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Il Card. Bagnasco alla Route Nazionale dell’Agesci

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giovedì, Aprile 25, 2024

Questa mattina il Card. Angelo Bagnasco, Presidente della CEI, presiede la S. Messa conclusiva della Route Nazionale dell’Agesci: vi partecipano 30 mila scout, riuniti nel parco di San Rossore.

ROUTE  NAZIONALE   AGESCI

Tenuta di San Rossore, Domenica 10.7.2014

OMELIA

“Abbiate coraggio!”

 

Cari Fratelli e Sorelle Scouts

Sig. Presidente del Consiglio, Autorità

Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio

Cari Amici

 

Con gioia vi porto il saluto e l’affetto di Papa Francesco che ci darà il suo messaggio.

Saluto con gratitudine e fraterna stima il Pastore di questa Diocesi, S.E. Mons. Giovanni Paolo Benotto: a lui e alla  Chiesa pisana va la riconoscenza e l’augurio di tutti noi.

Per me, cari Amici, venire tra voi è come tornare a casa! Siamo tutti segnati dalla strada, esperienza che riassume le stagioni della vita. Mi rallegro del percorso educativo –adorazione, catechesi, riconciliazione – che avete fatto in preparazione alla Route Nazionale, evento significativo del Roverismo: “Strade di coraggio”, nell’orizzonte della  novità che ci viene incontro e che già ci avvolge: “Ecco faccio nuove tutte le cose” (Ap 1,5). Il coraggio è il contrario del conformismo, dove è comodo nascondersi per non essere disturbati. Ma è questa la strada della nostra grandezza? Quella di mimetizzarsi nel pensiero unico dal quale il Santo Padre ci mette in guardia? E’ quella di rinunciare a pensare con la propria testa? Quella di aver paura di essere derisi o forse emarginati da frasi fatte, da parole ad effetto, dalla ricerca dell’immagine e del consenso? E’ questa la via? La strada che voi fate non dice questo! Vi parla di cime e pianure, di monti e laghi, di orizzonti ampi, di servizio e fatica, di fraternità sul campo…in una parola, vi parla di nobiltà e  bellezza. E tutto questo non chiede forse “coraggio”?

Coraggio! Vorrei, cari Amici, declinare questa magica e umanissima parola, che Gesù ha usato per spronare la sua “squadriglia” apostolica, in tre direzioni che , per brevità, accennerò appena per lasciare a chi vuole la lettura completa.

 

  1. Il coraggio di essere liberi

Si parla molto di libertà, ma non si vedono molti uomini liberi. Siete voi persone libere? Com’è facile credersi liberi e com’è difficile esserlo veramente! Ci viene predicato che ognuno deve essere legislatore di se stesso, che dobbiamo essere “slegati” (da legami,  norme, tradizioni, istituzioni…). Si vive un nichilismo allegro che fa il tiro a segno con ogni principio e valore usando l’arma della scelta individuale, poiché – si dice – è la scelta che rende buono o cattivo il nostro comportamento, giusto o ingiusto. Ma in realtà, così facendo, non siamo liberi ma sfondati, perché senza fondamento nella nostra vita: laddove tutto è possibile, nulla esiste! (Gerard Schmit, “L’epoca delle passioni tristi”). Com’è vero! Se tutto si equivale nella vita, ogni comportamento – basta che sia scelto da ciascuno – allora perché sacrificarsi per qualcosa, a volte fino a dare la vita? La domanda non si può rimandare: esiste qualcosa che mi merita? Che merita che gli consacri me stesso? Oppure tutto è inesorabilmente e tristemente equivalente, neutro, passeggero?

Siamo liberi, invece, quando scegliamo il bene, perché solo il bene costruisce la nostra umanità, ci fa bene anche quando non corrisponde alla nostra soddisfazione, alla pulsione immediata, al nostro interesse. Cari Amici, voi conoscete bene la strada: passa dai piedi ma arriva al cuore, sentiamo che essa ci costa ma ci è amica perché riempie la vita, realizza il meglio di ciò che siamo. Dobbiamo far ripartire la libertà; essa si può accartocciare su se stessa e generare mostri. La libertà vera vi chiede di reagire al pensiero che vorrebbe omologare tutto e tutti, vi chiede una “santa dissidenza”.

  1. Il coraggio di amare

L’uomo è fatto per amore e per amare. E’ questa la nostra esperienza ed è questa la nostra fede.

Senza l’esperienza di amare e di essere amato, l’uomo non sa più chi sia: non ha nome, è un volto sulla sabbia  (M. Foucault), una passione inutile (Sartre). Potremmo allora desiderare di non essere amati e di non amare? No, ma com’è difficile e quanto coraggio richiede! Amare, infatti, non è prendere e possedere, non è essere proprietari di qualcuno, ma è dare e lasciar liberi; amare è un continuo esodo, cioè un uscire da noi stessi, dal nostro piccolo mondo non per perdere il nostro io, ma per ritrovarlo più bello nel dono, in un intreccio di vita dove  l’esperienza quotidiana del limite e del bisogno proprio e altrui non è una sciagura, ma è la porta d’accesso al reale, spazio d’ incontro, di servizio e d’ amore.

