Un urlo, a squarciare l’afa mattutina dello Stadera: “‘Sto pezzo di m…! Cosa sta facendo? Venite! Presto!”. Gabriela era entrata di corsa “dall’indiano”, come lei chiamava il minimarket di via Palmieri. Lì si era trascinata la lunghissima nottata alcolica appena trascorsa con l’amica Angela, la cugina Veronica e la figlia 17enne di quest’ultima. Tutte salvadoregne, tutte a tirar tardi e oltre, tanto che alle nove del mattino, con due ragazzi latinoamericani conosciuti ai giardinetti, erano ancora in strada a cercare l’ultima bottiglia. Susana (nome di fantasia), la più giovane del gruppo, non aveva più retto al sonno e all’ebbrezza: chieste le chiavi del furgone “all’indiano”, si era addormentata vestita nel cassone. E lì, dopo qualche minuto, Gabriela era andata a cercarla. Scoprendo che uno dei due ragazzi conosciuti quella notte la stava stuprando.
“No, ma non è come pensi tu!”. Il tempo di abbozzare una giustificazione, e il ragazzo si era ricomposto per darsela a gambe “Venite! Presto!”. Le 9 del 29 giugno scorso. Qualche istante per spiegare a cugina e amica quello che aveva appena visto e del ragazzo (Jaime Ricardo Cespedes Orellana, boliviano 28enne, precedenti per armi, minacce, rissa, resistenza, danneggiamento) non c’era già più traccia. Susana, nel frattempo, era ancora incosciente. I pantaloni abbassati. Affidata la 17enne a un’amica, le tre donne sono partite in caccia, a piedi, fino a piazzale Abbiategrasso. Qui hanno incontrato una conoscente, vista la sera prima. “Sai come raggiungere Ricardo?”. Uno squillo al cellulare con una scusa, e le tre donne sono ripartite verso Famagosta, dove Cespedes nel frattempo immaginava di essersi messo in salvo. Lo hanno visto salire sui vagoni del metrò. E qui lo hanno raggiunto, affrontato, malmenato e immobilizzato. Fino a farlo scendere alla stazione Cadorna dove i poliziotti di una volante avevano trovato i quattro ancora in lite.