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Cina Italia, Ispi – “La Cina non è ancora per tutti” di Cristiana Barbatelli e Renzo Cavalieri – Europasia

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Cina Italia, Ispi – “La Cina non è ancora per tutti” di Cristiana Barbatelli e Renzo Cavalieri – Europasia
Istituto Europa Asia – EUROPASIA – Europe Asia Institute
All’ISPI di Milano presentazione del volume “La Cina non è ancora per tutti”
LA STRATEGIA PER LE IMPRESE ITALIANE: RISORSE ORGANIZZATIVE, FINANZIARIE E CULTURALI 

Scriveva Matteo Ricci, il gesuita che nel ‘500 riaprì le porte del Catai all’occidente: i cinesi hanno molte parole uguali che possono avere significati diversi, addirittura per il tono di voce con cui si pronunciano. Era il 1583, ma ancor oggi va tenuta presente la complessità di quella cultura se i nostri imprenditori, e non solo, vogliono operare in quel potenzialmente appetibile mercato, il più grande del mondo.

E’ una delle chiavi per spiegare il volume “La Cina non è ancora per tutti. Dialoghi sul mercato cinese” di Cristiana Barbatelli e Renzo Cavalieri edito da Olivares dieci anni dopo la pubblicazione de “La Cina non è per tutti” curato nel 2005 da Maria Weber, prematuramente scomparsa,   pioniera nel portare il mondo dell’analisi politologica vicino al mondo delle imprese.

Nel volume, presentato con una tavola rotonda all’ISPI di Milano, alcuni dei maggiori esperti del mondo accademico e delle imprese italiane riflettono sulle attuali criticità e opportunità del mercato cinese.

In guardia contro i facili entusiasmi, è la sintesi. Per operarvi ci vogliono ingenti investimenti di risorse, organizzative e finanziarie. E culturali. Un approccio interdisciplinare, quindi.

Innanzitutto solo una relativamente piccola parte del miliardo e 300 milioni di cinesi consuma. La Cina rimane anzitutto la fabbrica del mondo e preferisce esportare mentre i risparmi delle famiglie vengono accantonati. Negli ultimi 15 anni le nostre esportazioni sono sì aumentate in valori assoluti ma si sono quasi dimezzate (dall’1,5% allo 0,8%) sul totale delle importazioni cinesi. Segno che non riusciamo ad essere competitivi con altri Paesi. I due terzi delle 2000 imprese italiane che operano in Cina hanno aperto uffici, non fabbriche, e con investimenti modesti, in media 5-7 mln di euro. Una formula per affermarsi è creare una nicchia al seguito dei colossi. Starbucks, la multinazionale del caffè, ha aperto un mercato di cui possono approfittare i nostri piccoli ma più qualificati operatori del settore.

Gli sconvolgimenti finanziari di luglio – caduta della Borsa e del renminbi, la crescita del pil di “solo” il 7,3% – stanno per essere assorbiti. Ma si stanno altresì chiudendo gli spazi di una maggiore autonomia dell’economia dalla politica. Stanno tornando alla grande orgoglio, nazionalismo: come sta avvenendo, d’altronde in molti Paesi occidentali.

Ciononostante la Cina è oggi più aperta di ieri. In particolare, la legislazione protegge maggiormente gli operatori stranieri dalle interpretazioni delle burocrazie locali; ma restano sempre valide “leggi non scritte” da rispettare.

I lavori, introdotti da Carlo Secchi (Ispi e Università Bocconi) e da Francesco Boggio Ferraris (Fondazione Italia Cina) hanno registrato gli interventi di Romeo Orlandi (Osservatorio Asia) e dei due coordinatori del volume  Cristiana Barbatelli (Barbatelli&Partners Management Consultant) e Renzo Cavalieri (Università Cà Foscari e Studio legale BonelliErede Belex). Sono seguite le esperienze di tre operatori sul campo: Massimo Roj (Progetto Cmr), Umberto Simonelli (Brembo), Massimiliano Toti (Intesa Sanpaolo).

Il Presidente Assoedilizia Clerici e Pres. Istituto Europa Asia, Europasia
Il Presidente Assoedilizia Clerici e Pres. Istituto Europa Asia, Europasia

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