 

  1. Il coraggio di essere cristiani

Seguire Gesù è il coraggio più grande: esso comporta e compie anche il coraggio di essere liberi e di amare. Credere vuol dire uscire dall’angolo chiuso e riparato di se stessi, del proprio piccolo orizzonte, e camminare sulle acque, così come ha fatto Pietro nel Vangelo di oggi. Splendida pagina che parla di noi! 

*     La barca degli apostoli è ormai lontana dalla riva, è in mezzo alla tempesta: la vita non è mai un’attraversata leggera. Ci sembra di sentire le domande dei discepoli impauriti: perché il Maestro ci ha mandati soli in mezzo al mare? E perché non interviene in qualche modo, lui che ha sfamato le folle con un miracolo? Perché – noi diremmo – non risolve i problemi del mondo, perché permette il male?  Perché non ti fai vedere perché io creda, perché rafforzi la mia fede: vederti un attimo solo!

*      Finalmente, Gesù li raggiunge e cammina sull’acqua, ma i discepoli non lo riconoscono. Quando siamo troppo presi da noi stessi – come i discepoli dalla loro paura – diventiamo incapaci di vedere che il Signore è vicino, che Lo possiamo vedere. Ma i nostri occhi sono appesantiti, perché il nostro cuore è distratto.

*     Nel mezzo del dramma, Gesù parla: “Coraggio, sono io! Non abbiate paura!”. Parole umanissime e solenni, che rivelano la signoria di Cristo e la vicinanza di Dio. Dove c’è Lui svanisce la paura e subentra non solo il coraggio, ma anche la speranza e la gioia: il mondo prende colore e la vita è piena di luce. Le sofferenze restano tali, il peccato resta peccato, ma tutto ha un senso diverso, perché ovunque Gesù ci precede, anche negli abissi umani, per farsi trovare da noi e  trasformare le nostre tempeste in grazia.

*      L’episodio evangelico poteva qui terminare, ma invece procede. Nella grande aula del mare, sulla cattedra, il Maestro accomuna Pietro per dare a tutti una lezione di vita. L’Apostolo chiede una dimostrazione che provi che colui che parla non è un fantasma ma è proprio Gesù. E’ la ricerca e la pretesa delle prove esterne, che ben conosciamo anche noi: non ho la prova e quindi non posso credere.

*     Gesù allora mostra la sua infinita pazienza: “vieni da me sulle acque del lago”. E Pietro va, ma ad un certo momento affonda. Che cosa è accaduto? Ha cominciato ad affondare quando, “vedendo la forza del vento, ebbe paura”. Non accade così anche a noi? Quando si comincia a seguire Gesù, ma poi si distoglie lo sguardo da Lui e si guardano i nostri limiti, le fragilità ricorrenti, i peccati, quando ci si fa distrarre dai possibili dubbi, quando si pretende che tutto sia chiaro nel giro di poco…allora si comincia ad affondare. Cari Amici, quando non guardiamo la luce, allora anche il buio sembra luminoso. Credere in Cristo significa affidarsi, arrendersi all’amore, consegnarsi alla grazia che fa nuove tutte le cose, anche noi. Significa incontrarLo nella luce della sua Parola, nell’abbraccio dell’Eucaristia, nella Confessione perché tutti siamo peccatori! Con Lui, sempre con Lui, che ha portato sulla terra il “noi” di Dio. Affidarsi a Gesù  significa accogliere il giogo della sua parola, dei suoi comandamenti: giogo dolce non perché non chieda impegno, ma perché è un giogo d’amore. E chi ama fatica, ma non si affatica. Credere a Cristo significa accoglierlo intero, Lui il Capo e la Chiesa le sue membra. Abbiamo il coraggio di accoglierLo intero? Di non prostrarci a quanti dicono: Cristo sì, Chiesa no?

 

            Cari Rovers e Scolte, grazie perché ci siete: vi porto anche la gratitudine e la stima dei Vescovi Italiani. A voi e ai vostri, ai nostri cari Sacerdoti. Come sapete, il decennio che stiamo vivendo è dedicato alla missione educativa: educare vuol dire generare vita e futuro. E voi sapete che educare altri ci fa crescere. Contiamo su di voi. La vostra presenza qui e nelle nostre Chiese è un segno di gioia e di speranza per tutti, innanzitutto per i giovani come voi, che bussano alla porta del lavoro e della società. Sì, c’è bisogno di fiducia in una società rappresentata come persa e disperata, dove sembra che la bellezza e il bene siano cancellati dall’orizzonte. Ma voi sapete che così non è, e non lo sarà mai. E’ il vostro cuore a dirvelo, è la vostra presenza a testimoniarlo. Grazie e non temete mai! Coraggio!

                                                                                              Angelo Card. Bagnasco

                                                                                              Arcivescovo di Genova

                                                                             Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

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