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La Napoli che prende fuoco

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incendio-citta-scienzaIQ 06/03/2013 di Stefania Paradiso

Fin da subito si è parlato di incendio doloso per riferirsi alle fiamme che per oltre 13 ore hanno quasi eliminato la Città della scienza a Napoli. Anche se emergevano affermazioni sul “seguire tutte le piste”, il concetto di dolo si faceva strada da solo, come una spada di Damocle, nella mente di chiunque. Il procuratore di Napoli Giovanni Colangelo ha spiegato in conferenza stampa le ipotesi sul rogo che ha distrutto il museo interattivo considerato uno dei più validi attrattori turistici, con una media di 350mila visitatori l’anno.

Roberto Saviano fin da ieri sera ha pubblicato su Facebok la sua ipotesi camorristica e in un articolo uscito oggi su Repubblica, ha scritto: “Bagnoli è ai piedi della collina di Posillipo, sente l’alito della meravigliosa isola di Nisida, luogo incantevole, paradiso naturale che nessuno è riuscito a violare, nemmeno l’acciaieria – o piuttosto ciò che ne resta – che sembra ormai armonizzarsi al territorio, come archeologia industriale. Aver finora miracolosamente salvato questa zona dalla speculazione edilizia permette anche di poter leggere, attraverso Bagnoli, i capitoli dell’avventura napoletana: i sogni della città e le sue maledizioni, l’idea e il suo fallimento… Città della scienza non è però stata soltanto bellezza, un luogo dove la scienza diveniva vita. Città della scienza doveva resistere anche alle manate della politica, perché era diventata un succulento boccone delle clientele”. Insomma un posto a cui si dà fuoco per avvertimento, un luogo rimasto incontaminato per ricostruire speranza  e futuro, lavoro e fiducia, un ambiente simbolo della volontà di riscatto e di rinascita. Che la camorra o, comunque, la criminalità ci avesse posato lo sguardo per costruire in maniera abusiva palazzi e stabili non era difficile immaginarlo. Un panorama che mozza il fiato e che ti riappacifica col mondo sarebbe stato lo scorcio adatto per riciclare soldi e vendere al miglior offerente gli edifici. Quello che brucia e che addolora è il pensiero che tutta Napoli debba essere così. E’ il pensiero di un non futuro per chi a Napoli, al Sud, è nato ed è costretto a scappare per vedere meno dolore e alla ricerca di un po’ di legalità. Roberto Saviano ha ragione quando dice  che “sembra che a Napoli nulla sia destinato a sopravvivere”. Lo fa perchè è addolorato ma sa anche anche come tutti i napoletani e tutti i cittadini onesti che dal dolore e dalla cenere si rinasce, più forti, più belli e più bravi. La distruzione, sia naturale che dolosa, nei suoi primi attimi porta sempre scompenso e dolore, destabilizza e ferisce, provoca lacrime e rabbia. A me però piace ancora pensare al meridione, e nella fattispecie, a Napoli come l’araba fenice, l’uccello uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. “Post fata  resurgo”, ovvero “dopo la morte torno ad alzarmi”. Questo deve essere il motto che ridarà nuova vita e luce alla Città della scienza e alla città tutta.

 

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