cronista che non nasconde mai le opinioni altrui  – come scrive Corrado  Stajano sul Corriere della Sera  – è un lavoro  frutto di una documentazione rigorosa e di grande peso: atti, libri, giornali, convegni, tornate parlamentari, discussioni politiche, polemiche che si sono via via accumulati nel suo archivio. Essenziale, naturalmente, la sua testimonianza. A far da sfondo c’è sempre la società nazionale, l’opinione pubblica più o meno attenta ai problemi che la riguardano.

Parte, Bruti Liberati, dalla constatazione che la Repubblica nasce malata dalla contiguità con il fascismo che ha visto all’inaugurazione dell’anno giudiziario del 1940  a Palazzo Venezia i magistrati che indossavano l’orbace del partito fascista; gli stessi che, a Liberazione avvenuta, resteranno al loro posto assurgendo ai più alti incarichi nominati dai presidenti della Repubblica Gronchi e Saragat. Aggiungiamo che tale contiguità faceva comodo alle potenze vincitrici in omaggio a considerazioni geopolitiche (l’Unione Sovietica premeva ad est). Ma non mancarono pochi coraggiosi, coloro che, con sacrificio, incuranti dei rischi, si schierarono dalla parte dell’ antifascismo e della Resistenza; tra gli altri Luigi Bianchi d’Espinosa, i fratelli Alessandro e Carlo Galante Garrone, Giorgio Agosti, Domenico Peretti Griva.

La  nascita della magistratura come la intendiamo oggi, “ordine autonomo e indipendente”, opposta ad un rapporto organico con il potere politico, fu una gestione lunga e travagliata, complici troppi silenzi e passività.  Dal dominio pressocchè assoluto della Corte di Cassazione si arrivò solo a metà degli anni ’60 alle sentenze della Corte Costituzionale che impressero, dopo la dichiarazione di illegittimità delle leggi fasciste,  la svolta democratica. Quindi l’arrivo delle donne in magistratura (ora sono la maggioranza), il XII Congresso dell’ANM nel quale si stabilì: “Il giudice deve essere consapevole della portata politico-costituzionale della propria funzione di garanzia, così da assicurare, pur negli invalicabili confini della sua subordinazione alla legge, un’applicazione della norma conforme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione”.

Ma ancora negli anni Settanta, che oggi vengono definiti “gli anni di piombo” (e delle bombe, aggiungiamo, di provenienza opposta) l’alta magistratura condiziona pesantemente l’operato di chi lavora sul campo delle indagini: il processo sulla strage di Piazza Fontana finì a Catanzaro per decisione della Cassazione, la procura di Roma diventò il “porto delle nebbie” dove si eclissarono alcune tra le più importanti inchieste. E ancora i casi schedatura dei 300.000 operai della Fiat, golpe Borghese,  Rosa dei venti,  terrorismo,  P2  (che coinvolse il vicepresidente del Csm Ugo Zilletti, ministri, generali capi dei servizi segreti, direttori di giornali; e  Sindona, gli assassini  di Moro, dell’avvocato Giorgio Ambrosoli,  del generale Carlo Alberto dalla Chiesa). Sono anni sul filo della legge quelli in cui il terrorismo e la mafia uccisero un’impressionante numero di magistrati. La politica non aiuta: Craxi odia i giudici, Berlusconi, attento soprattutto, nei suoi governi, alle leggi ad personam, li definisce “matti, antropologicamente diversi dal resto della razza umana. Se fai quel mestiere devi essere affetto da turbe psichiche”; e il presidente del Senato Marcello Pera propone rivoluzioni del sistema giudiziario più volte bocciate dal presidente della Repubblica Ciampi.

Su Mani Pulite, che politici della stessa area hanno definito “rapina a toga armata”,  riconosciuti i grandi meriti del procuratore Saverio Borrelli  che ha coordinato lo straordinario pool di magistrati , Bruti Liberati scrive: “A un quarto di secolo non sono utili celebrazioni, ma analisi. Vi furono, certo, taluni eccessi (in particolare nell’uso della custodia cautelare in carcere), errori, protagonismi, vi furono dolorose e tragiche vicende personali. Ma la storia di Mani pulite non è una storia di eccessi e di errori; è, al contrario, la storia del doveroso intervento repressivo penale di fronte ad un vero e proprio sistema di corruzione, ad una devastazione della legalità”. Dietro questo libro c’è la storia del Paese, senza la quale non c’è futuro.

Dagli interventi dei relatori sono emerse interessanti considerazioni, alcune delle quali già inserite nella recensione del libro: le  correnti della magistratura, da alcuni auspicate, costituiscono una ricchezza di pluralismo e di democrazia e mai influiscono sulla garanzia di imparzialità del magistrato; la separazione delle carriere può essere il primo passo, non certo auspicabile, per un nuovo ruolo del pubblico ministero; la collaborazione tra magistrati e avvocati ha portato ad importanti innovazioni quali il giudice unico, il giudice di pace, la depenalizzazione dei reati minori che ingolfavano la macchina giudiziaria, le sanzioni domiciliari.

Ma passi indietro quali le leggi sul falso in bilancio, sulle prescrizioni, sulle rogatorie, per citare, ricordano come la “legge giusta” non sia un bene acquisito per sempre. E che la magistratura non può continuamente essere chiamata a supplire alla politica.

Edmondo Bruti Liberati con Achille Colombo Clerici

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