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Bancarotta fraudolenta – Eseguite tre ordinanze di custodia cautelare

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Nelle prime ore di questa mattina, i finanzieri del Comando Provinciale di Roma hanno dato esecuzione a tre ordinanze di custodia cautelare, di cui due ai domiciliari ed una in carcere, nei confronti, rispettivamente, dei noti fratelli C. L., classe ’38, e D., classe ’45, e del prestanome S. F. C., con l’accusa di bancarotta fraudolenta, aggravata da plurime distrazioni di provviste finanziarie dai conti correnti di due società poi fallite. Nei confronti di L. e D. C., anche in considerazione dell’età, il Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Roma ha disposto il controllo tramite il cd. “braccialetto elettronico”.

Circa 33 milioni di euro il valore di quanto fraudolentemente distratto dalle casse delle due società condotte al fallimento, mentre ammonta a circa 188 milioni di euro il monte debiti accertato e documentato.

Eseguite altresì perquisizioni a Roma e Palermo nei confronti di diverse sedi legali ed operative di 16 imprese, di cui 11 in liquidazione da diversi anni ed affidate alla gestione di altri tre indagati, a cui sono stati notificati avvisi di garanzia per i medesimi reati.

L’inchiesta – denominata “CLEAN OUT”, condotta dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma e diretta dalla locale Procura della Repubblica – trae origine dal fallimento di due importanti imprese di costruzioni, la “F. S.r.l.” e la “F. C. S.p.a.”, entrambe appartenenti al “gruppo C.”, facente riferimento alla omonima famiglia di storici costruttori palermitani che, già negli anni ’80, contava oltre 60 società, operanti sia in Italia che all’estero, impiegando nel settore dei pubblici appalti, dei trasporti, turistico-alberghiero e finanziario oltre 1.500 dipendenti e realizzando fatturati superiori a 250 miliardi delle vecchie lire.

Il gruppo era poi entrato in crisi nella seconda metà degli anni ’80, in coincidenza con il contenzioso sorto con il Comune di Palermo, relativamente all’appalto per la manutenzione di strade e fognature, conclusosi, nel novembre 2013, con la condanna al pagamento, a favore del citato Ente, di un risarcimento di ben 127 milioni di euro.

Nel frattempo le imprese, che avevano la sede legale a Roma, sono state dichiarate fallite dal Tribunale della Capitale. In particolare, il fallimento della “F. C. S.p.a.” è stato dichiarato, dopo l’ammissione al concordato preventivo, nel marzo 2010, mentre quello della “F. S.r.l.”, dichiarato nell’aprile del 2013, è stato richiesto dalla Procura della Repubblica di Roma come conseguenza dello stato di insolvenza emergente dal procedimento penale iscritto per la bancarotta della prima società.

Le indagini hanno consentito di accertare come i fratelli C., già durante la procedura di concordato preventivo della “F. C. S.p.a.”, avessero operato alacremente per dissipare le residue sostanze dell’impresa, abbandonandola al sua destino e aggravandone ulteriormente il dissesto. Il tutto in evidente danno dei creditori, con particolare riguardo all’Istituto di Credito SICILCASSA, con il quale era in corso da anni un contenzioso.

Per raggiungere il loro scopo, i C. hanno addirittura falsificato della documentazione bancaria, che ha consentito, almeno fino all’arrivo delle Fiamme Gialle, di occultare la distrazione della somma di 2,6 milioni di euro ricevuti dalla F. C. a titolo di indennizzo assicurativo di un rapporto che risaliva alla fine degli anni ’60. Somma che veniva immediatamente trasferita sul conto corrente personale di C. D..

In questo modo C. L. e D. hanno sottratto alle casse delle società quasi 33 milioni di euro, per lo più dirottati sui conti correnti personali. A tal fine, nonostante l’evidente dissesto, hanno anche prolungato la gestione in bonis della società, con l’unico scopo di riscuotere i crediti maturati nei confronti di vari clienti, per lo più enti pubblici, per attività realizzate in epoca antecedente al dissesto.

Come detto, per i fratelli C. è stata disposta la misura degli arresti domiciliari, prevedendo procedure di controllo mediante mezzi elettronici, previo consenso degli interessati. In caso contrario, infatti, qualora il soggetto neghi il consenso all’adozione dei mezzi e strumenti anzidetti, il giudice dovrebbe prevedere l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere.

Per il noto prestanome S. F. C., ultimo rappresentante legale della “F. C. S.p.a.”, già al centro di una autonoma operazione di polizia nel gennaio 2012, che aveva preso addirittura il suo nome (c.d. operazione “C.”), in quanto fittiziamente titolare di oltre 100 società, è stata invece disposta la custodia cautelare in carcere.

Quanto alla famiglia C., nell’ambito degli accertamenti delegati dalla Procura della Repubblica, sono state esaminate le convergenti dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia i quali, nel ricostruire il loro ruolo nel mondo dell’imprenditoria palermitana, hanno evidenziato un quadro di risalenti relazioni tra A. C. – padre degli arrestati D. e L., quest’ultimo sequestrato a scopo di estorsione dai corleonesi nel 1972 su ordine di S. R., per contemporanea detenzione di B. e B. e poi rilasciato a fronte del pagamento di un miliardo di lire – ed esponenti di spicco di “Cosa Nostra” siciliana.

In particolare, secondo tali propalazioni, in virtù del “rispetto” discendente dalla contiguità dapprima al noto mafioso G.T., sottocapo di S.B., e, poi, alla potente famiglia mafiosa di N.B. di Passo di Rigano, il labirintico “gruppo imprenditoriale C.” ha potuto “indisturbatamente” operare a Palermo nel remunerativo settore degli appalti pubblici, attraverso quella protezione che, pur costando loro il pagamento di tangenti ed assunzioni di mafiosi – che così ottenevano la copertura di apparenti attività lavorative – di fatto gli garantiva il mantenimento nel mercato.

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